Bielorussia: Lukašenko si conferma presidente e manda questo messaggio agli apostoli della guerra
Con l'85,70% di affluenza e quasi l'87% dei voti, Aleksandr Lukašenko va a insediarsi per la settima volta sulla poltrona presidenziale della Bielorussia. Il risultato era pressoché scontato, anche se, in base alla legislazione del paese, i numeri definitivi verranno ufficialmente annunciati soltanto il 3 febbraio. Divise per regioni, le percentuali di preferenza hanno oscillato tra 86 e 93%, con la sola eccezione della capitale, Minsk (70%), a testimonianza della ristretta localizzazione della traballante opposizione, che ha invitato i propri adepti a votare “contro tutti”, racimolando meno del 4%. Tra 3 e 2% anche i risultati di altri due candidati: il rappresentante del PCB Sergej Syrankov e il liberal-democratico Oleg Kajdukevic.
A questa tornata il “bat'ka” bielorusso ha battuto se stesso, sorpassando i risultati da lui stesso ottenuti alle precedenti presidenziali: 80,3% nel 1994, 75,6% nel 2001, 83% nel 2006, 79,65% nel 2010, 83,5% nel 2015 e 80,1% a quelle del 2020, le elezioni che, in casa PD, forse in base a propri immaginifici scrutini, avrebbero dato la vittoria a Svetlana Tikhanovskaja: martire.
E anche questa volta, già con largo anticipo, i signori di Bruxelles e di molte cancellerie europee, avevano fatto sapere di non riconoscere, in partenza, i risultati del voto bielorusso. La risposta di Lukašenko è stata netta: la risoluzione del parlamento europeo che chiede di non riconoscere i risultati delle elezioni, a lui «non gli fa né caldo né freddo». Ma è significativo, ha detto, «questo strisciare davanti ai fratelli maggiori di Washington: se dite qualcosa sulle elezioni americane, è spaventoso. Sulla Bielorussia, invece, si può dire di tutto. Ebbene: si sono pronunciati e persino in America qualche esperto ci ha riso sopra. I ragazzi, come sempre, hanno avuto fretta e hanno fatto un pasticcio».
A proposito di quella risoluzione europeista, “bat'ka” ha detto di sapere che sue diverse versioni erano state scritte in anticipo dai fuggiaschi dell'emigrazione bielorussa e ha messo in guardia i signori della UE dal collaborare con quegli “zmagari” (“lottatori”), che poi vanno a ingrossare le bande armate in Ucraina, del tipo del “reggimento Kalinovski”: «State attenti che poi non rivolgano i mitra contro di voi».
La risoluzione del parlamento europeo, ha detto ancora, «ha valore pari a zero». Vale a dire: «Se ora io facessi una dichiarazione» ha detto Lukašenko, per cui «non riconosco le elezioni americane e Trump, cambierebbe qualcosa in America? O non riconoscessi Starmer. Cosa accadrebbe in Gran Bretagna? Niente. Così anche qui da noi. Riconoscete o meno queste elezioni, voi là alla UE, fate voi. Credetemi, non me ne importa un fico secco. L'importante è che le riconoscano i bielorussi».
Passato il voto, l'immediata preoccupazione di Lukašenko è stata subito per gli auspicati colloqui di pace sull'Ucraina, cui Minsk ambirebbe a prender parte, a garanzia degli interessi bielorussi: «Volodja Zelenskij propaganda in continuazione» ha detto “bat'ka”, «garanzie di tranquillità e sicurezza in questa regione. Se aspiri a tali garanzie, è necessario che tenga conto degli interessi di tutti e dunque devono essere coinvolti tutti i partecipanti al processo, bielorussi compresi».
Lukašenko ha detto di non anelare particolarmente a inviare forze di pace in Ucraina, ma è pronto a farlo, dato che «lituani, lettoni e polacchi non vedono l'ora di andarci, e Zelenskij e l'Occidente sono favorevoli»; così che «il fratello minore sarà in grado di riconciliare il fratello maggiore e quello di mezzo». Questo non vuol dire, ha continuato, «che manderò come forze di pace un mio esercito di 70.000 uomini. Ma affinché le cose procedano secondo gli accordi che verrano presi, occorrono i bielorussi. Non altri. Tutti gli altri cercheranno di andare verso ovest, o verso est» avendo probabilmente in mente gli appetiti territoriali di alcuni vicini dell'Ucraina, a partire dai polacchi. Ecco perché «un accordo può regolarsi solo su forze di pace bielorusse. Ma non ho intenzione di precipitarmi là e, a oggi, non ho intenzione di inviare forze di pace».
Il “neoeletto” presidente ha detto anche di dubitare che l'Ucraina voglia soddisfare le richieste russe, ritirando le truppe dalle nuove regioni russe, e dunque la pace verrà conclusa lungo la linea di contatto e se «l'Occidente intende introdurre proprie forze di pace», contro il punto di vista di Mosca, allora in questa «grave disputa» tutto dipende da «chi sarà più debole».
Spaziando al di là dell'area esteuropea, “bat'ka” ha ironizzato sull'atteggiamento dei diversi “leader” europei nei confronti dell'elezione di Donald Trump: «Se domani gli USA fanno una dichiarazione, o tacciono sulle nostre elezioni, cosa farete?», non saprete come comportarvi? «Prima delle elezioni, avete insultato Trump da mattina a sera; non appena ha vinto, avete strisciato in mezzo all'Atlantico, alcuni sul fondo, altri in superficie. Altri ancora oggi non sanno nemmeno come strisciare fino a Trump». Lukašenko ha detto di compatire l'Europa, cui gli USA «hanno distrutto l'economia e quella non vi si oppone». Duro destino per l'Europa, ha detto, «preoccupatevi. Con l'arrivo di Trump, non sarà la Bielorussia ad avere problemi, ma l'Europa. Per voi, quelli sono già iniziati. Ve l'ha detto direttamente (e ha fatto bene, lo sostengo in questo, anche se non in tutto): volete combattere in Ucraina, e allora pagate non il 2%, ma il 5%. E voi, come anguille, come serpentelli, vi attorcigliate e vi contorcete e non sapete che via d'uscita prendere da questa situazione».
Un chiaro e meritato marameo, quello indirizzato dal “bat'ka” agli apostoli della guerra a ogni costo, scornati sugli ”zmagari” filo-ucraini, ignorati bellamente dall'elettorato bielorusso. Nemmeno una puerile Tikhanovskaja, questa volta, da accompagnare alle processioni europeiste targate PD.