"Non basta!". Gli ultimi deliri guerrafondai dal Corriere della Sera

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"Non basta!". Gli ultimi deliri guerrafondai dal Corriere della Sera

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Non essendo in grado, per loro natura, di muoversi da soli, i “lattonzoli” delle cancellerie europee, autentici cuccioli ciechi privi di orientamento proprio, con stridule grida di esseri appena generati dalla femmina del suino vanno al seguito dei passi del complesso militare-industriale e così, ora, hanno stabilito che le masse popolari europee non siano state ancora sufficientemente spolpate e che, per dare ancora più fondi di guerra al regime nazigolpista di Kiev, si dovessero stanziare ulteriori 90 miliardi di euro sui mercati di capitali, ossia con l’emissione di debito comune, garantito dal bilancio europeo. Cioè: rubare ancora miliardi alla spesa sociale e gettarli nel tritacarne del proseguimento della guerra: non sia mai che i flebili tentativi di concludere qualcosa di simile a una pace rischino di andare in porto.

«La spesa per dotarsi di efficaci strumenti che garantiscano la difesa collettiva è sempre stata comprensibilmente poco popolare», ha detto con falsa ironia il presidente della repubblica italiana, più o meno nelle stesse ore in cui a Bruxelles ci si rotolava nel porcilaio della rapina ai danni delle masse e dei lavoratori; ma quella rapina «ora è necessaria», ha detto ancora Mattarella. Peccato che, parlando del «dovere di coltivare e consolidare ogni piccolo spiraglio che si apra rispetto ai conflitti in corso, in Ucraina come in Medio Oriente», Sergio Mattarella chiuda gli occhi sulla semplice constatazione per cui le spese di guerra, come sono state decise e ampliate, non contribuiscano affatto, come lui sembra ritenere, a «quella “pace permanente”, come la definì il presidente Franklin D. Roosevelt che affermava: “Più che una fine della guerra vogliamo una fine dei principi di tutte le guerre”».

Dette da chi osanna quotidianamente “virtù” e “santità” di un ordine sociale che ha a fondamento lo sfruttamento del lavoro salariato per l'accaparramento del profitto privato e come clausola aggiuntiva la rapina della spesa sociale ai danni degli strati più deboli, proprio per alimentare le guerre, quelle non sono altro che ipocrite assicurazioni di catechistico liberalismo. All'origine delle guerre tra forze e soggetti borghesi c'è per l'appunto la sete di profitto del capitale e, finché quello capitalistico continuerà a essere l'ordinamento dominante, sarà impossibile eliminare le cause delle guerre di rapina. C'è guerra e guerra: ci sono le guerre rivoluzionarie dei popoli in lotta per la propria liberazione dall'oppressione imperialista; ma, parlare di guerra in generale, come fa il signor Mattarella, anche citando Roosevelt, non fa che confermare l'ipocrisia della visione borghese di una guerra scoppiata per caso e di contendenti tutti propensi farisaicamente alla pace, senza che si eliminino le cause che hanno portato alla guerra e che rendono le guerre inevitabili sotto il regime capitalista.

Ma di ciò basta. Tanto più che, immediatamente a ruota degli striduli grugniti dei “lattonzoli” sull'accordo raggiunto per le decine di miliardi con cui foraggiare i nazigolpisti ucraini, gli indefessi “figli della lupa” delle redazioni guerrafondaie si sono messi a guaire che questo non basta. Novanta miliardi son pochi. Come a voler ribadire il concetto a loro caro, pur se tenuto in sordina, di una guerra che va continuata fino all'ultimo ucraino da poter mandare al macello, i gaglioffi del Corriere della Sera, stizziti per il no del Consiglio europeo alla rapina dei fondi russi congelati, parlano di una «occasione persa nella guerra e nella politica globale».

Le loro manie belliciste non sono mai state troppo velate, ma finora si era avuto almeno un po' di ritegno a parlare della guerra come di una “occasione persa”. Sì, perché inneggiare a un'ulteriore rapina di soldi pubblici per alimentare una guerra, proprio nel momento in cui qualcuno sta, quantomeno apparentemente, dandosi da fare per trovarvi una soluzione negoziata, non può che essere tipico di un fogliaccio che da sempre, da almeno centocinquant'anni, plaude alle campagne coloniali e alle guerre di aggressione ai danni di popoli in Europa e in Africa.

E il furfante di turno, che si prende la briga, su quel giornalaccio milanese, di gridare più forte alla guerra, il signor Federico Fubini, si torce la mani dalla rabbia perché «90 miliardi dell’Unione europea da soli non bastano certo per due anni, come si è sostenuto da Bruxelles in queste ore; forse neanche per uno» e la guerra in terra ucraina va mandata avanti come minimo per altri due anni, se non di più; quantomeno per tutto il tempo necessario a che la cosiddetta “Europa” non ritenga di essersi armata a sufficienza per entrare nel conflitto in prima persona contro la Russia.

Si ode da qui lo stridore di denti del signor Fubini mentre scrive che «Se l’unione europea avesse mobilitato subito duecento miliardi in stile whatever it takes — e poteva, usando i beni russi congelati o aggiungendo al mix le risorse residue del Recovery Fund e del Meccanismo europeo di stabilità — il messaggio inviato al Cremlino sarebbe stato potente: noi non esitiamo e l’Ucraina resterà viva dentro questa guerra più a lungo di quanto la Russia possa restare al riparo da una crisi».

Già, ancora una volta l'esimio guerriero, a tempo perso pennivendolo del Corriere, si tuffa in un'insalatiera di concetti di cui, guarda caso, non dà però assolutamente conto: il tutto per sostenere che la Russia è ormai al collasso e ancora un paio d'anni di guerra finanziata coi soldi rubati alle casse sociali europee consentirebbero ai nazisti di Kiev di portare a casa il risultato atteso dai “lattonzoli” di Bruxelles.

State sicuri, recita il gaglioffo, ancora per «il 2026, Vladimir Putin ha le risorse per continuare l’aggressione. Ma intanto, malgrado i loro limiti, le sanzioni mordono; erosa dalla fuga all’estero dei giovani e dagli arruolamenti di massa, la manodopera non basta più a far funzionare le imprese normalmente; quasi tutti i settori dell’industria civile sono in recessione; l’inflazione corre, il deficit di bilancio di Mosca sale con l’aumento della spesa militare, mentre le entrate da petrolio calano. La Russia non sta bene. Dare oggi i mezzi a Kiev per resistere altri due anni avrebbe segnalato alle élite moscovite che Vladimir Putin, con la sua ossessione ucraina, è diventato un problema anche per loro».

Eccola, la ritrita nenia della pallottola sparata alla nuca di Vladimir Putin da un qualche oligarca della sua stessa cerchia, cui va stretta la politica del Cremlino: la “soluzione” di cui parlava qualche “analista” americano già più di dieci anni fa e oggi rimessa in circolazione dal ragioniere del Corriere della Sera, cui non farebbe male darsi un'occhiata alle reali cifre (da lui non menzionate) sul PIL russo, sulla crescita negli ultimi 3 anni (9,7%), sul calo dell'inflazione, sul deficit al 1,5%, sulle riserve auree e valutarie (741 miliardi di dollari). Ma, sghignazza il signor Fubini, convinto di aver sdoganato la formula che mette a tacere ogni pretesa russa, «Alla lunga il dittatore potrebbe dover scegliere fra continuare la guerra e tutelare il suo posto dentro al Cremlino». Eccolo lì: “zar”, “dittatore”, “autocrate”; il liberale non ha altri “argomenti” che non sia la mania di affibbiare epiteti che non significano nulla, antistorici e soprattutto aclassisti, che non dicono alcunché sui reali rapporti sociali di un paese che si pretende di descrivere, per un verso, affidandosi ai soliti “dissidenti oggi riparati all'estero” e, per un altro, ricorrendo a categorie prive di concreto contenuto sociale e classista.

Dalle parti di via Solferino è d'uso insomma affidarsi solo a grugniti; come quelli emessi da chi innalza peana bellicisti ai centocinquanta miliardi del cosiddetto programma “Safe” di diciannove paesi europei, come fa il signor Francesco Verderami ancora sul Corriere della Sera, gaudente per i «Mezzi corazzati per l’esercito, fregate per la Marina, jet da combattimento per l’aeronautica, droni, sistemi satellitari». Peccato che, singhiozza l'articolista, il tema incontri «la ritrosia dell’opinione pubblica, alimentata dalle polemiche partitiche e dalle manovre dei pacifinti». Brutti incoscienti che non siete altro, voi “pacifinti”, grugnisce il signor Verderami, che vi opponete ai carri armati, alle fregate, ai caccia e non capite che «i 150 miliardi sono stati distribuiti in modo da privilegiare i Paesi che hanno «maggiori emergenze». Tradotto vuol dire che le attenzioni sono state rivolte soprattutto agli Stati limitrofi al fronte russo: se l’Italia può disporre di 15 miliardi, infatti, la Polonia può attingere fino a 52 miliardi. È il segno dei tempi». Già: il segno di come le smanie di guerra dei “lattonzoli” delle cancellerie euro-atlantiste avvolgano anche i novelli “figli della lupa” di quelle redazioni in cui non si finge nemmeno di di volere la pace, ma si sventola a piene mani il vessillo della guerra. Farabutti.

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