ANTIRAZZISMO SCHIAVISTA
CON LA CONFERENZA BERLINO 2 L'EUROPA SANCISCE LA SCHIAVITU' IN LIBIA
L’Unione Europea è un’istituzione sempre in conflitto di coscienza con se stessa, spesso capace di marcanre una distanza abissale tra le parole e i fatti.
Anzi, le parole stanno lì a fare da cortina di fumo per celare i fatti.
Così accade che nel corso degli Europei di calcio in queste settimane la diatriba ricorrente diventi l’opportunità o meno dei calciatori di inginocchiarsi in mezzo al campo prima del fischio iniziale in ossequio alla campagna Black Lives Matter.
Come da schema, le argomentazioni in questo caso sono ricatti che assalgono alla gola: “chi non lo fa è un razzista”.
Queste le parole.
Ma vediamo i fatti.
IL CORO DI BERLINO
Lo scorso 23 luglio si è tenuta la conferenza Berlino 2. Cos’era stata Berlino 1, la prima conferenza tenutasi nel gennaio 2020, quando ormai l’Esercito nazionale Libico era alla periferia di Tripoli, l’ha spiegato a chiare lettere Richard Norland, ambasciatore americano in Libia nelle scorse settimane:
“Il mio mandato a Tripoli aveva come obiettivo impedire che Haftar prendesse Tripoli. Senza l’intervento militare turco questo non sarebbe stato possibile”.
Durante Berlino 2 abbiamo assistito ad un coro unanime.
Josep Borrell, alto rappresentante per le politiche di sicurezza dell’Unione Europea. Stephen Townsend, comandante di Africom, missione militare degli Stati Uniti in Africa. Lo stesso Richard Norland. Tutti i ministri e le alte cariche europee presenti. Tutti in coro: “Le forze straniere devono lasciare la Libia”.
Ma anche Berlino 1 era passata alla storia con le sue parole d’ordine: cessate-il-fuoco e embargo sulle armi.
Sappiamo come è andata a finire. Fu un pretesto per prendere tempo e consentire alla Turchia di trasferire reparti dell’esercito, ufficiali, armamenti e mercenari in Libia via aereo, mentre lo zelante ammiraglio Fabio Agostini comandava la missione navale Irini, del tutto inutile e probabilmente a sua volta specchietto per le allodole e per le anime belle europee.
Lo stesso Norland ci dà la chiave interpretativa del coro unanime uscito da Berlino 2 in un dichiarazione dei giorni scorsi: “Non è necessario che tutte le forze militari lascino in tempi brevi il Paese. Questo sarà un processo graduale. Non vedo il problema se per le elezioni di dicembre ci sia ancora una forza militare turca presente a Tripoli in appoggio al legittimo governo”.
Pertanto se oggi il coro di Berlino ripete che tutte le forze debbano lasciare la Libia, è plausibile che a questa frase vada aggiunta una postilla: “tranne la Turchia”.
“Stabilizzare la Libia” significa oggi stabilizzare gli interessi occidentali in Libia e continuare a soggiogare il Paese.
“Unificare le forze armate libiche” significa smontare l’Esercito Nazionale Libico guidato dal feldmaresciallo Khalifa Haftar, unica forza militare legittima in Libia, istituita dalla Casa dei Rappresentanti (il Parlamento libico) nel 2016.
Esercito che attualmente è impegnato in un’operazione militare al confine con il Niger per impedire l’infiltrazione di terroristi e il riformarsi dei traffici che per anni hanno portato droga, armi ed esseri umani dall’Africa subsahariana alle coste della Tripolitania.
Lo stesso Niger dove Italia, Francia e Africom stanno concentrando la propria attenzione, a loro volta con il pretesto della lotta al terrorismo, più verosimilmente con l’obiettivo di destabilizzare il confine e aprire un ulteriore fronte militare per l’Esercito Nazionale Libico (e infine riaprire i traffici).
IL PATTO SCELLERATO
Da anni, dalla caduta di Gheddafi, certamente a partire dal governo Sarraj insediarsi alla fine del 2015, vige tra i vari governi di Tripoli e l’Europa un patto scellerato.
Le milizie controllano militarmente il territorio con il consenso e il supporto dell’Europa.
Riconoscono formalmente i vari governi di Tripoli e infiltrano loro affiliati nei ministeri. Questi governi fungono da ombrello per le milizie, consentendo loro di imperversare impunemente e proteggendo i criminali dai mandati di cattura internazionali (e non possiamo credere che l’ambasciata USA e l’UE siano estranei a tutto questo). In cambio le milizie trafugano il petrolio libico e lo vendono sottobanco a Europa e Turchia.
Non finisce qui. Manca una voce fondamentale in questo accordo: i cosiddetti “migranti”.
Che noi chiamiamo appunto “migranti” perché ci dà quell’illusione che siano gente in marcia, in cammino, che prima o poi arriverà e se ancora non è arrivata è perché in Europa c’è gente razzista.
Ma la Libia per loro non è un paese di transito. E’ un paese di arrivo. Ecco perché implorano di essere liberati e riportati a casa.
Di fatto sono una comunità compatta di individui che come un’onda si è mossa negli anni passati verso la Libia e poi è stata abbandonata nelle mani delle milizie per servire come manodopera non retribuita per l’economia della Tripolitania. In poche parole: schiavitù in cambio del petrolio.
I 700.000 sono stati venduti ai Libici. Non sono più migranti, sono schiavi. I 10-20 mila all’anno che raggiungono ormai l’Italia servono per tenere accesa la speranza e consentire che l’Europa continui a funzionare da esca per quelle poche migliaia di sprovveduti che ogni anno ancora entrano in Libia dall’Africa Subsahariana.
ANTI-RAZZISMO INTERMITTENTE E STRABICO
Ed è così che in questi giorni osserviamo ad una spietata operazione di stravolgimento dei fatti. L’Europa si professa antirazzista e mette all’angolo chiunque metta in discussione i propri buoni principi.
Dall’altro lato allestisce un’operazione di depistaggio internazionale, quale la conferenza di Berlino 2 è stata al pari di Berlino 1, gettando le basi per una presenza militare duratura della Turchia in Libia, a puntello del governo di Tripoli, le cui milizie tengono da anni in ostaggio 700.000 lavoratori africani.
E’ per il controllo di Tripoli e delle risorse energetiche libiche che l’Europa sancisce la pratica della schiavitù sui neri africani in Libia.
E non si tratta dei centri di detenzione, specchietti per le allodole per le anime belle europee.
Nei centri ufficiali sono detenuto 3.500 persone, su 700.000 presenze in Libia.
E’ chiaro che il problema non sono i centri di detenzione, ma ciò che succede fuori.
Dove la schiavitù è la natura del contratto informale di lavoro tra 700.000 neri africani e i datori di lavoro libici.
E’ questo il regalo che l’Europa fa alle milizie per continuare a colonizzare la Libia: puntare il dito sui calciatori, per non vedere la schiavitù dall’altra parte del Mediterraneo.
Michelangelo Severgnini
Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Il suo film “L'Urlo" è stato oggetto di una censura senza precedenti in Italia.