Israele e l'apertura del Fronte Nord

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Israele e l'apertura del Fronte Nord


di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico


La narrativa del mainstream occidentale in merito alla crisi innescata con l'invasione di Gaza da parte israeliana è semplice e di facile presa: dopo gli attentati terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023 (data immediatamente contrabbandata dagli spin doctors israeliani come l'11 Settembre del paese) Israele aveva acquisito il diritto di intentare una grande invasione di terra a Gaza che è un'area governata da Hamas. L'operazione di terra inevitabilmente si è immediatamente trasformata in una carneficina di civili palestinesi: ma anche questo elemento non ha fermato il governo di Netanyahu che è rimasto totalmente indifferente alle enormi pressioni internazionali che sono anche sfociate in una denuncia, da parte del Sud Africa, alla Corte Internazionale di Giustizia, massimo organo giurisdizionale dell'ONU che proprio in questi giorni ha deliberato che Israele sarà messo sotto processo addirittura per possibile genocidio del popolo palestinese.

Siamo stati facili profeti, il disastro diplomatico (che avrà costi enormi per Israele) ma anche la non facile operazione militare costata ingenti perdite  umane e materiali non è stata vantaggiosa e anzi, non pare azzardato sostenere, che ha un trade-off assolutamente in perdita per Tel Aviv.

Le alternative sono due, o Netanyahu è completamente pazzo e sta portando avanti una azione politica dannosa per Israele oppure la narrazione che il mainstream ci sta propinando da mesi è totalmente sbagliata, o forse, più probabilmente, è una cortina fumogena idonea a non far capire al grande pubblico né i reali mandanti né i reali obbiettivi di questa operazione.

L'abbiamo detto più volte: se Israele non ha alcun interesse a portare avanti una operazione così folle che rischia di far esplodere il Medio Oriente, oltre che di danneggiare irrimediabilmente i rapporti diplomatici con tutti i paesi dell'area e anche con tutti i paesi “emergenti” del mondo, lo stesso non si può dire del grande alleato di Tel Aviv, ovvero gli Stati Uniti, la grande potenza del XX° secolo, strutturalmente ormai in fase declinante.

Washington ha l'interesse ha far esplodere l'intero Medio Oriente  al fine di danneggiare i BRICS  e in particolar modo la Cina e la Russia. Inutile ricordare che da gennaio di quest'anno sia l'Arabia Saudita che l'Iran sono entrati nel BRICS, dunque Riyad sta inesorabilmente dall'orbita dei paesi alleati di Washington mentre l'Iran sta rientrando nel consesso internazionale dopo decine di anni di isolamento imposto proprio da Washington dopo la rivoluzione degli Ayatollah che scalzò lo Scià.

Con l'entrata in forze di Cina e Russia in Medio Oriente si configura dunque un rischio mortale per Washington; un'area di mondo di grande valenza strategica sia per le enormi riserve energetiche sia per il posizionamento geografico a cavallo tra tre continenti rischia di diventare contendibile dalle potenze antagoniste.

Dunque una crisi, questa in Medio Oriente, che realmente può essere spiegata solo seguendo la logica della “Guerra Mondiale a pezzi” individuata da Papa Francesco. Una serie di guerre apparentemente tra loro slegate ma dove in realtà degli stati fantoccio combattono proxy war per conto delle grandi potenze, ognuna delle quali che tenta di soverchiare gli interessi dell'avversario nell'area contesa e possibilmente di espellerlo direttamente dai paesi in conflitto. Abbiamo visto la medesima situazione prima in Ucraina con la Nato che ha tentato di espellere la Russia dal paese nonostante almeno metà della popolazione sia etnicamente russa. Abbiamo visto lo stesso con la guerra tra Armenia e Azerbaijan dove gli occidentali hanno soffiato sul fuoco del conflitto con la speranza che l'Armenia uscisse dall'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (si tratta dell'alleanza militare dei paesi ex sovietici capeggiata dalla Russia), tutto questo con la malcelata speranza di espellere definitivamente Mosca dal Caucaso meridionale proprio a causa della perdita dell'alleato armeno. Per non parlare poi dell'Africa subsahariana ormai agone dello scontro tra potenze occidentali e Russia e Cina dall'altra parte.

Anche Israele non è riuscita a smarcarsi da questa logica perversa, a mio avviso. Infatti un senso logico all'operazione di Gaza lo si riesce ad avere solo nell'ottica di vedere questa assurda carneficina come una provocazione verso tutto il mondo arabo per arrivare così all'esplosione del Medio Oriente. Tutto ciò nell'interesse americano di riuscire a bloccare la penetrazione russa e cinese nell'area. Sul perchè Tel Aviv abbia acconsentito a questo è presto detto: Israele è un paese ricchissimo (ben 55 mila dollari di Pil pro-capite) nonostante sia circondato da nemici, ciò grazie agli enormi trasferimenti tecnologici, economici, finanziari oltre che all'appoggio diplomatico e militare incondizionato che riceve dagli USA. Gli americani danno tanto, anche per decenni, ma presto o tardi vengono a riscuotere i crediti e a chiedere la restituzione dei favori.




La strategia americana di usare Israele come un paese vassallo ha ottenuto un primo risultato tangibile: l'apertura del fronte yemenita e la sostanziale chiusura dello stretto di Bab el-Mandab con ingenti danni commerciali. Anche questo conflitto rappresenta un aumento della instabilità nell'area e dunque un risultato tangibile nella strategia del caos progettata a Washington.

Tuttavia sta per aprirsi il fronte probabilmente più importante. Israele va da settimane accumulando truppe e mezzi verso il confine con il Libano e ha chiesto il ritiro delle milizie di Hezbollah sulla sponda nord del fiume Litani. La richiesta che pare sia stata prontamente respinta dal “Partito di Dio” libanese di ispirazione sciita, nonostante la mediazione del vice capo dell'intelligence tedesca (1) che – secondo alcune fonti – avrebbe incontrato incontrato Naim Kassim, vice del leader di Hezbollah, proprio nel tentativo di chiedere ai combattenti di Hezbollah di ritirarsi oltre il fiume Litani e consentire all'esercito libanese e all'UNIFIL di prendere il controllo.

La proposta israeliana ha un chiaro intento provocatorio, perché appunto l'obiettivo di fondo non è tanto quella di allontanare le milizie sciite di Hezbollah ma proprio quello di arrivare ad una invasione del Libano che ormai gli stessi media israeliani danno per quasi certa.

Si noti peraltro che un conflitto diretto tra il Libano e Israele rischia immediatamente di saldarsi con un altro grave conflitto che si combatte a poche decine di km di distanza: quello siriano dove i lealisti di Assad sono sostenuti anche da un grosso contingente russo.

La guerra mondiale a pezzi rischia di aprire un nuovo tremendo capitolo e di diventare sempre più incandescente.

 

 

NOTE

(1) The Cradle, German intelligence failed to persuade Hezbollah to stop operations against Israel: Report – 24 Gennaio 2024

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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