I "consigli" dalla Commissione europea: "fai la tua parte per la pace. Lavora da casa!"
Ieri mi è capitato tra le mani un documento che davvero mi è apparso chiarificatore, illuminante per certi aspetti, davvero una lugubre e triste conferma di quanto avessimo ragione nell’affermare che vi sia una strategia ben precisa, nitidamente ormai individuabile, che prova a realizzare compiutamente una vera e propria rivoluzione sociale del nostro mondo, del nostro modo di vivere: meglio, prova ad impedire ogni nostro slancio partecipativo, ad inibire ogni nostro proposito di perseguimento democratico, ad annichilire i nostri spiriti.
Aveva ragione Preterossi quando con lucidità affermava che «il Covid fosse come l’euro» e ha ragione oggi nel denunciare come «la guerra sia come il Covid».
Siamo nel pieno della normalizzazione dello Stato di eccezione, che di eccezionale oggi non ha più la circostanza che lo rende necessario, la quale è del tutto irrilevante data la stabilità del sistema, bensì la brutalità nell’esercizio del potere, un potere del tutto delegittimato politicamente, ma che nondimeno interviene valicando il limite dell’espunzione di fondamentali, in quanto costituzionali, diritti sociali, politici, financo civili. Metterlo in discussione diventa impossibile, quasi “illegittimo”: l’emergenza presuppone ex se la necessità di sospendere il confronto politico e lo scontro politico, sacrificabili sull’altare dell’esigenza superiore, la crisi sistemica del momento (ora internazionale, ora economica, ora sanitaria, ora climatica: la sua natura è del tutto irrilevante, meramente pretestuosa).
Il documento cui vi accennavo l’ho trovato citato in un pezzo apparso sulle colonne de Il Tempo, a firma di Gianluigi Paragone (Follie da Bruxelles. I consigli di EuroPeppina per risparmiare). Si tratta di un documento ufficiale redatto dall’International Energy Agency con la Commissione Europea e dal titolo semplicemente farneticante: “Fare la mia parte: Come risparmiare denaro, ridurre la dipendenza dall'energia russa, sostenere l'Ucraina e aiutare il pianeta”.
In totale franchezza due sono gli aspetti che più mi hanno colpito nel documento: il primo riguarda il metodo, il secondo il merito.
Il metodo non sorprende ormai più e in perfetta coerenza con la logica della banalità del male, che pure è malvagità del banale (per riprendere un’espressione efficace di Gabriele Guzzi), prevede sempre e comunque la stessa inquinatissima ricetta: erosione dei diritti individuali delle persone, dei loro spazi e delle loro prerogative, tutto sacrificabile sull’altare di un qualche bene superiore. Che poi è male, perché le persone ci rimettono sempre: i deboli ne escono sempre più deboli, gli ultimi sempre più ultimi, i poveri sempre più poveri e, specularmente, i forti sempre più forti, i primi sempre più primi, i ricchi sempre più ricchi. E non ci sono più attenuanti o giustificazioni per chi non vede o per chi non coglie: dinanzi a tale regolarità di metodo, chi non riesce a comprendere deve necessariamente essere messo sullo stesso piano di chi non vuole farlo.
E poi c’è il merito. Io trovo semplicemente spaventoso affermare che se la persona vuole dimostrarsi vicina al popolo ucraino (e non entro nel merito della crisi internazionale perché in questo ragionamento non rileva, in quanto, ripeto, meramente pretestuosa!) debba optare per lo smart working. Davvero qui bisogna passare dal domandarsi quando raggiungeremo il limite al domandarsi se davvero esso esista o possa esistere. Che sia per fronteggiare la crisi sanitaria, piuttosto che quella internazionale, la risposta è sempre e comunque la stessa. Mi chiedo ossessivamente come si possa non vedere che l’obiettivo consiste proprio in questo, nel creare gli argomenti, sfruttando le circostanze contingenti, per imporre la soluzione del momento, che altro non è che il target originario che certe élite si sono poste. E se lo sono poste per tante e tante ragioni che ho provato ad esporre in così tante circostanze e modalità che davvero non mi sento di riassumere.
A parte quella più importante, la più coerente col disegno complessivo: la depoliticizzazione dei processi attraverso cui si giunge alla scelta delle politiche pubbliche da implementare. Attraverso la rinuncia degli spazi fisici, ad esempio, quelli nei quali tradizionalmente cresce la consapevolezza comune, la solidarietà sociale, e dunque gli stessi dove devono germogliare i principali slanci rivendicativi.
Abbiamo appena vissuto il nostro 25 aprile e ci avviciniamo al 1° maggio: vanno vissuti contestualmente, come un unico momento, quello della liberazione del lavoro. Perché l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
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Ho scritto “Contro lo smart working”, Laterza 2021 (https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858144442) e “Pretendi il lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi”, GOG 2019 (https://www.gogedizioni.it/prodotto/pretendi-il-lavoro/)