Il 20° Congresso del PCC e il futuro della Cina. Intervista a Fabio Massimo Parenti
Intervista con il Professor Fabio Massimo Parenti
di Pietro Fiocchi e Chen Ji
“La leadership di Xi Jinping ha garantito una proiezione internazionale della Cina e uno sviluppo interno straordinario”
In occasione di questo prossimo Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, evento politico che riteniamo di particolare importanza, per comprenderne il potenziale e i possibili riflessi su dinamiche ed equilibri internazionali, ci rivolgiamo ad un esperto di settore, il professor Fabio Massimo Parenti.
Fabio Massimo Parenti, Ph.D. in geopolitica, geostrategia e geoeconomia, attualmente è professore associato alla China Foreign Affairs University di Pechino, dove insegna International Political Economy, è docente al Lorenzo de’ Medici – The Italian International Institute di Firenze. E’ membro del Laboratorio BRICS di Eurispes (ente privato italiano che svolge ricerca politica, economica e sociale) e ricercatore al Central China Economic Region Research Institute.
Il Professor Parenti è autore di saggi fondamentali come Mutamento del sistema-mondo (2009), Geofinanza e geopolitica (2016), Il socialismo prospero (2017) e in ultimo La via cinese – sfida per un futuro condiviso (2021).
Professore, il 20° Congresso Nazionale del PCC è un momento importante in Cina per tutto il popolo. Secondo lei, al di fuori della Cina, quale significato e importanza potrebbe avere questo evento per i popoli e i leader politici di altri paesi?
Tutti stanno attendendo questo Congresso che dovrebbe riconfermare la leadership di Xi Jinping. Sarebbe una grande novità nella storia della Repubblica Popolare, perché sarebbe la prima volta dopo l’esperienza maoista che un presidente viene confermato per il terzo mandato sulla base delle modifiche che sono state apportate negli anni passati. Quindi questa è la prima novità.
La leadership di Xi Jinping ha garantito una proiezione internazionale della Cina e uno sviluppo interno straordinario, con una accelerazione sugli obiettivi principali del Partito e del paese per la riduzione e la sconfitta della povertà assoluta in Cina. Sotto Xi Jinping si è accelerato il processo di modernizzazione del paese e si sono garantiti degli obiettivi sociali molto importanti e molto significativi, unici nella storia del paese e a livello mondiale.
Questa conferma e le nuove linee e i nuovi obiettivi che emergeranno dal Ventesimo Congresso rappresentano un evento importantissimo soprattutto per i paesi cosiddetti non allineati, che rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale e che trovano e vedono nella Cina un partner sempre più fondamentale e insostituibile per ambire a processi di emancipazione, se non analoghi a quelli della Cina, comunque significativi per tutta l’Africa, gran parte dell’Asia, così come per l’America del Sud.
Ci sarà un’attenzione entusiastica da parte degli ex paesi del Terzo Mondo, mentre ci sarà un’attenzione sempre faziosa da parte dell’isola occidentale, che cercherà sicuramente di rimarcare caratteristiche autocratiche del sistema, speculando su questo terzo mandato, e che andrà a sottolineare e a manipolare alcuni aspetti che emergeranno dal Congresso al fine di consolidare un’immagine negativa della Cina.
A livello di comunità internazionale questo passaggio sarà fondamentale perché la Cina rimane il motore dell’economia mondiale. Si spera che le nuove linee guida, che sicuramente saranno in continuità con ciò che è stato già stabilito da tempo, possano dare ulteriore fiducia e speranza nel consolidamento di questo ruolo costruttivo che per esempio attraverso la Belt & Road Initiative la Cina sta giocando nel garantire un riequilibrio rispetto all’egemonismo occidentale e in particolare quello statunitense.
Le politiche statunitensi vengono sempre più rifiutate e tenute a distanza al di fuori dell’Occidente, nel cosiddetto mondo emergente, come vediamo ad esempio nel caso dell’esperienza dei paesi BRICS,che stanno ricevendo sempre più richieste di adesione da parte di nuovi paesi emergenti in Asia e in America latina.
Professore, Lei ha scritto molto su questioni globali, sull'iniziativa Belt and Road. Ha spesso previsto lo sviluppo di fatti e tendenze. Secondo Lei, in questo nostro tempo post-pandemia, quali strategie politiche internazionali dovrebbero essere messe in atto, rispetto a società ed economia, per far ripartire tutto? Quali opportunità ci offre in questa direzione la Belt and Road?
Io penso che le cosiddette Nuove Vie della Seta rappresentino un modello unico e ancora in fase di sviluppo. La Belt & Road Initiative rispetto all’inizio si sta concentrando sempre più su investimenti che vanno al di là del discorso infrastrutturale e quindi mi riferisco a investimenti in scuole, ospedali e non solo ferrovie e porti e fibre ottiche.
Questa iniziativa sta divenendo un modello per i paesi non allineati perché offre delle opportunità per le economie reali di diverse regioni del mondo che non troviamo altrove: nel senso che il cosiddetto blocco occidentale nordatlantico ha cercato e sta cercando di replicare delle iniziative simili ma di fatto non ha ancora avanzato dei piani di investimento particolarmente significativi.
Alcuni piani di investimento occidentali sono stati lanciati come slogan, in pochi casi le risorse previste sono piuttosto limitate, e di fatto non si sa nulla sulla capacità di queste iniziative di avere un impatto reale così come lo sta avendo la Belt & Road Initiative, che secondo me è il modello da seguire rispetto alle crisi globali, il modello centrato sulla cooperazione economica e culturale, sul dialogo e sul rispetto reciproco. Questi ingredienti vanno ribaditi, perché sono gli unici che possono garantire una ripresa lì dove si sta soffrendo e andrebbero anteposti per qualsiasi iniziativa globale.
Io vedo in questa azione e proiezione cinese all’estero, da un punto di vista economico politico, una crescita continua così come è cresciuto il numero di paesi che chiedono di partecipare a questo progetto, malgrado i tentativi di screditare questa iniziativa da parte dell’Occidente.
La Belt & Road Initiative è un laboratorio, si è sempre articolata su nuove sfere di intervento, partendo dall’obiettivo di connettere maggiormente le regioni del mondo, anche al loro interno, arrivando a fornire una modalità di cooperazione pacifica tra paesi che non implichi una forte interferenza politica se non nella dimensione del coordinamento politico per gestire gli affari globali e i grandi problemi a livello internazionale: terrorismo, cambiamento climatico, ora recessione o cooperazione nel campo della salute.
La Belt & Road è aperta a suggerimenti, i suoi artefici e promotori sarebbero felici se l’Occidente riuscisse realmente ad investire in economia reale nei propri processi di proiezione internazionale. Infatti mentre noi cerchiamo di creare dei progetti antagonistici alla Belt & Road Initiative, la Cina rifiuta questo tipo di approccio ed è pronta a plaudire ad iniziative che come la Belt & Road Initiative vadano a colmare i gap di sviluppo e a riformare la governance globale.
A volte i media occidentali fraintendono le buone intenzioni della Cina. Cosa ne pensa della filosofia cinese in materia di cooperazione e sviluppo?
Il fraintendimento è quasi sempre un fraintendimento strumentale e voluto, quindi non è un autentico fraintendimento, è la volontà di dipingere la Cina come una minaccia. Questa cosa è andata avanti fin dall’inizio degli anni Duemila e oggi ha subito un’accelerazione nella costruzione degli immaginari collettivi all’interno dell’Occidente e il tentativo che l’Occidente fa di diffondere anche al di fuori questi immaginari per allontanare il mondo dalla Cina.
Ovviamente sono operazioni difensive che vengono portate avanti dall’Occidente declinante, che vengono portate avanti con pratiche molto violente, che combinano censura a interferenze politiche pesanti per allontanare amici della Cina da attività politiche, da contesti istituzionali.
Il sistema US-Nato sta cercando di andare avanti su questa strada con strategie offensive ma alla fine si tratta di una reazione difensiva, anche se questo non toglie nulla ai pericoli che stanno ingenerando in giro per il mondo, dal cuore dell’Europa, con le interferenze nel conflitto russo-ucraino, alla questione Taiwan e alle numerose e crescenti provocazioni nel Mar Cinese Orientale e Meridionale.
Il fraintendimento è appannaggio di quel pezzo significativo di opinione pubblica occidentale e in parte anche non occidentale che cade nella trappola propagandistica della manipolazione moderna occidentale, dell’informazione, che ha un obiettivo geopolitico ben preciso: isolare la Cina, cosa pressoché impossibile, o comunque di peggiorare la sua immagine internazionale, che però è invece migliorata costantemente e in maniera consistente soprattutto nell’arco degli ultimi venti anni.
E’ vero anche che oggi la Cina ha un serio problema interno, ovvero la gestione molto rigida della pandemia e che se non sarà aggiornata per garantire una maggiore flessibilità, potrebbe iniziare ad intaccare anche il benessere interno e dunque lo stesso processo di sviluppo, sia sul piano interno sia su quello di interconnessione con il resto del mondo.
Quindi tutto ciò potrebbe fare della Cina un paese più chiuso rispetto ad altre aree del mondo, pur avendo la Repubblica Popolare delle tradizioni filosofiche che si concretizzano nella cultura diplomatica, nelle politiche di internazionalizzazione. Tradizioni filosofiche che sono assolutamente costruttive e sempre a favore della cooperazione, a favore di compromessi che possano evitare di danneggiare i soggetti coinvolti e le dinamiche globali.
La Cina ha un patrimonio culturale che è una ricchezza per tutti i popoli del mondo, così è stato nella storia e così è oggi che la Cina ha un grande peso economico e politico . Queste tradizioni basate sulla solidarietà, sulla coesistenza pacifica, sulla non interferenza, che non vuol dire non avere influenza politica, ma che significa non avere volontà di manipolare i processi politici all’interno.
E’ ovvio che la presenza di istituzioni culturali e simili hanno anche un impatto di coordinamento politico, però questo rientra nella buona cooperazione, nell’avanzamento di una cooperazione tra regioni del mondo e tra popoli. Diverso invece sono le strategie occidentali di interferenza nei processi elettorali, o quelle che portano a finanziare gruppi politici al fine di destabilizzazione, come nel caso dei tentativi più o meno riusciti delle rivoluzioni colorate.
Le politiche di Pechino e il suo modo di rapportarsi con il resto del mondo, con entrambi alla base i principi della filosofia cinese, sono assolutamente condivisibili, direi universali ed esprimono il meglio dell’internazionalismo socialista, non in forma ideologica, ma in forma di coesistenza, di ricerca costante attraverso il dialogo di qualsiasi forma di compromesso che consenta di raggiungere dei risultati vantaggiosi per tutti.
Questo è l’opposto di quello che ci offrono oggi una filosofia e cultura politiche occidentali, che in ultima istanza cercano il dominio, come primo fra tutti fa il mondo anglosassone, al vertice della piramide egemonica internazionale, ma anche altri paesi europei che sembrano seguire questo esempio anche contro i loro stessi interessi.
Questa filosofia cinese si può mettere a frutto. Ma non vedo a breve termine la possibilità affinché tale filosofia politica possa risolvere le attuali tensioni internazionali, perché dall’altra parte ci sono gruppi di élite assolutamente folli, che pur di difendere un millimetro di egemonismo in via di evaporazione, sono disposti a operare esclusivamente nel campo della irrazionalità a prescindere dai buoni suggerimenti che per esempio vengono dalla Cina sulla questione russo-ucraina fin dall’inizio.
Se da parte europea, sotto Washington, non c’è di fatto la volontà di dialogare perché si continua ad alimentare l’immagine di un nemico che va sconfitto e che per far questo interviene, direttamente o indirettamente, col sostegno militare alimentando la guerra è ovvio che i riferimenti cinesi volti al dialogo, a trovare soluzioni alternative, ad abbassare i toni, a cercare di pensare un’Europa più autonoma, anche di organizzare un proprio piano di sicurezza regionale, quello che offre la Cina rimane assolutamente inascoltato.
Mentre noi non seguiamo questi buoni propositi universali suggeriti dalla Cina, dall’altra parte la Cina si trova costretta ad affrontare le gravi provocazioni da parte degli Stati Uniti rispetto a Taiwan.
Il riferimento ideologico dominante in Occidente è la nostra supremazia, una forma di razzismo ovvero che anche se il mondo è cambiato noi rimaniamo i popoli superiori.
Per quanto riguarda il 20° Congresso del PCC, quale è il Suo messaggio ai leader cinesi?
Il mio messaggio a loro è di continuare sulla strada dello sviluppo interno, che non può prescindere dall’integrazione internazionale e quindi di evitare la chiusura a causa di queste provocazioni.
E’ importante continuare sulla strada della doppia circolazione, quella formula elaborata nei Piani quinquennali dalla dirigenza cinese e che riguarda la necessità di trovare un equilibrio tra lo sviluppo interno e quello internazionale. Una strada che i cinesi percorrono fin dagli Anni ’80 e che hanno affinato negli ultimi dieci anni, cercando di accelerare, considerate le tensioni internazionali, i boicottaggi e le sanzioni, la modernizzazione e l’indipendenza economico-tecnologica del paese focalizzandosi molto sulla costruzione di un fortissimo mercato interno.
La Cina non è più la fabbrica del mondo e non è più dipendente dalle esportazioni. Oggi la Cina è un paese inventore, all’avanguardia. Nel paese c’è un costante incremento delle importazioni, come dimostra il China International Import Expo.
Io consiglierei di continuare a lavorare su quegli aspetti che ancora hanno bisogno di un percorso lungo, come la realizzazione di una civiltà ecologica, la ricerca e la realizzazione di progetti il più possibile sostenibili nel lungo periodo in termini ecologici. Non perdere mai l’ispirazione socialista e avere sempre più attenzione allo sviluppo sociale del paese.