Cina, Pechino risponde all'attacco doganale di Trump: in tutti gli uffici pubblici hardware e software cinese

Cina, Pechino risponde all'attacco doganale di Trump: in tutti gli uffici pubblici hardware e software cinese

Pechino risponde all'attacco doganale Usa

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di Fosco Giannini

          

In un dibattito pubblico sul tema “La Cina della Nuova Era” svoltosi lo scorso 30 novembre a Rieti, il Capo Ufficio Politico dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma, Zhang Yanyu, tra gli oratori, l’aveva già preannunciato: il Partito Comunista Cinese si sta attrezzando a rispondere alla lotta doganale violentemente lanciata da Trump contro Pechino. “La Cina –aveva affermato Zhang Yanyu – non ha nessuna paura degli attacchi economici statunitensi, non ha paura del minor scambio di merci implicito nelle politiche isolazioniste americane, non teme affatto – come qualcuno potrebbe ancora credere in occidente - in una eventuale penuria tecnologica cinese relativa ad un abbassamento dell’interscambio tecnologico. La Cina è solo preoccupata del fatto che la feroce lotta doganale intrapresa da Trump sia l’anticipazione di altre e ben più   pericolose tensioni internazionali, che il nostro progetto della Nuova Via della Seta escluderebbe. Per ciò che invece riguarda la questione tecnologica nel nostro Paese noi siamo assolutamente tranquilli: il nostro attuale sviluppo economico e scientifico esclude ogni subordinazione agli USA. Non abbiamo stringenti necessità tecnologiche portate dall’esterno”.
 

Erano passati solo una decina di giorni da quest’affermazione di Zhang Yanyu che il Finacial Times, lo scorso 10 dicembre, rivelava, senza smentite, che l’Ufficio Politico del PC Cinese aveva deciso di mettere in atto e far rapidamente partire il progetto, già messo a punto da alcuni mesi, relativo all’obiettivo della totale autosufficienza digitale, entro il 2022, in tutti gli uffici pubblici cinesi, che, per il loro sterminato numero, richiedono un’immensa struttura digitalizzata. 
 

La formula con la quale il PC Cinese vuol sorreggere la totale autosufficienza digitale negli uffici pubblici è quella del “3-5-2”, che vuol dire che il 30% della nuova digitalizzazione a carattere completamente cinese dovrà essere raggiunto entro il 2020, il 50% entro il 2021 e il restante 20% entro il 2022.
 

Dunque, solamente programmi e sistemi operativi cinesi, in tutti gli uffici pubblici della Cina, entro il 2022, con la conseguente e completa sostituzione di tutti gli hardware e dei software stranieri: questa è la risposta fattiva del PC Cinese, sul fronte della digitalizzazione, alla lotta doganale sferrata da Trump. Le strutture produttive cinesi, sotto i colpi e le continue minacce degli USA, si stavano già attrezzando a questa rivoluzione, ma ora il PC ha impresso una forte accelerazione, proprio per la necessità di raggiungere in tempi rapidi l’obiettivo dell’autosufficienza. Non ci sarebbe forse bisogno di rimarcarlo, ma è del tutto evidente che anche questa misura (che da una parte è di autodifesa e dall’altra risponde al nuovo progetto volto all’apertura dell’immenso mercato interno alle merci d’avanguardia cinesi) è possibile prenderla - ed è possibile, per il PC Cinese, renderla concreta - in virtù del grande sviluppo delle forze produttive che il socialismo dai caratteri cinesi ha garantito.
 

D’altra parte, gli attacchi di Trump contro Pechino, sul piano economico, vanno avanti ormai da anni e proprio all’inizio del 2019 avevano preso nuove e violente pieghe: il divieto da parte dell’Amministrazione USA alle aziende americane di stabilire relazioni commerciali con 28 aziende straniere di prodotti per la digitalizzazione “che presentano rischi per la sicurezza nazionale” ( divieto volto essenzialmente contro aziende cinesi) e la collocazione della cinese Huawei e ben 70 sue affiliate su di una lista nera, per impedire alla telco cinese di acquistare componenti e parti della digitalizzazione da società americane, senza il beneplacito esplicito della Casa Bianca. Oltre ciò, da parte degli USA, la minaccia, di questo stesso dicembre 2019, di applicare una nuova tariffa del 15% su altri 170 miliardi di dollari su merci importate dalla Cina.
 

Se, naturalmente, la Repubblica Popolare Cinese potrà risentire della lotta doganale americana, sia per il restringimento del mercato americano per le merci digitali cinesi che per il venir meno della componentistica avanzata USA nel digitale generale cinese ( i chip dei processori e i dischi rigidi USA che ha utilizzato sinora per i propri computer, ad esempio, l’azienda cinese Lenovo), certo, questo protezionismo di Trump, non entusiasmerà le aziende americane, che potrebbero quanto prima subire una contromossa cinese, già minacciata, volta ad applicare un’aliquota del 7,5% su 50 miliardi di dollari di merci importate dagli USA. E la riprova massima dell’ insoddisfazione delle aziende USA per la rottura delle relazioni commerciali con le aziende cinesi imposta da Trump la si può facilmente constatare dal fatto che, in quest’ultima fase, per ben tre volte “l’embargo” americano verso la Cina è saltato, proprio sotto la spinta delle maggiori società USA, che tra l’altro, oltre che per le questioni di mercato, molto hanno risentito (come i loro stessi dirigenti hanno affermato) della mancanza di aggiornamenti periodici sulle tecnologie fornite da Huawei. Lo scorso 19 novembre, sotto la richiesta pressante del sistema aziendale USA più avanzato, vi è stata l’ultima proroga, da estendersi per altri 90 giorni, volta al ripristino delle relazioni commerciali USA-Cina.
 

Come dire: nel campo americano siamo di fronte ad una contraddizione crescente tra concreto sviluppo delle forze produttive interne e concezione politica neo protezionista degli interessi nazionali, una contraddizione che la linea di cooperazione internazionale win-win di carattere cinese e consustanziale alla Nuova Via della Seta potrebbe aiutare a risolvere, ma che la totalità degli interessi dell’imperialismo USA non può e non riesce  ad accettare.
 

Sull’altro versante, la Cina può invece confidare su di uno, per molti versi storicamente nuovo e sterminato, mercato interno e sullo sviluppo planetario (lungo le vie di terra, del cielo, del mare e del ghiaccio) della Nuova Via della Seta. A partire da ciò è molto verosimile che la lotta doganale imposta fa Trump possa, infine, colpire come un boomerang molto più gli USA che la Cina. La bontà della linea che va da Deng Xiaoping sino all’attuale segreteria Xi Jinping (innanzitutto lo sviluppo delle forze produttive per il rafforzamento del socialismo) la si può constatare prioritariamente da queste strettoie storiche che, se affrontate da posizioni di mancato sviluppo, sarebbero probabilmente risultate letali.
 

Che lo spirito razionale insito nella Nuova Via della Seta ( pace e cooperazione internazionale win-win in un mondo multipolare) abbia una propria e per molti versi inarrestabile potenza lo dimostra, tra l’altro, un fatto di non secondaria importanza: nel New Economy Forum Bloomberg, svoltosi nello scorso novembre a Pechino, fu proprio una delle maggiori intelligenze tecnologiche americane, Bill Gates, ad affermare che “le strade separate” non portano da nessuna parte e che la scienza e lo sviluppo sociale hanno bisogno di “condivisione”…

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