Biden giorno 1. La "gentilissima" lettera di Trump e l'aiuto di Amazon (solo ora) sui vaccini
Analizzare il discorso inaugurale di Joe Biden può aiutare a capire le prospettive verso le quali sta andando l’America, almeno quelle che intende perseguire, ché poi la realtà cambia le cose.
Discorso alquanto evanescente, in verità. Nulla che non si sapesse: il saluto alla nuova era, che ripristina e risana una democrazia infranta; la condanna dell’odio; la promessa di perseguire suprematisti e terroristi interni; le sfide ineludibili del clima; il reiterato richiamo all’unità dell’America, ora lacerata. Insomma, tutto scontato, compreso l’implicito ritorno della globalizzazione (con criticità per quella a guida Usa causate dall’ascesa della Cina).
Ma questo fa parte della storia della persona, totalmente integrata nell’establishment, del quale rappresenta l’ambito moderato.
L’eccezionalismo di ritorno
Niente Russia, niente Cina, solo un ovvio accenno al ripristino delle storiche alleanze che l’isolazionismo di Trump ha logorato.
Un solo cenno riguardo alla postura dell’America nel mondo, quando ha affermato: “Possiamo tornare a rendere l’America ancora una volta la forza trainante del bene nel mondo”. Che fa il paio con: “Guideremo il mondo non solo con l’esempio del nostro potere, ma con il potere del nostro esempio”.
Resta intatto, dunque, l’eccezionalismo americano, non più declinato come “America First”, ma secondo una formula più buonista, che forse eviterà qualche bomba, o magari no.
E però, sul punto, va tenuto presente che Biden ha promesso, alla stregua di Trump, di porre fine alle guerre infinite. Lo riferì con certa enfasi, al tempo, anche il Washington Post, in un titolo nel quale aggiungeva che ciò è “complicato”, come si è accorto presto il suo predecessore.
Come per Trump, tale prospettiva sarà contrastata e quindi troverà declinazioni più che ambigue, con nefaste problematiche conseguenti. Come denota la preghiera conclusiva del discorso, dove al classico, “Dio benedica l’America”, il neopresidente ha aggiunto “possa proteggere i nostri militari”; cenno, peraltro, che ben si adattava alla cornice militarizzata della cerimonia.
Non di prammatica, però, il cenno a sant’Agostino. Anche se del santo di Ippona ha scelto una frase alquanto anodina, dedicata all’unione, è ovvio il sotteso richiamo alla sua distinzione tra la Città di Dio e la Città dell’uomo, di contrasto ai fondamentalismi attuali, di tutte le religioni.
Come non di prammatica anche l’altro cenno: “Insieme scriveremo una storia americana fatta di speranza, non di paura”.
Il confronto citato, la lotta tra la speranza e la paura, dall’11 settembre 2001 è diventato ricorrente in tanti discorsi pubblici (il primo a usarla fu Ignacio Lula da Silva, dopo la sua storica vittoria alle presidenziali del Brasile) e sta a indicare quanti si oppongono al Terrore, come scontato, ma anche alle guerre infinite, che quel Terrore hanno alimentato al parossismo.
La lettera di Trump
Fin qui il discorso, nel quale ha evitato di citare Trump, assente alla cerimonia, al quale pure erano indirizzati, tacitamente, i tanti strali sull’odio sociale, sulla diffusione delle menzogne e altro. Tale la narrazione al quale Biden si è attenuto, né poteva (forse) fare altrimenti.
Resta che in un secondo momento, cioè mentre si apprestava a firmare le sue prime ordinanze, ha voluto rendere pubblico che Trump gli aveva indirizzato una lettera “molto gentile” della quale ha evitato di rendere pubblici i contenuti, compito che ha giustamente lasciato al mittente.
Poteva tener segreta la cosa. E, se Trump l’avesse rivelata, il silenzio di Biden sarebbe suonato come disinteresse totale o peggio verso il suo predecessore, confermando che il discorso era diretto contro il predecessore e consegnandogli ulteriori simpatie da parte del mainstream.
Invece l’ha voluto dire, in qualche modo rispondendo all’appello di Trump, che il giorno prima aveva chiesto ai suoi sostenitori di pregare per Biden.
Scambi epistolari, appelli, che dicono tanto della segreta sintonia di fondo tra i due presidenti, al di là delle pubbliche e reciproche animosità, necessarie e inevitabili al teatrino politico.
Ambedue sanno che il mondo è stato consegnato al caos dalla follia neocon, che ha gestito le direttrici geopolitiche dell’Impero dopo l’11 settembre, nonostante i tanti freni imposti da circostanze e antagonisti (katékon, se si vuol restare in ambito religioso). E sanno che per riportare un po’ di ordine nel caos globale occorre porre un freno a tutto ciò.
Ma, al di là delle armonie nascoste, e per chiudere il tema “caos”, non potevano mancare nel discorso presidenziale i riferimenti alla pandemia, che ha fatto più vittime americane della Seconda guerra mondiale, come ha ricordato.
Un cenno che avevamo anticipato: in una nota del luglio scorso avevamo scritto, implicitamente, che alle elezioni di novembre si puntava ad accreditare che il coronavirus avrebbe fatto più vittime Usa dell’ultima guerra mondiale. Un disastro da attribuire (implicitamente o esplicitamente) alla gestione sanitaria di Trump.
Se riprendiamo la nota pregressa, non è per accreditarci doti profetiche, ma solo per evidenziare la banalità delle dinamiche della narrativa che guida il mondo.
Infine, sempre in tema di pandemia, a gratificare l’inaugurazione presidenziale, l’annuncio di Jeff Bezos, irriducibile avversario di Trump, il quale ha dichiarato che Amazon aiuterà nella distribuzione dei vaccini. Poteva farlo prima, ma tornare a scrivere sulla politicizzazione della pandemia, e sui morti che ha causato tale deriva, ci sembra esercizio inutile.