Hamas e la Resistenza Palestinese
Negli ultimi tempi sono state avanzate varie pseudo-proposte fasulle per mettere fine ai combattimenti e al genocidio di Gaza, alle tensioni e uccisioni in Cisgiordania, e per arrivare ad una risoluzione della tragedia palestinese.
La totalità delle proposte provenienti da ambienti occidentali, da paesi come la Francia o il Regno Unito, dall’Unione Europea, ed anche dai paesi arabi moderati e reazionari, come l’Arabia Saudita o la Giordania, prevede un riconoscimento formale di un fantomatico Stato di Palestina, di cui non vengono in alcun modo precisati i confini, nè il grado di sovranità ed indipendenza. Queste proposte rientrano nella strategia dei “due stati”, ovvero la nascita di un’improbabile limitata entità palestinese priva di qualsiasi forma di indipendenza reale accanto ad uno Stato di Israele riconosciuto e potentemente armato, cui vengono assicurate tutte le garanzie di “sicurezza”.
Parte integrante di questa strategia è la cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese guidata da Abu Mazen, che, dopo aver proclamato il “riconoscimento” di Israele già alla fine degli anni ’80, e dopo altri anni di inutili trattative seguite agli Accordi di Oslo del 1993, si accontenta di amministrare qualche piccolo lembo della Cisgiordania: tutto questo sotto l’invadente controllo di Israele, che intanto continua ad espandere le sue colonie e ad alimentare una pulizia etnica ininterrotta. Nella mente degli Europei forse questi lembi di Terra potrebbero diventare il futuro stato palestinese sotto la direzione dei collaborazionisti dell’ANP.
Ma anche questa soluzione minima è negata dagli estremisti sionisti guidati da Netanyahu spalleggiato da fondamentalisti fanatici come Ben Gvir e Smotrich e sostenuto senza apparenti esitazioni e ripensamenti dal governo statunitense di Trump che continua a fornire ad Israele le bombe con cui stermina i Palestinesi e aggredisce i paesi vicini, come il Libano, la Siria, lo Yemen e l’Iran (probabilmente nella prospettiva del “Grande Israele”).
Queste posizioni diversificate hanno però una cosa in comune: ogni soluzione prevede l’esclusione da ogni futura amministrazione palestinese, o al limite lo sterminio, di Hamas, cioé della forza più importante della Resistenza armata palestinese (che per altro comprende altri gruppi islamici come la Jihad, ma anche organizzazioni della sinistra marxista o nazionalista araba laica come il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, il Fronte Democratico, il Fronte Popolare - Comando generale, e altri). In altre parole, a decidere chi dovrà governare la Palestina lo decidono le potenze coloniali straniere, e non i Palestinesi.
Sono state rivolte molte accuse ad Hamas: ed in particolare quella di essere stato favorito nel suo periodo di formazione (anni ’70 del secolo scorso) da Israele per indebolire i movimenti laici palestinesi, come Fatah, che allora erano considerati più pericolosi per lo stato ebraico. Queste accuse sono state recentemente ribadite anche da parte di esponenti della “sinistra” (vedi ad esempio le accuse avanzate da Manlio Dinucci, secondo cui addirittura l’attacco del 7 ottobre 2023 sarebbe stato favorito da Israele per poter scatenare la sua guerra). Altra accusa generalizzata è quella di essere un movimento puramente terrorista e fanatico.
Per quanto riguarda la prima di queste accuse, c’è da dire che Israele ha fatto male i suoi calcoli, visto che Hamas (acronimo che significa “Movimento di Resistenza Islamica”), dopo la sua creazione ufficiale nel 1987, è stato parte determinante delle due rivolte (intifade) iniziate nel 1987 e nel 2000, mentre i movimenti palestinesi laici, come – almeno in parte - anche Fatah, riuniti nell’ANP, diventavano sempre più moderati e collaborazionisti perdendo anni in inutili trattative.
Hamas inoltre si è dimostrato il movimento palestinese maggioritario vincendo ampiamente le uniche elezioni libere tenute in Palestina nel 2006 ed anche numerose elezioni amministrative locali. Gli è stato però impedito di governare in Cisgiordania dall’azione congiunta dell’ANP e di Israele, che ha comportato anche l’arresto dei deputati e degli amministratori regolarmente eletti, mentre a Gaza è fallito il colpo di stato tentato contro il governo di Hamas dall’ala più collaborazionista di Fatah guidata da Mohammed Dhalan (uomo di fiducia degli USA, e oggi diventato consulente dei servizi segreti degli Emirati Arabi Uniti, uno stato che ha coltivato negli ultimi anni ottimi rapporti con Israele).
Per quanto riguarda l’accusa di “terrorismo” (che però abbraccia l’intera Resistenza Palestinese), bisogna ricordare che le lotte di liberazione nazionale contro avversari potenti e spietati, colonialisti ed imperialisti, hanno sempre dovuto usare ogni mezzo violento per cacciare gli occupanti. Questo si può riferire alla Resistenza Algerina (chi non ricorda gli attentati descritti dal grande film di Gillo Pontecorvo, “La battaglia di Algeri” che fece tanto incazzare i Francesi?), così come alla Resistenza Vietnamita degli anni ’60 e ’70, e persino al Risorgimento Italiano o alla Resistenza antifascista ed antinazista del ’43-45.
Inoltre, della tanto deprecata azione palestinese del 7 ottobre conosciamo solo la versione israeliana ed occidentale ripetuta ossessivamente come per giustificare il genocidio in corso a Gaza. Si è trattato innanzitutto di un’azione militare che ha sopraffatto gli avamposti dell’esercito israeliano posti a guardia della Striscia di Gaza, assediata e bombardata da quasi 20 anni, e che ha comportato l’uccisione in battaglia di vari soldati e coloni armati. I miliziani erano inoltre interessati al rapimento di civili per scambiarli con migliaia di prigionieri palestinesi che languono da anni nelle prigioni israeliane. Molti dei civili che sono rimasti uccisi sono stati falciati dallo stesso fuoco “amico” indiscriminato dell’esercito israeliano, non molto interessato – sulla base della “Direttiva Hannibal” - a controllare se negli edifici colpiti vi fossero solo miliziani, o anche prigionieri israeliani.
Recentemente, durante una cerimonia di premiazione a Reggio Emilia, persino Francesca Albanese, che varie volte aveva criticato l’azione del 7 ottobre, ha dovuto ammettere che quella azione, anche se accusata di essere un episodio “terroristico”, è stata una grande vittoria politica della Resistenza che ha clamorosamente riaperto la “Questione Palestinese” che sembrava sepolta dagli Accordi di Abramo tra Israele e i paesi arabi reazionari.
In definitiva Hamas è nato come movimento politico islamico, braccio operativo in Palestina dei “Fratelli Musulmani” interessandosi all’inizio solo di azioni caritatevoli ed assistenziali. Poi si è trasformato in un movimento di Resistenza e si è dotato di un’ala militare. Il movimento, per quanto possa non piacere ai laici (come io stesso sono) è parte integrante e importante di quella Resistenza che è l’unica garanzia di liberazione per un popolo oppresso, come già per gli Algerini ed i Vietnamiti. Prima di criticare e prendere le distanze, ricordiamo anche la lezione di Lenin: “se l’Emiro dell’Afghanistan combatte l’imperialismo britannico, sta dalla nostra stessa parte”-
Roma, 29 settembre 2025, Vincenzo Brandi
Nota: "Mentre finivo la stesura di questo articolo è giunta notizia dell'irricevibile piano in 20 punti Trump/Netanyahu, che in pratica chiede la resa della Resistenza e contiene anche l'aggravante di voler affidare un posto di responsabilità al noto criminale Tony Blair"