Educazione sentimentale, Lilli Gruber e i "paesi civili"

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Educazione sentimentale, Lilli Gruber e i "paesi civili"


di Paolo Desogus

Cerco qualcosa da guardare su youtube mentre ceno e mi imbatto in Lilli Gruber, che con la sua solita sicumera di giornalista navigata e paludata si chiede candidamente perché in Italia non si fa educazione sessuale e non si educano i ragazzi alla diversità come in tutti i paesi civili del mondo. In realtà l'educazione sessuale in Italia si fa, i docenti dedicano spazio a questi temi da molti anni a questa parte. Non sono un ragazzino, ma persino io ho fatto alle scuole medie educazione sessuale nei primi anni Novanta. L'educazione al rispetto dell'altro o dall'altra è inoltre un fatto costante dal momento che il docente è chiamato a mediare tra i ragazzi.

Qualcuno dirà che manca un insegnamento formale, ma forse bisognerebbe avere anche il coraggio di dire che è giusto così, è giusto che quel tipo di insegnamento non sia del tutto formale: non si insegnano l'amore e il rispetto per decreto, con ingiunzioni generali e astratte. Occorre del resto dire che l'educazione ai sentimenti presenta una difficoltà insormontabile dato che qualsiasi sentimento, da quello filiale, all'amicizia al rapporto amoroso, include una quota d'odio e persino di disprezzo. La gestione di questi conflitti si presta molto limitatamente a lezioni ex cathedra, perché essi hanno a che fare con la vita, la vita reale dentro conflitti sociali e culturali. Al massimo l'insegnamento della letteratura riesce a occuparsene.

Ammettere questo non è una resa, non è un tentativo di rifiutare la questione, al contrario è un modo per allargare lo sguardo oltre il senso comune e le banalità distribuite da molti giornalisti e da altri intellettuali conformisti sedicenti radicaloidi. Semmai è una resa pensare che tutto sia risolvibile delegando la scuola di una responsabilità per un'incombenza che seppur limitatamente già affronta. Chiamare ancora in causa la scuola è infatti un modo per lavarsene le mani, per non vedere che la violenza di genere è intimamente connessa con i rapporti sociali e anzi con i modi di produzione attuali che hanno messo in soffitta il vecchio patriarcato e hanno generato nuove soggettività, un nuovo maschilismo in grado di esprimere livelli di rozzezza e bassezza violentissimi (pensate allo stupro di Palermo di quest'estate). Va bene, la sto buttando sul marxismo. Mi fermo, non voglio épater les bourgeois e le loro convinzioni da spicciola sociologia americana.

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