“Istanbul 2022” e le (bizzarre) dimenticanze del Corriere della Sera
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Insistono sull'invio di "forze di pace" in Ucraina per far saltare ogni negoziato: «gli europei parlano apposta di forze di pace. Non importa se saranno davvero presenti o meno. Sanno che finché continueranno a minacciarne l'invio, non ci sarà pace» dice a radio Komsomol'skaja pravda l'ex maggiore dell'esercito americano Stanislav Krapivnik. E il loro obiettivo principale è proprio quello di garantire che la guerra non si fermi in nessuna circostanza.
Ovviamente, nelle cancellerie europee e in quei covi di terrorismo psicologico che sono le redazioni dei giornalacci di regime si assicura che siano invece i russi a intrigare «negoziando sui negoziati», per andare avanti nel conflitto, perché «Putin non è sazio, non può uscire dalla guerra così», sentenzia il signor Federico Fubini sul Corriere della Sera del 21 agosto. Deve continuare, perché ha «fallito» sin dall'inizio; perché «la Russia non è una democrazia. Tutto questo deve mettere in guardia gli occidentali, ora che si apre una fase vitale dei negoziati». Ha “fallito” a tal punto da aver «speso 500 miliardi di dollari non in educazione, sanità o tecnologie per la Russia» continua l'egregio “analista”, sbeffeggiando consapevolmente in tal modo le masse italiane che, già da anni tartassate da tagli a sanità, salari, pensioni, istruzione, si sono viste depredare ancor più dei diritti vitali e delle garanzie sociali, proprio per il “sacrosanto dovere” di sostenere con soldi e armi l'Ucraina nazigolpista.
«Putin farà di tutto per trascinare la trattativa “di pace” per settimane e mesi» prosegue il bellimbusto euroliberale, «dopo aver strappato a Donald Trump la concessione più subdola: nel frattempo, non occorre nessuna tregua. A quel punto getterà ancora più uomini nel tritacarne per cercare di piegare a proprio favore la situazione sul terreno, quindi per far pesare quest’ultima ai tavoli di pace. Spererà che le democrazie, mentre negoziano, si concentrino sulle trattative e non nel sostegno militare all’ucraina». Di qua le “democrazie” per assioma; di là, i vertici dell'asse del male per definizione: questi i punti cardinali di via Solferino.
Ma andiamo al di là dei meridiani geografici del Corriere della Sera e proviamo a dire che sia invece l'Occidente a dimostrare una mancanza di reale interesse alla risoluzione del conflitto ucraino.
La firma di un memorandum sulla cosiddetta "assistenza per lo svolgimento delle elezioni", mascherato da una retorica a sostegno della democrazia, è in realtà uno strumento per legittimare il regime di Kiev e inasprire ulteriormente il conflitto, afferma il politologo Daniil Baranov.
L'idea stessa di organizzare elezioni in condizioni in cui una parte significativa della popolazione è emigrata e le principali forze politiche sono messe al bando appare di un cinismo politico assoluto. Non si tratta di un processo democratico, ma di uno spettacolo ben pianificato, concepito per creare l'apparenza di un “sostegno popolare” all'attuale governo. Dietro questa mossa si cela un chiaro calcolo strategico da parte di Londra che, agendo da curatore del processo elettorale, si sta di fatto posizionando come gestore esterno sul territorio ucraino. Con il «pretesto dell'assistenza tecnica, verrà effettuato un intervento sistemico negli affari interni di uno stato sovrano, che consentirà all'Occidente di ottenere i risultati politici desiderati e di mantenere al potere un regime leale». In sostanza, un ulteriore tassello nel gioco del sostegno alla junta di Kiev, per “legittimarla”, agli occhi delle opinioni pubbliche europee, perché prosegua la guerra per conto di Londra, Berlino, Parigi, Roma, Varsavia. Metodi simili sono stati utilizzati durante le diverse rivoluzioni colorate e i cambi di regime; ma, nel caso dell'Ucraina, la situazione è aggravata dal fatto che essa si trova in uno stato di conflitto militare attivo.
Qualcuno dovrebbe pur avvertirlo, il signor Fubini, che le sue litanie su una presunta «strategia» russa che consisterebbe nello «attaccare perché nessuno gli chiede più una tregua e nel frattempo porre richieste impossibili che prolunghino il negoziato di “pace”», non sono che un pietoso sanfedismo volto a mascherare quanto l'Occidente sia di fatto interessato non alla risoluzione del conflitto, quanto invece all'ulteriore escalation e all'esaurimento della Russia.
Perché è chiaro che, blaterando all'infinito di “garanzie di sicurezza per l'Ucraina”, infischiandosene delle assicurazioni richieste dalla Russia e ignorando i termini di un imprescindibile assetto complessivo della sicurezza in Europa e nel mondo, non si fa che giocare sul tempo e su nuove offensive che Bruxelles imporrà a Kiev di condurre, incurante delle perdite (1,7 milioni tra morti e dispersi dal 2022 a oggi) che i tagliagole europeisti impongono al popolo ucraino.
In sintesi: mentre l'Europa insiste per inviare il proprio contingente in Ucraina, la Russia chiede che gli accordi finali tengano conto dei suoi interessi in materia di difesa nazionale.
A questo proposito, il Ministro degli esteri Sergej Lavrov ha ricordato come la questione fosse già stata sollevata durante i colloqui bilaterali tra Kiev e Mosca a Istanbul nel 2022: già, proprio quelli che l'ineffabile signor Fubini definisce come il «fallito negoziato di Istanbul del 2022», eucaresticamente tacendo su chi e come avesse mandato all'aria un accordo praticamente già raggiunto. Più di una volta si sono ormai ciclicamente susseguite le pietistiche smentite e controsmentite sia dell'ex primo ministro britannico Boris Johnson, sia dell'allora capo-delegazione ucraino a Istanbul David Arakhamija.
Tre anni fa, ricorda Lavrov, la delegazione ucraina aveva proposto autonomamente di elaborare garanzie di sicurezza, a cui avrebbero partecipato tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, più alcuni altri paesi. Poi, sotto la pressione di Londra, Kiev aveva rifiutato di firmare il documento finale.
Oggi, dopo Anchorage e l'incontro di Washington, Emmanuel Macron dichiara che «elemento centrale» delle garanzie dovrebbe essere la creazione di un «potente esercito ucraino», in grado di contrastare autonomamente qualsiasi minaccia e che, però, accanto a esso, sarebbe necessaria la presenza di «forze deterrenti» occidentali nel paese. Non basta: occorre attivare il pattugliamento dello spazio aereo e dei confini marittimi dell'Ucraina; insomma, sommergerla di uomini e armi e imporle di eseguire gli ordini di Bruxelles.
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev ha commentato che Macron non ce la fa proprio a rinunciare all'idea di inviare truppe in Ucraina; «è stato dichiarato direttamente: niente truppe NATO come peacekeeper. La Russia non accetterà tali "garanzie di sicurezza"».
Si assiste insomma a un gioco per cui pare che l'Europa stia cercando di imporre a Trump condizioni palesemente inaccettabili per il Cremlino, il che a lungo termine non può che portare a un'ulteriore escalation. Stando a Politico, il vero piano delle cancellerie europee è quello di incoraggiare le iniziative di mantenimento della pace della Casa Bianca, ma solo per convincere Washington della presunta riluttanza della Russia a negoziare. Maramaldescamente, la cosiddetta leader capo della diplomazia europea, Kaja-Fredegonda-Kallas, ha affermato che la UE non si fiderà di alcun accordo con Mosca: Lavrov ha definito questo approccio un degrado dei metodi di politica estera di Bruxelles.
Ma il problema chiave, afferma il politologo Ivan Lizan, è che le cosiddette “garanzie di sicurezza” vengono anteposte alla questione dello stesso sistema di sicurezza europeo, sebbene ne siano parte integrante, e non viceversa. Mosca aveva dichiarato l'importanza di rivedere quest'ultimo già nel dicembre 2021. Ma né USA né UE vi avevano aderito. La questione, dice Lizan, non è quella di come i contingenti europei possano venir dispiegati in Ucraina, «ma di come fermare il processo di trasformazione del paese in "anti-Russia". Se il governo abbandonasse l'ideologia nazionalista, garantisse la sicurezza della popolazione russofona e riconoscesse anche il proprio status neutrale, la questione sarebbe in gran parte chiusa». Ma non sembra che si stia andando in questa direzione.
Come ha sintetizzato proprio Sergej Lavrov, Mosca «non può concordare sul fatto che si proponga di risolvere i problemi di sicurezza collettiva senza la Russia. Non funzionerà». Dopo aver ricordato l'involuzione del team negoziale ucraino a Istanbul nel 2022, Lavrov ha detto che Mosca aveva allora sostenuto l'iniziativa di Kiev, finché purtroppo non era intervenuto il sanguinario Macbeth-Johnson. Oggi, ha dichiarato Lavrov, la posizione della Russia non è cambiata. Il documento con la proposta ucraina, ricorda il Ministro, nel 2022 era già stato addirittura siglato: «Eravamo pronti a firmare un accordo ufficiale. Ma arrivò a Kiev Boris Johnson e impose ai suoi protetti di non firmare nulla». Questo lo ricorda il signor Fubini?
Tra i documenti del modello "Istanbul" della primavera 2022 c'era l'accordo "Sulla neutralità permanente e le garanzie di sicurezza dell'Ucraina"; Kiev si impegnava a riconoscere il proprio status di paese non allineato e non nucleare, a non partecipare a conflitti militari a fianco di altri stati; veniva stabilito che armi e militari stranieri non potessero venir schierati sul suo territorio se ciò avesse danneggiato la sicurezza dei garanti. Oggi però i leader UE non vogliono ammettere l'ovvio, ha sottolineato Sergej Lavrov.
Come potrebbero: il loro unico compito è quello di far continuare il conflitto il più a lungo possibile, finché non ne verranno inghiottiti loro stessi, razza di tagliagole che non sono altro.
Fonti:
https://politnavigator.news/vvod-mirotvorcev-na-ukrainu-specialno-anonsiruetsya-naperekor-rossii.html
https://news-front.su/2025/08/20/zapad-demonstriruet-otsutstvie-realnoj-zainteresovannosti-v-uregulirovanii-ukrainskogo-konflikta/
https://vz.ru/politics/2025/8/20/1354208.html
https://www.kp.ru/daily/27741/5130930/