La Cina sostiene la lotta per la liberazione della Palestina

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La Cina sostiene la lotta per la liberazione della Palestina

 

di Stefania Fusero - Friends of Socialist China

Dal 19 al 26 febbraio 2024 presso la Corte Internazionale di Giustizia (Icj), il più alto tribunale delle Nazioni Unite, si discute sulla legittimità della protratta occupazione israeliana della Palestina, a seguito di una richiesta presentata già nel 2022 da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Più di 50 Stati hanno presentato le loro argomentazioni sugli aspetti procedurali e sostanziali relativi all’occupazione, con l’obiettivo che il tribunale emetta successivamente un parere consultivo.

Non può sfuggire la rilevanza di questa discussione, che avviene a poco più di un mese di distanza dal dibattimento presso la stessa Alta Corte, da non confondersi con il Tribunale Penale Internazionale (International Criminal Court): il primo, nato nel 1945 come l’organo giudiziale delle Nazioni Unite, ha la giurisdizione sui crimini commessi da Stati, il secondo, basato sullo Statuto di Roma del 1998, su crimini internazionali commessi da individui; mentre tutti gli Stati che fanno parte dell’Onu sono automaticamente anche parte dell’Icj (Corte Internazionale di Giustizia), diversi Stati, compresi Usa, Cina, Russia, non riconoscono invece l’autorità dell’Icc (Tribunale Penale Internazionale).

Nei primi due mesi del 2024 Israele è stato quindi suo malgrado protagonista dei dibattimenti della Corte Internazionale di Giustizia per due volte, a gennaio accusato di genocidio della popolazione palestinese di Gaza, a febbraio imputato per la protratta occupazione dei Territori palestinesi. Parliamo dei territori tuttora occupati dopo la cosiddetta Guerra dei Sei Giorni del 1967, vale a dire inequivocabilmente Cisgiordania e Gerusalemme Est, ma nei fatti, nonostante dal 2005 Israele abbia ritirato le sue colonie dalla Striscia, anche Gaza, che da allora è rimasta sottoposta ad un blocco totale da parte di Israele, che l’ha praticamente trasformata in un campo di concentramento da cui niente e nessuno esce o entra senza l’autorizzazione dello Stato sionista.

Nel corso dei dibattimenti, che si concludono lunedì 26 febbraio, molte delegazioni si sono chiaramente espresse a favore di un’immediata fine dell’occupazione; qui mi concentrerò sulle argomentazioni di quella cinese, intervenuta nella sessione di giovedì 22 febbraio, che sono straordinariamente interessanti sia dal punto di vista giuridico, perché solidamente inquadrate nel diritto internazionale, sia per l’evidente rilevanza storico-politica.

L’intervento meriterebbe per questo di essere letto nella sua interezza, eccone la traduzione in italiano. Di seguito i punti fondamentali.

La dichiarazione di Ma Xinmin, capodelegazione e portavoce della Rpc, si compone di tre parti, che vertono rispettivamente sulla giurisdizione consultiva della Corte, sull’autodeterminazione dei popoli, nonché sullo jus ad bellum e il diritto internazionale umanitario e hanno questi titoli inequivocabili: 1) La corte ha competenza consultiva e deve fornire un parere consultivo; 2) Israele ha violato il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione; 3) L’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele viola il diritto internazionale.

Nell’elaborazione del secondo punto, Ma Xinmin, affermando che l’autodeterminazione dei popoli è un principio fondamentale del diritto internazionale moderno, sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, e un diritto umano collettivo ai sensi del diritto internazionale consuetudinario, ricorda che già nel 1955, durante la Conferenza di Bandung, il premier e ministro degli Esteri cinese, Zhou Enlai, dichiarò solennemente “pieno sostegno al principio di autodeterminazione dei popoli e delle nazioni stabilito nella Carta [dell’Onu]” e “prese atto delle Risoluzioni [Onu] sul diritto dei popoli e delle nazioni all’autodeterminazione, che è un prerequisito per il pieno godimento di tutti i diritti umani fondamentali”.

Con il riferimento storico alla Conferenza di Bandung, che anticipò la nascita del Movimento dei Paesi Non Allineati, Ma inserisce legittimamente quella palestinese nella tradizione storica delle lotte contro colonialismo e neocolonialismo e rivendica il ruolo storico della Cina in tale movimento di liberazione.

Il portavoce della delegazione cinese approfondisce il principio dell’autodeterminazione affermando che “ogni Stato è obbligato a promuovere la realizzazione del diritto all’autodeterminazione e ad astenersi da qualsiasi azione forzata che privi i popoli di tale diritto. Nel perseguimento del diritto all’autodeterminazione, questi popoli hanno il diritto di impegnarsi in lotte, cercare e ricevere sostegno… Nel perseguimento del diritto all’autodeterminazione, l’uso della forza da parte del popolo palestinese per resistere all’oppressione straniera e per completare la creazione di uno Stato indipendente è un diritto inalienabile ben fondato nel diritto internazionale…

Numerose risoluzioni dell’Unga [Assemblea Generale delle Nazioni Unite] riconoscono la legittimità della lotta con tutti i mezzi disponibili, inclusa la lotta armata, da parte dei popoli sotto la dominazione coloniale o l’occupazione straniera per realizzare il diritto all’autodeterminazione. Ad esempio, la risoluzione 3070 dell’Unga del 1973 “riafferma la legittimità della lotta popolare per la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dalla sottomissione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”. Questo riconoscimento si riflette anche nelle convenzioni internazionali. Ad esempio, la Convenzione araba per la repressione del terrorismo del 1998 afferma “il diritto dei popoli a combattere l’occupazione e l’aggressione straniera con qualsiasi mezzo, inclusa la lotta armata, al fine di liberare i propri territori e garantire il proprio diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza.

La lotta armata in questo contesto si distingue dagli atti di terrorismo. Si fonda sul diritto internazionale.” E ancora: “Sullo sfondo dei Territori Palestinesi Occupati, fatti ben documentati e ampiamente riconosciuti indicano che le politiche e le pratiche oppressive di Israele, durante tutta la sua prolungata occupazione del territorio palestinese, hanno gravemente minato e impedito l’esercizio e la piena realizzazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.”

Ma Xinmin passa quindi alla terza parte, relativa alla violazione del diritto internazionale conseguente all’occupazione israeliana.

“… il divieto di acquisizione di territorio con la forza è fermamente stabilito nel diritto internazionale consuetudinario. Usare la forza per occupare e mantenere tale occupazione ai fini dell’acquisizione territoriale o annettere con la forza un territorio occupato in tutto o in parte è illegale…

L’occupazione di Israele è stata esplicitamente riconosciuta come illegale da diverse risoluzioni delle Nazioni Unite. In seguito all’occupazione israeliana dei territori palestinesi nel 1967, il Consiglio di Sicurezza adottò la risoluzione 242 che “[sottolinea] l’inammissibilità dell’acquisizione di territorio mediante guerra”. Allo stesso modo, numerose risoluzioni dell’Assemblea Generale hanno affermato l’illegalità dell’occupazione israeliana.”

Dopo l’attacco militare del 7 ottobre scorso, governi e media occidentali, sostenendo il diritto di Israele all’autodifesa, hanno in pratica legittimato e avallato l’attacco israeliano contro la popolazione di Gaza. Quanto afferma nella propria dichiarazione ufficiale la delegazione cinese diventa alla luce di ciò ancora più interessante.

“Oltre all’uso della forza da parte dei popoli sotto la dominazione coloniale o l’occupazione straniera nell’esercizio del loro diritto all’autodeterminazione, la Carta delle Nazioni Unite prevede due eccezioni al principio di non uso della forza, vale a dire, l’uso della forza autorizzata dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo 7, e il diritto di legittima difesa ai sensi dell’articolo 51.

L’esercizio del diritto all’autodifesa, in quanto ‘diritto innato’ degli Stati, è subordinato al verificarsi di un attacco armato contro la sovranità territoriale di uno Stato. Quando una Potenza occupante può invocare il diritto di legittima difesa? Dipende se l’attacco armato avviene nel territorio occupato o all’interno del proprio territorio.

Nel territorio occupato, il diritto della Potenza occupante all’autodifesa dipende dalla legittimità dell’occupazione in sé. Se l’occupazione è illegale, la Potenza occupante non può né acquisire la sovranità territoriale né ricorrere all’autodifesa contro un attacco armato avvenuto nel territorio occupato. Ciò affonda le sue radici nella massima giuridica: ‘nessuno può trarre vantaggio dal proprio dolo’.

Tuttavia, ciò non esclude la possibilità per la Potenza occupante, sulla base dell’amministrazione temporanea, di adottare come ultima risorsa le necessarie misure di contrasto con la forza contro individui o entità nel territorio occupato. Né esclude l’uso della forza da parte della Potenza occupante contro i combattenti e contro obiettivi militari in conformità allo jus in bello. Questi atti devono restare entro i limiti fissati dal diritto internazionale.

Sul proprio territorio, la Potenza occupante ha diritto all’autodifesa contro un attacco armato. Tuttavia, l’esercizio di questo diritto è soggetto a vari principi, tra cui necessità e proporzionalità, come riflesso nel diritto internazionale consuetudinario.

… Nel frattempo, la potenza occupante è obbligata a rispettare e proteggere i civili e le proprietà nel territorio occupato ai sensi del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale sui diritti umani. Dovrebbe servire gli interessi della popolazione dei territori occupati e astenersi dal saccheggiare risorse e proprietà, trasferire o deportare con la forza gli abitanti, praticare l’apartheid, adottare leggi discriminatorie e altre violazioni correlate…

I fatti indicano che le politiche e le pratiche israeliane rilevanti hanno violato il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale sui diritti umani.

La Cina è del parere che la natura temporanea e non sovrana dell’occupazione belligerante significhi che una potenza occupante non può acquisire la sovranità sul territorio durante la belligeranza… Sono passati cinquantasette anni da quando Israele ha iniziato l’occupazione del territorio palestinese. Indipendentemente dalla durata dell’occupazione, la natura illegale dell’occupazione e la sovranità sui territori occupati rimangono invariate.”

Il giorno precedente, mercoledì 21 febbraio, la delegazione degli Usa aveva presentato la propria dichiarazione ufficiale sulla legittimità della protratta occupazione israeliana. Tono e sostanza sono prevedibilmente assai diversi, la si può leggere qui.

Immagine: Ma Xinmin, «The Frontier Post»

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