I droni e le "urgenze" della storia secondo il Corriere
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
«L'urgenza delle scelte» scrive il signor Danilo Taino nell'editoriale del Corriere della Sera del 11 settembre, in prima pagina sotto il titolone «Raid in Polonia, Putin sfida la NATO», che dà direttamente conto della visione del foglio di regime euro-atlantico a proposito della vicenda dei droni – addirittura privi di carica esplosiva, dice la stessa Procura polacca – caduti in territorio polacco, forse persino là dirottati da precise interferenze radioelettroniche. E, in fondo, per «quanto allarmante possa apparire» scrive la polacca Gazeta Wyborcza, «un attacco con un drone non è sufficiente per scatenare una guerra con la Russia. Nessuno è rimasto ucciso o ferito... non è sufficiente per provocare un conflitto aperto con la Russia». E il Comandante delle Forze NATO in Europa, Alexus Grynkewich: «Se i droni fossero stati centinaia, si sarebbe applicato l'articolo 5, ma al momento non è del tutto chiaro cosa sia successo nello spazio aereo polacco».
L'imbarazzo delle scelte, invece che «l'urgenza», vien da chiosare sfogliando le altre pagine, fino all'undicesima, dello stesso giornale, alla vana ricerca di qualcosa che non somigli troppo alle pure e semplici veline lanciate da Bruxelles per convincere i lettori della malvagità di un “regime autocratico”, assetato di guerra contro le immacolate democrazie europee spinte, come ricordato meno di una settimana fa dal presidente della Repubblica italiana, da quelli che sono i “fondamentali” del liberal-europeismo: «percorso di pace, affermazione dei diritti, standard di vita», ecc. Com'è bello questo “liberal-europeismo”! Sembra di volteggiare nell'aere paradisiaco di un mondo incantato, immemori e lontani da qualsivoglia ricordo di guerre e massacri “portati in nome della democrazia”.
E invece no. Ecco che ci si ricorda. È così che, scrive ancora il Corriere della Sera con «Il Colle e il monito su Ucraina e Israele», improvvisamente, anche qualche capo di stato a corto di memoria su Iraq, Jugoslavia, Libia e altri, pacificati e democratizzati a suon di bombe, ecco che anch'egli, da Lubiana, si ricorda di aver letto un libro, da ragazzo, e allora, dice «Forse nessuno voleva far scoppiare la Prima guerra mondiale, ma l’imprudenza dei comportamenti, come spesso è accaduto nella storia, provoca conseguenze non scientemente volute». Così, per caso; le guerre scoppiano per «imprudenza», per droni caduti non si sa bene come e lanciati non si è stabilito bene da chi. Già, «per imprudenza»; proprio lo stesso concetto espresso da un altro Presidente, più di un secolo fa: «vivevano i popoli in pace e poi si sono azzuffati! Come fosse vero! Davvero si può spiegare la guerra senza metterla in relazione con la precedente politica di quello stato, di quel sistema di stati, di quelle classi?» (Lenin). Il medesimo, identico concetto, non vi pare? Non ridete. Ma, per carità, qui, a parlare, era un diabolico bolscevico, a capo di quella Repubblica allora sovietica, antesignana del moderno “asse del male”. Non c'è dunque da stupirsi che parlasse della politica di stati e di classi, a differenza di chi vede le cause delle guerre in qualche “comportamento imprudente”, quasi un von Clausewitz alla rovescia. Ma, che fare: anche a distanza di anni, il vecchio scudocrociato induce a pensieri preteschi, che invitano al confessionale della «uguale preoccupazione» i raid sionisti, mentre sferzano «come un’aggressione quel gravissimo episodio di droni giunti in Polonia», facendo sì che ci si avvii «su un crinale in cui, anche senza volerlo, si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata». Già, senza volerlo: sembra vero. Davvero, è proprio «senza volerlo» che il presidente della Repubblica italiana continua «a criticare le scelte guerrafondaie di Putin» (Monica Guerzoni) omeliando che «Quanto avviene in Ucraina sta accentuando queste prospettive gravi. Le dichiarazioni frequenti che vengono dal Cremlino, minacciose nei confronti di Paesi europei, sono un elemento che induce all’allarme»? Davvero ripete l'appello a questa Europa perché dimostri «l’aspirazione alla pace che la contraddistingue» e che l'ha contraddistinta, aggiungiamo, in Libia, Iraq, Jugoslavia, ecc.? Anche quella «aspirazione alla pace» era venuta per «l'imprudenza dei comportamenti»?
E dunque, scrive il signor Danilo Taino, «L'urgenza delle scelte». Quali? Anche qui, rimandi e ripassi di “storia”; di quella “storia” confezionata alla Walther Hofer, che nel 1964 parlava di “due regimi totalitari che cospirarono per dividere l'Europa in sfere di influenza esclusive». Quella “storia” rimescolata più di recente dalla signora Anne Applebaum (di questo, più avanti) e che parte dall'assioma euroliberale di una Polonia che sarebbe un «Paese sul confine Est dell’Europa», oltre il quale, si sottintende, non si tratta più di Europa, ma di territori in cui cavalcano orde asiatico-mongole; un paese che «è ancora una volta aggredito». Intendiamoci, non è come 86 anni fa, con le «colonne militari di Hitler e di Stalin che, settembre 1939, attraversano i confini», ma siamo comunque di fronte a qualcosa di «più di una provocazione. Sono un’azione di avvertimento, a Varsavia ma soprattutto all’Europa e alla Nato»: state attenti, ascoltate l'oracolo di Merlino-Kubilius, tra «cinque anni, o forse anche prima», vi attacchiamo.
Ora, un'altra storia ci dice che il 17 settembre 1939, dopo che a Varsavia era scomparsa qualsiasi forma di governo e l'intero territorio polacco era in balia delle truppe hitleriane, i reparti sovietici mossero a liberare le regioni occidentali di Bielorussia e Ucraina, occupate dalla Polonia sin dal 1921. Questo è quanto, spiegato in due righe al signor Taino, il quale scrive comunque di un Vladimir Putin che «minaccia l’unione europea» e ritiene «che sia arrivato il momento di sfiancare definitivamente un’Europa che disprezza e ritiene inerme. Un nuovo passo estremamente aggressivo». Insomma: nel '39 erano Hitler e Stalin a dividersi la Polonia; oggi sarebbero Putin e Trump a cercare di mettere in ginocchio l'angelica Europa e quella «aspirazione alla pace che la contraddistingue». E allora, forza: ciò «che certamente i governi europei devono fare con urgenza, se non vogliono trovarsi presto con le spalle al muro, è preparare una risposta di breve e di lungo periodo a Mosca. Senza questo, da ieri è più che mai chiaro che Putin non si fermerà». Dopo l'Ucraina, attaccherà un «paese europeo, o forse più di uno», in base al vaticinio di Andrius-Merlino-Kubilius. Dunque, “popolo europeo, corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!”, tira su «un muro anti-droni sui confini orientali della Ue»; anche un muretto a secco, di quelli artigianali, «non decisivo ma da considerare». E che i “volonterosi” si sbrighino a mandare soldati, magari non ancora in Ucraina, solo «truppe da stazionare in Polonia o altrove»; stanziamo ancora più soldi per «l’industria militare di Kiev». Facciamoci dare «consigli preziosi» dai militari nazigolpisti e dato che «il loro esercito è ormai il più avanzato al mondo», invitiamoli «nelle commissioni militari della Ue», specie ora che ci apprestiamo a portare 50.000 “volenterosi” in Ucraina per spartircela, secondo i piani franco-britannici.
È il momento «di fare scelte politiche adeguate alla gravità della situazione. Sono in condizioni, i Paesi europei, di farle? Questa è la grande domanda». Ancora una volta, come d'uopo per chi aspiri alla mobilitazione bellicista delle masse, anche il signor Taino si dice preoccupato perché le «opinioni pubbliche continuano in buona misura a dirsi dalla parte di Kiev ma mostrano una percezione limitata del rischio che corre il continente». State attenti, ammonisce il signor Taino, in «non pochi Paesi della Ue esistono quinte colonne filorusse più che mai attive. Oltre a queste — composte da provocatori, intellettuali, media, leoni dell’internet... Anche in Italia, ci sono, sia a destra sia a sinistra, posizioni che simpatizzano apertamente per le politiche della Russia». E allora, tappiamo la bocca a quanti si permettono, ancora oggi, di protestare per i tagli a sanità, pensioni, lavoro, istruzione: non si rendono conto che i soldi servono a sostenere la testa di ponte della “democrazia ucraina” contro una Russia che costituisce una «minaccia esistenziale» per l'Europa? Che tacciano, dunque.
Parlino invece gli “storici”, quelli come Anne Applebaum, in questo “digest” del Corriere dedicato alla “storia” euroedulcorata e sentenzino che «Vladimir Putin considera russo qualsiasi territorio che sia stato calpestato nel passato da soldati russi». E se lo dice lei, che è una «nota esperta della storia dell’est europeo [e che] ci parla per telefono da Varsavia», scrive il signor Lorenzo Cremonesi, è tutto. Già: da Varsavia; perché lei, la «nota esperta», premiata a suo tempo dall'ex presidente golpista ucraino Petro Porošenko per le encicliche sul “golodomor” staliniano ai danni degli ucraini che, dice, non volevano essere sovietizzati, non è altro che la degna consorte dell'altrettanto degno “americano” Rodoslaw Sikorski, periodico ministro degli esteri polacco che, tanto per ridere, si era distinto per quel «Thank you USA» dopo il sabotaggio al North stream. Un figurone; degno delle omelie “storiche” della consorte. Quella Anne Applebaum che, appena nel giugno scorso, su La Stampa, aveva sentenziato di una «una rete transnazionale», una cordata guidata da «Russia, Cina, Iran, Venezuela, Corea del Nord, Bielorussia e altri», che «rifiutano la democrazia». Al solito, la loro “democrazia” è tale di per sé: mai una volta che ne specifichino i contenuti (e perché mai?) i caratteri di classe (oddio!), le valenze storiche (ma dio ne guardi!). No: è “democrazia” e tanto vi basti.
Dunque, dice la “storica”: «Ne ho parlato tante volte, ma occorre ripeterlo ancora oggi: visto che i soldati russi sono stati nel passato tra gli altri luoghi anche in Polonia, negli Stati baltici e persino in Germania, Putin non ha alcun problema a considerarli parte legittima delle zone di influenza russe». Proprio come uno che va al mare sullo stesso scoglio dell'anno prima, non si fa problemi a considerare quello scoglio «parte legittima delle» proprie nuotate. E i droni caduti in territorio polacco sono stati «un attacco deliberato» (Cremonesi), dato che, dice la signora Applebaum, «non si tratta di un incidente o di errori dovuti alle interferenze delle difese elettroniche. Donald Tusk ha parlato di 19 droni entrati nel suo spazio aereo: chiaro che è un azione concertata. Nessuno in Polonia parla del jamming, nessuno ci crede». Ma, di nuovo la nostra raccomandazione ai lettori è quella di non ridere, perché la signora in questione è sicura che «Putin sta perdendo l’offensiva di terra in Ucraina. Il suo esercito subisce decine di migliaia di morti, feriti e dispersi. Le casse dello Stato sono in deficit per le enormi spese militari che non aveva previsto nel 2022. E, nonostante tutti questi enormi sforzi, le sue unità avanzano con una lentezza esasperante. Quello che Putin cerca di fare adesso è abbattere il morale e la volontà di resistenza ucraini e con loro magari anche quelli del fronte occidentale». Ecco l'intera “storia” spiegata ancora una volta alla maniera miracolistica del Sacro Graal: i russi fanno la guerra con le vanghette da trincea e coi droni che vagano nei cieli senza meta precisa e dunque «avanzano con una lentezza esasperante». Per cui, al Cremlino non rimane altra via che andare per tentativi: «da lungo tempo ormai Putin sfida la Nato. Ci sono state azioni di sabotaggio, incendi, assassinii mirati in Europa (tra l’altro in Spagna e in Germania), episodi di guerra cibernetica: semplicemente si è preferito sottovalutarli, non prenderli sul serio».
È ora arrivata «L'urgenza delle scelte»: parola del Corriere della Sera, quando, come ottantacinque anni fa, «L'ora segnata dal destino batte nel cielo», questa volta dell'Europa; «L'ora delle decisioni irrevocabili», questa volta per i “volenterosi” di muover guerra a Vladimir Putin che «minaccia l’unione europea», per cui, come avvertiva Zbigniew Brzezinski, «il nuovo ordine mondiale deve essere costruito sulle rovine della Russia, a spese della Russia e contro la Russia».
Le “rimembranze storiche”, come pure le dimenticanze storiche, possono fare brutti scherzi.