I diktat europeisti a Mosca, le proposte della Russia e il no di Kiev

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I diktat europeisti a Mosca, le proposte della Russia e il no di Kiev


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

La chiamano eucaristicamente “proposta”, anche se è molto difficile dire in cosa si distingua da un diktat, quello lanciato il 10 maggio dai satrapi euro-bellicisti riuniti per l'occasione al califfato di Kiev, con Vladimir Zelenskij che detta le condizioni “di pace” alla Russia: la “tregua” di trenta giorni architettata il 10 maggio a Kiev, dovrebbe cominciare già il 12 maggio e Mosca «deve accettare il cessate il fuoco incondizionato. Poi si deve proseguire col rafforzamento delle forze ucraine».

Tutti “devono” qualcosa; ma rimane da stabilire cosa “debba” fare la junta nazigolpista, oltre a continuare ad ammassare armi per tornare in condizione di riprendere gli attacchi alle regioni russe di confine. Del resto, le forniture occidentali a Kiev non sono cessate nemmeno durante i tre giorni di tregua proclamati da Mosca in occasione della Giornata della Vittoria del 9 maggio. Il punto è che le forze armate ucraine non sono più in grado di resistere e se ora non vengono “resettate”, rimpolpate di armi e uomini, da qui a fine anno potrebbero subire una molto probabile catastrofe.

Al Cremlino, comunque, non si sono scomposti più di tanto. Anzi, Vladimir Putin, in risposta all'ultimatum degli “euroquattro volenterosi” di Francia, Gran Bretagna, Germania e Polonia, non ci ha messo molto a fare la propria mossa. In una conferenza stampa straordinaria tenuta già nella tardissima serata del 10 maggio, il presidente russo ha proposto a Kiev di riprendere, senza alcuna condizione preliminare, colloqui diretti a Istanbul, mandati a monte dalla parte ucraina nell'aprile 2022 su “incoraggiamento” britannico. La data proposta è quella del 15 maggio e, già in quell'occasione, dovrebbe venir concordato un eventuale «reale cessate il fuoco»; ma, soprattutto, Mosca esige che si proceda a «eliminare le cause prime del conflitto» che, come ormai sanno anche i sassi, ma su cui continuano ad accumulare spropositi, sfacciate menzogne e volute omissioni i media proni a Bruxelles, risiedono nelle mire euroatlantiche di rafforzare il cordone militare, economico e politico anti-russo, servendosi per la bisogna del regime banderista, instaurato a Kiev nel 2014 dalle cancellerie di entrambe le sponde dell'Atlantico.

Da parte turca, pare sia stata già accordata piena disponibilità ad accogliere le delegazioni russa e ucraina. A quanto pare, però, Kiev non intenderebbe accogliere la proposta russa.

Ecco alcuni dei numerosissimi commenti apparsi in Russia dopo la proposta di Putin.

Dice l'osservatore Juri Podoljaka: se Zelenskij «ha qualcosa da dire, che non il solito “abbiamo bisogno di una pausa per raccogliere le forze”, allora la Russia è pronta a parlare. Parlare a lungo, per tutto il tempo necessario. E durante tutto questo tempo la guerra continuerà».

Il deputato Mikhail Deljagin ritiene che l'annuncio dei colloqui «contrapponga USA e Inghilterra (Trump e la City) nella lotta per il controllo su Zelenskij. Gli inglesi possono anche organizzare una provocazione a Istanbul per mandare tutto a monte». A parere del senatore Andrei Klišas, tutti gli «ultimatum degli sponsor europei del regime di Kiev sono rimasti inascoltati. Nonostante tutti gli sforzi degli “amici” di Zelenskij, l'iniziativa nella questione ucraina è completamente dalla parte della Russia, sia militarmente che diplomaticamente».

Ancora una volta, possiamo brevemente aggiungere, pensare di poter parlare con Mosca con il linguaggio dei diktat o dei ricatti, del tipo, nel caso specifico, che la responsabilità sarà tutta del Cremlino se non si sottometterà al taglieggiamento europeista, significa puntare deliberatamente a far fallire ogni “proposta negoziale”, per quanto, nuovamente, sia evidente la sua ipocrita facciata guerrafondaia.

Tra l'altro, nel corso della conferenza stampa notturna, Putin ha ricordato in dettaglio come le forze ucraine abbiano violato 137 volte sia la moratoria di un mese sugli attacchi alle strutture energetiche, sia la tregua di Pasqua e come, alla vigilia del Giorno della Vittoria, abbiano lanciato contro la Russia più di 500 droni, 45 droni marini e missili di fabbricazione occidentale, oltre a tentare di sfondare il confine in 5 punti.

Vladimir Zelenskij, istigato dai suoi sponsor europei, ha detto l'ex ministro per l'informazione della DNR, Danil Bezsonov, «non andrà in nessuna Istanbul. Non a caso, Putin ha ricordato così dettagliatamente le violazioni ucraine dei vari cessate il fuoco: la componente giuridica e la congruenza di tutte le sue decisioni sono molto importanti per lui. Cioè, tutto ciò che accadrà al fronte e con l'Ucraina in generale, sarà colpa di Zelenskij e dei curatori occidentali. Inoltre, Putin ha lasciato intendere che Trump non ha alcun controllo sulle sue “scimmie”, il che significa che non dovrebbe risentirsi per le ulteriori azioni della Russia».

Secondo il politologo Aleksej Pil'ko, anche se Zelenskij accettasse i colloqui, la Russia avanzerà richieste tali che il regime banderista di Kiev non accetterà: come era da attendersi, «l'ultimatum espresso in modo tanto sfacciato dal “Quartetto europeo”, è stato respinto dalla Russia: invece di una tregua di 30 giorni sotto forma di “congelamento” del conflitto sulla linea del fronte, Putin ha proposto di riprendere il 15 maggio i negoziati interrotti a Istanbul nel 2022... Mosca ha già pronta una posizione negoziale, dalla quale difficilmente si discosterà: confini costituzionali (cioè il ritiro delle truppe ucraine dai territori delle regioni DNR, LNR, Zaporož'e, Kherson), status neutrale dell'Ucraina e smilitarizzazione».

D'accordo in questo l'esperto militare Alexandr Artamonov: le parole di Putin sulla «eliminazione delle cause prime del conflitto rendono impossibile un accordo tra Mosca e Kiev. In sostanza, si tratta del ritorno alla questione della denazificazione, cioè di cambiare la pietra angolare del regime di Kiev».

Tentare di farlo con l'attuale junta è quasi una “contraddizione in termini”; è praticamente impossibile o insensato.

Igor Korotcenko, della rivista Difesa Nazionale, sintetizza così la situazione: l'Europa, con il «suo ultimatum, è stata mandata a quel paese; per Trump, rispetto; a Zelenskij è stato proposto di iniziare negoziati diretti a Istanbul il 15 maggio... Se rifiutano, continueremo le operazioni senza moratorie, colpendo gli impianti energetici» ucraini.

Il politologo Maxim Žarov lega la rigida posizione del Cremlino al successo dei negoziati con la Cina: Mosca «suggerisce a Trump di dare a Zelenskij l'ordine di andare a Istanbul per parlare con il Cremlino delle “cause prime” del conflitto. E se Trump non può farlo - e non può farlo: ci sono solo tre giorni per imporsi su Kiev! - allora il Cremlino “se ne lava le mani” ed è pronto sia al ritiro di Trump dai colloqui sia a una nuova escalation del conflitto».

Su una linea simile anche il politologo Sergej Markov: il cessate il fuoco di 30 giorni è stato «proposto da Europa e Ucraina come una richiesta, ma in forma di ultimatum sfacciatamente rozzo; significa che l'Europa e Zelenskij non si aspettano che la Russia lo accetti. Il loro obiettivo non è il cessate il fuoco. Il loro obiettivo è un conflitto tra Trump e Putin e il ritorno degli USA al loro ruolo di fornitori di armi a Kiev. Il loro obiettivo è obbligare Trump a combattere la Russia come con Biden».

Cosa ci sia, del resto, dietro tutta la sceneggiata del pellegrinaggio a Kiev di califfi, valvassori e ras euro-atlantici negli ultimi tre-quattro giorni, come in vista di qualcosa di estremamente urgente, pena il crollo repentino della junta nazigolpista, lo dimostra l'annunciata fornitura a Kiev di cinque potenti sistemi terra-aria da parte britannica. Il British Forces Broadcasting Service scrive che Londra trasferirà all'Ucraina altri cinque sistemi antiaerei “Raven”, atti a intercettare droni, missili da crociera e obiettivi aerei a bassa quota. Il sistema è stato sviluppato in soli quattro mesi sulla base di un camion blindato “Supercat HMT-600” che monta missili aria-aria a corto raggio “ASRAAM”.

Dalla primavera del 2023, la Gran Bretagna ha consegnato all'Ucraina otto di questi sistemi e altri cinque sono in fase di preparazione per la spedizione. I “Raven” sono stati impiegati in oltre 400 lanci di missili contro droni “Shahed”. 

E non pare che dalle altre capitali euro-belliciste sia stata annunciata alcuna moratoria sulle forniture di armi a Kiev. Anzi.

Insomma, a conti fatti, mentre Trump predice a Ucraina e Russia una “Grande settimana” a Istanbul, Macron rimane “cauto”, mentre Zelenskij fa dire di respingere la proposta di Putin: «Un giorno potenzialmente splendido per Russia e Ucraina!» scrive Trump sui social; «centinaia di migliaia di vite saranno salvate con la fine di questo interminabile “bagno di sangue”. Sarà un mondo completamente nuovo e molto migliore. Continuerò a lavorare con entrambe le parti per assicurarmi che ciò avvenga. Gli Stati Uniti vogliono concentrarsi sulla ricostruzione e sul commercio. Abbiamo davanti una grande settimana!».

I media ucraini osservano che la dichiarazione di Trump è redatta in modo tale da non chiarire quale proposta sostenga: quella di Zelenskij e degli Euroquattro, sul cessate il fuoco di un mese a partire da lunedì, o quella di Putin, sui colloqui diretti  russo-ucraini a Istanbul a partire da giovedì. Tacciono invece, per ora, Londra, Berlino, Varsavia.

Kiev, per bocca dell'eminenza grigia presidenziale, Andrej Ermak, ha invece respinto oggi la proposta russa: «Prima un cessate il fuoco di 30 giorni e poi tutto il resto». Esattamente il contrario di quanto avanzato dal Cremlino.

Da Parigi, Macron non esprime lo stesso ottimismo di Trump: a proposito della proposta di Putin, ha dichiarato che si tratta di un «primo passo, ma insufficiente». Tanto per non cambiare, si tenta di incolpare Putin di ciò cui puntano le stesse cancellerie europee: Putin «cerca una via d'uscita, ma in sostanza vuol guadagnare tempo», afferma Macron, quando il tempo è proprio quello bramato dall'Europa dei circoli politici ed economici guerrafondai per tentare di rimpolpare di armi e finanze il regime di Kiev, in attesa di nuove offensive.

A proposito della “cautela” di Macron valgono le parole: «Pesi dunque il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati; non diano retta a parole false!» (Esodo; 5,9).


FONTI:

https://politnavigator.news/putin-sdelal-svojj-khod-v-otvet-na-ultimatum-zapada.html

https://politnavigator.news/gotovyatsya-k-peremiriyu-britaniya-peredala-ukraine-pyat-moshhnykh-zrk.html

https://politnavigator.news/tramp-vanguet-ukraine-i-rossii-velikuyu-nedelyu-v-stambule-makron-ostorozhnichaet-a-zelenskijj-molchit.html

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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