Genius Act, la "silver bullet" di Trump per abbattere il debito USA

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Genius Act, la "silver bullet" di Trump per abbattere il debito USA



di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

In più di una circostanza ho sostenuto la tesi secondo la quale la causa di fondo dell'instabilità geopolitica che sta spingendo il mondo verso una guerra su vasta scala, che vede fronteggiarsi anche potenze globali come gli USA, la Russa e la Cina, è da ricercarsi nell'enorme debito estero americano ormai insostenibile. Un debito estero americano insostenibile che mette a rischio il ruolo egemone del dollaro come moneta standard degli scambi internazionali e che, in definitiva, mette in pericolo l'esistenza stessa dell'Impero Americano sorto con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e rafforzatosi ulteriormente con il crollo del Muro di Berlino e la caduta dell'Unione Sovietica.

La mia tesi è che l'instabilità geopolitica mondiale, che ha generato svariati conflitti in Europa, Africa e  “Medio Oriente Allargato” e che Papa Bergoglio definì “guerra mondiale a pezzi” sia stata scientemente causata da Washington con la finalità di bloccare la penetrazione cinese e russa in Africa e “Medio Oriente Allargato” e in Europa con l'intento di rompere l'asse tra UE (Germania in particolare) e Russia che garantiva agli europei materie prime a basso costo che rendevano le loro aziende ultra competitive nel mercato mondiale a tal punto da mettere in ginocchio il sistema produttivo USA fino a mandare in enorme passivo sia la bilancia commerciale che quella dei pagamenti a stelle e strisce.

Per quanto riguarda il teatro europeo, va detto, che l'operazione imbastita da Washington è stata coronata da un successo enorme. Dopo tre anni di guerra ucraina che ha causato l'imposizione di enormi sanzioni alla Russia, l'Europa è sostanzialmente ridotta a protettorato economico USA (usiamo questa espressione per non parlare apertamente di riduzione a colonia del Vecchio Continente) sia per quanto riguarda l'import dagli USA del costosissimo gas americano, sia per quanto riguarda l'acquisto di armi e, a breve, anche di prodotti agricoli provenienti da oltreatlantico.

Per quanto riguarda il Medio Oriente Allargato (ovvero Medio Oriente più Iran) e l'Africa, invece la battaglia militare e diplomatica è ancora in pieno svolgimento ed è difficile fare previsioni anche se – va detto – in Medio Oriente  gli USA hanno ottenuto importanti successi parziali (Siria e Libano soprattutto) grazie all'aver scatenato il loro Mastino della Guerra israeliano.

Il problema di fondo che affligge Washington però, rimane sostanzialmente invariato. Il debito estero netto complessivo (inteso come somma del debito estero netto privato e pubblico) rimane ancora assolutamente fuori controllo. Infatti nel secondo trimestre del 2025 il NIIP USA (Net International Investment Position) così come calcolato dalla Federal Reserve di Sant Louis precipita agli abissi siderali di – 26150 miliardi di dollari di passivo circa. Questo dopo una leggera ma importante risalita avutasi nel primo trimestre quando arrivò a – 24650 miliardi di dollari di passivo circa,  circostanza che però si è già rivelata come un rimbalzo del gatto morto.

A questo punto, la domanda che arrovella gli analisti di mezzo mondo è la seguente: se gli USA dopo circa un decennio di guerre per procura, rivoluzioni colorate, minacce, leggi ad hoc come l'Inflation Reduction Act (IRA) che aveva il solo scopo di favorire la delocalizzazione delle imprese europee in USA, e soprattutto, dopo l'imposizione di enormi dazi al resto del mondo si è avuto il risultato che il NIIP è rimasto esattamente nell'abisso in cui è precipitato durante la presidenza Obama, cosa altro sta escogitando Washington per evitare la disintegrazione (o comunque il netto ridimensionamento) del dollaro e del sistema finanziario a stelle e strisce che inevitabilmente si verificherà appena il resto del mondo si renderà conto che Washington è di fatto insolvente?

La storia ci dice, che gli USA ogni volta che la loro economia si trova in una situazione di grave rischio, non hanno mai esitato a realizzare operazioni di enorme spregiudicatezza. Senz'altro le due manovre più note sotto questo aspetto e per questo passate alla storia, sono quella fatta da Nixon nel 1971 con la quale si sganciò il dollaro dall'oro rompendo così gli accordi di Bretton Woods presi alla fine della seconda guerra mondiale e gli accordi del Plaza del 1985 voluti da Reagan che portarono – per esempio – ad una svalutazione monstre del dollaro rispetto allo yen giapponese del 51% nel lasso di tempo intercorrente tra il 1985 e il 1987.

Entrambe queste manovre, avevano il chiaro intento finale, di ridare slancio alle esportazioni USA e conseguentemente risanare i conti nazionali di Washington. Certo, le operazioni furono fatte a spese del resto del mondo, ma va anche detto che comunque gli USA proprio a causa dell'uso del dollaro come moneta standard degli scambi internazionali hanno l'onere di far affluire a tutto il mondo i dollari necessari per i loro scambi. Cosa  questa che è sempre avvenuta grazie all'import di merci dal resto del mondo. Quindi, certamente si può dire, che si è trattato di manovre spregiudicate e prive di scrupoli, ma compensate dal ruolo che il dollaro USA assunse dopo Bretton Woods.

Nella situazione attuale però il discorso è diverso. Gli USA hanno accumulato un debito estero netto, incommensurabilmente più grande rispetto a quello che si aveva sia nel 1971 che nel 1985. Inoltre gli USA di oggi, hanno trovato nella Cina un avversario commerciale e tecnologico in grado di contrastarli. Senza contare poi che nella Russia, hanno trovato un avversario che riesce a tenergli testa in ambito militare.

Inoltre bisogna aggiungere che gli USA sono stati indeboliti dalla deindustrializzazione causata dagli accordi rovinosi che furono sottoscritti nel corso del tempo con Messico e Canada (il Nafta) e con la Cina in ambito WTO.

Una miscela esplosiva, come si può capire, che lascia pensare che questa volta gli USA dovranno escogitare una manovra ancora più spregiudicata e che secondo me (ma come vedremo, non solo secondo me) potrebbe essere molto simile a quanto fece  il Presidente Frenklin D. Roosvelt tra il 1933 e il 1934.

Anche all'epoca gli USA navigavano in pessime acque e non riuscivano a risollevare la loro economia dal crollo di Wall Street del 1929. Il presidente Roosvelt il 6 Marzo del 1933 (appena 36 ore dopo l'insediamento) ordinò la serrata di tutte le banche per una settimana per prevenire una nuova corsa agli sportelli per ritirare i risparmi da parte della clientela.

Ma la manovra non finiva di certo qui: appena un mese dopo (il 5 aprile 1933), Roosevelt firmò l'Ordine Esecutivo 6102, con il quale, invocando «grave emergenza», vietava agli americani il possesso di monete, lingotti e certificati di deposito d’oro oltre un limite di 100 dollari per persona. Inoltre i cittadini che superavano tale soglia dovevano consegnare l’oro entro il 1 maggio presso gli sportelli delle banche o quelli della FED.  La manovra aveva la funzione di consentire alla FED di avere abbastanza oro da riuscire a sostenere una nuova manovra di allentamento monetario (leggi “stampa di nuova moneta”)  così da finanziare le banche commerciali, ed evitare il loro default.  Sottolineo che l'oro era necessario alla FED perchè, per legge, la banca centrale americana non poteva stampare nuovi dollari senza che questi fossero “coperti” almeno per il 40% da riserve auree.

Ma la stangata, Roosvelt la fece con la mossa successiva. Nel 1934, fece infatti approvare il Gold Reserve Act  che trasferiva le riserve auree dalla Federal Reserve al Governo degli Stati Uniti e che soprattutto consentiva al Presidente di decidere in maniera autonoma il tasso di cambio tra oro e dollaro. Roosvelt portò immediatamente il cambio a 35 dollari l'oncia. Solo l'anno prima, i cittadini “espropriati” del proprio oro se lo videro pagare dal governo a 20,67 dollari l'oncia. Dunque in appena un anno incamerarono una perdita netta del 69%.

Come vedete, il cosiddetto “currency peg” ovvero sia, il tasso fisso di cambio imposto dal governo o dalla banca centrale, si rivela da sempre come un arma devastante in mano ai governi contro i propri cittadini (o i propri creditori anche se esteri).  Del resto già i romani usavano dire "Ad impossibilia nemo tenetur" così allo stesso modo, un currency peg è fisso fino a quando il governo riesce a mantenerlo. 

Che in questa fase storica gli USA stiano provando a realizzare un piano che ricorda quello di Roosvelt nel 1933 e 1934 lo sostengono alcuni importanti analisti commentando la nuova regolamentazione degli Stablecoin imposta dall'amministrazione Trump con il “Genius Act” che aggancia le stablecoin al debito pubblico americano. In sostanza, per dirla brutalmente, le stablecoin emesse da qualunque società finanziaria privata dovranno essere garantite per cifra equivalente (rispetto al valore “facciale” della stablecoin emessa) da dei  titoli di stato USA.

Secondo Stefano Caselli, della SDA Bocconi, il disegno americano: “è un’operazione di geopolitica valutaria raffinata, simile al contenimento costruito dopo la Seconda guerra mondiale. Ogni stablecoin emessa obbliga ad acquistare titoli di Stato americani: è un meccanismo perfetto per continuare a stampare debito e allo stesso tempo rafforzare il ruolo del dollaro”.  Oppure è un meccanismo perfetto per razziare i possessori di stablecoin nel momento in cui il debito USA venisse decurtato e/o tassato e dunque perdesse di fatto il suo currency peg.

Ad aver espresso questo concetto in maniera brutale è stato invece Anton Kobyakov, uno dei più importanti consiglieri economici di Putin, che durante il Forum Economico Orientale di Vladivostok di Settembre ha detto chiaramente: “Gli Stati Uniti stanno ora cercando di riscrivere le regole dei mercati dell’oro e delle criptovalute. Ricorda la dimensione del loro debito: 35 trilioni di dollari. Questi due settori (crypto e oro) sono essenzialmente alternative al tradizionale sistema valutario globale. Le azioni di Washington in questo settore evidenziano chiaramente uno dei suoi obiettivi principali: affrontare con urgenza la fiducia in declino nel dollaro”. Ed infine ha concluso senza peli sulla lingua: “In parole povere: hanno un debito valutario di 35 trilioni di dollari, che sposteranno nel cloud crittografico e lo svaluteranno riprendendo da zero”. 

Insomma, secondo Anton Kobyakov gli americani avrebbero agganciato il valore delle stablecoin ai titoli del loro debito pubblico per poi sgretolare i capitali investiti in tutto il mondo nelle stablecoin o a causa di una svalutazione del dollaro piuttosto violenta o a causa di una svalutazione dei titoli di debito stessi. Meglio ancora se entrambe le cose.

Una teoria per nulla peregrina. Del resto la logica del Genius act è proprio quella di prendere in ostaggio i capitali di tutto il mondo acquistando Tresury denominati in dollari. La maledizione del peg currency rischia di colpire ancora una volta ma questa volta a livello globale.

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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