LA TEORIA DEGLI OPPOSTI TERRORISMI E LA NEUTRALITÀ FRAINTESA 

LA TEORIA DEGLI OPPOSTI TERRORISMI E LA NEUTRALITÀ FRAINTESA 

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di Michelangelo Severgnini

 
Sono trascorse ormai più di 2 settimane dalla tanto annunciata e temuta invasione di terra israeliana nella striscia di Gaza e, a quanto pare, di centimetri in avanti le truppe israeliane ne hanno fatti ben pochi, al contrario le perdite nei loro ranghi sembrano via via più consistenti. 
 
Che lo scenario verosimilmente sarebbe stato alla fine questo lo sapevano i Palestinesi (le mie fonti a Gaza lo hanno ripetuto sin dai primi giorni) e lo sapevano pure gli Israeliani.
 
L'ipotesi di un'invasione di terra era fonte di timore più per Israele che per Gaza e lo rimane tuttora.
 
Timore non solo di perdite elevate tra i militari dell'IDF, ma timore di certificare l'impotenza militare di Israele nei confronti della guerriglia palestinese e quindi di doverne pagare le conseguenze sul piano politico.
 
Questo timore ha giustificato 5 settimane di bombardamenti preventivi a tappeto su civili inermi e oltre 11mila vittime, nella speranza di Israele che qui e là tra le migliaia di civili palestinesi morti fosse stato colpito anche qualche miliziano ma soprattutto i loro armamenti.
 
Il timore di riscoprirsi non solo impotenti militarmente, ma anche isolati politicamente, sta conducendo Israele proprio ad isolarsi politicamente e a votarsi al fallimento della strategia militare.
 
Questa congiuntura è lo spettro più grande per Israele. 
 
E il timore di ritrovarsi in questo scenario ha configurato quella Ragione di Stato che ha giustificato i crimini commessi da Israele in queste settimane.
 
La provocazione di Hamas, sorretta da tutto l'arco della resistenza palestinese, mirava a spingere Israele in questo vicolo senza uscita. 
 
Israele ha affermato, in preda al panico e alla confusione, il principio per contrastare il quale lo Stato stesso di Israele è stato fondato. Israele ha spazzato via in poche settimane le uniche ragioni che giustificavano la sua esistenza.
 
Se è vero che le vittime israeliane dell'attacco del 7 ottobre sono state 1,200 (non esistono video, prove, però, e quelle poche evidenze a disposizione dimostrano piuttosto che buona parte di quelle vittime sia stata prodotta dalla reazione scomposta e impreparata dell'Esercito israeliano che a quel punto ha aperto il fuoco nel mucchio, senza fare distinzioni tra miliziani di Hamas e civili israeliani), e se le vittime palestinesi sono oltre 11mila, abbiamo raggiunto una soglia psicologica tutt'altro che secondaria: 10 palestinesi uccisi ogni israeliano ucciso è lo stesso rapporto preteso dalla rappresaglia nazista in rotta durante la seconda guerra mondiale.
 
Il che spiega non solo che Israele per sopravvivere ha dovuto far ricorso a una ferocia per scongiurare la quale si sono inventate le premesse dello Stato di Israele, ma dimostra militarmente di essere un esercito, appunto, in rotta, esattamente come l'esercito nazi-fascista nei primi mesi del 1945.
 
La rappresaglia, oltre ad essere un crimine di guerra, è un'azione militare che solo un esercito frustrato e perdente può concepire e mettere in atto.
 
5 settimane di crimini ininterrotti contro l'umanità non solo non hanno piegato la resistenza del popolo palestinese, non solo non hanno portato alla capitolazione armata di Hamas, ma hanno addirittura ricompattato le sigle palestinesi intorno a questa battaglia.
 
Fatte queste premesse, la teoria degli opposti terrorismi è una pippa artificiosa che solo una mente intellettualmente collusa potrebbe partorire.
 
Questa teoria punta a delegittimare il processo in corso, a congelare le dinamiche storiche e riconsegnare il discorso alle "agenzie internazionali", ai laboratori a freddo, ai tavoli di discussione che hanno solo consentito 75 di occupazione indisturbata.
 
Inoltre, come invano ci sforziamo di ripetere da oltre 20 anni, dall'attacco alle Torri Gemelle in poi, perlomeno, il terrorismo non è un'ideologia, non è una religione, non è una corrente politica. Il terrorismo è un mezzo.
 
Pertanto sostenere la contrapposizione paritetica di due terrorismi, non spiega nulla del processo in corso, perché compara gli strumenti e non le cause.
 
E per quanto fumo negli occhi si possa gettare, questa storia si spiega, ancora una volta e come sempre in questi ultimi 75 anni, con le chiavi della lotta anti-coloniale e della lotta dell'oppresso contro l'oppressore.
 
La "rivolta del ghetto di Varsavia", la "strage di via Rasella". Le pagine di storia sono piene dell'utilizzo del terrorismo come strumento di lotta dell'oppresso contro l'oppressore.
 
Condanniamo quindi lo strumento?
 
Preferite dunque che Palestinesi e Israeliani se la giochino con un partita di "beach volley" sulla spiaggia di Gaza per vedere chi ha ragione?
 
Io sarei d'accordo e felice.
 
Ma non è mai la vittima, non è mai l'oppresso a scegliere lo strumento della battaglia.
 
La vittima, quando ne è in grado, tutt'al più può reagire con quel che può, e 75 anni di occupazione stanno lì a dimostrare che la violenza dell'oppressore, Israele in questo caso, è sempre stata superiore, altrimenti non sarebbero diventati 75.
 
Se i Palestinesi avessero avuto la supremazia militare, avrebbero usato gli stessi mezzi che Israele usa per raggiungere i risultati che Israele ha raggiunto, in sfregio al diritto internazionale. 
 
Ma i Palestinesi non hanno i mezzi militari per un confronto militare aperto, non hanno nemmeno uno Stato.
 
Perciò ricorrono alle azioni a sorpresa, alla tattica della guerriglia, alla speculazione sulle voragini delle contraddizioni che reggono lo Stato di Israele per minare il consenso internazionale.
 
È l'unica cosa che possono fare.
 
E chi evoca il "divide et impera" in una dinamica di lotta tra oppresso e oppressore, ha già scelto da che parte stare, quella dell'oppressore.
 
Così come chi evoca l'equidistanza in una dinamica di ingiustizia tra le parti, è un Ponzio Pilato che difende lo stato delle cose.
 
La neutralità si fonda su una corretta valutazione dei fatti. Equiparare oppressi e oppressori non è neutralità, è complicità con l'oppressore.

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto "Exodus" in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film "L'Urlo"

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