L'assurda vicenda di Mansour Doghmosh, palestinese arrestato a l'Aquila

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L'assurda vicenda di Mansour Doghmosh, palestinese arrestato a l'Aquila

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Appello urgente!
Mobilitazione per Mansour Doghmosh

Nonostante la scarcerazione disposta dal Tribunale del Riesame dell'Aquila nell’udienza di ieri, lunedì 9 settembre, Mansour Doghmosh è stato trasferito in un CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri). Oltre l’assurdità dell’accanimento, è necessario porsi una domanda: un rimpatrio dove? Mansour ha moglie e tre figli piccoli, e non può essere rimpatriato in Palestina, dove da 11 mesi si sta consumando un genocidio nel quale oltre 40mila palestinesi sono stati uccisi e dove rischierebbe la detenzione politica in un carcere israeliano dove – per la stessa Corte d’Appello dell’Aquila – torture e trattamenti inumani e degradanti sono la prassi.

Il trasferimento di Mansour nel CPR rappresenta una grave violazione dei diritti umani, una decisione che lo espone al rischio di subire ulteriori persecuzioni e violenze. Non possiamo rimanere in silenzio.

Chiediamo a tutte e tutti di unirsi nel chiedere l’immediata liberazione di Mansour e il riconoscimento della protezione umanitaria per lui e per la sua famiglia. Non possiamo permettere che un palestinese venga ulteriormente vessato da ulteriori ingiustizie, dopo la detenzione.

Chiediamo a tutte le organizzazioni politiche e sindacali, comitati e coordinamenti solidali con il popolo palestinese di mobilitarsi in presìdi davanti alle Prefetture delle diverse città italiane.

Libertà per Mansour Doghmosh!

Link: https://www.instagram.com/p/C_vYYK5tzte/ 


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DA CONTROPIANO

Nell’udienza di ieri, 9 settembre, il tribunale del Riesame dell’Aquila ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare ed ha ordinato l’immediata scarcerazione per Ali Irar e Mansour Doghmosh, due dei tre palestinesi arrestati a marzo all’Aquila insieme ad Anaan Yanesh con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale.

I giudici della Corte d’Appello de L’Aquila a marzo avevano rigettato la richiesta di estradizione avanzata da Israele per Aanan Yaesh per «la concreta possibilità che nelle carceri israeliane venga sottoposto a tortura» ma, il giorno prima dell’udienza, e con macroscopiche forzature procedimentali, era scattato un ulteriore mandato di arresto nei confronti di Anan e dei suoi coinquilini, Ali Irar e Mansour Doghmosh, che, per presunte azioni di resistenza nei Territori Occupati, si trovavano da marzo scorso nelle carceri italiane con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale (art. 270-bis c.p.).

A luglio, la Cassazione aveva deciso di annullare la richiesta del mandato di cattura, pur rimandando l’ultima decisione per la loro scarcerazione allo stesso Tribunale del Riesame de L’Aquila che si è pronunciato ieri pomeriggio.

Soddisfazione da parte degli attivisti solidali con i palestinesi avevano manifestato davanti al tribunale dell’Aquila, a sostegno dei tre palestinesi.

A fine udienza, l’avvocato Flavio Rossi Albertini ha commentato che: “Il pubblico ministero ha tentato di integrare le lacune individuate a luglio dalla Cassazione che hanno determinato l’annullamento. Lacune che a nostro giudizio restano tali”.

“D’altra parte il pronunciamento della Cassazione su Ali e Mansour è piuttosto chiaro – ha aggiunto – l’accusa avrebbe dovuto dimostrare una partecipazione attiva in attentati di matrice terroristica, attività che non rientrino nella legittima difesa o nel diritto all’autodeterminazione dei popoli”.

“Tutto quello che possono dire sui miei assistiti – ha concluso – è che ‘forse’ hanno qualche ruolo nella resistenza in Cisgiordania ma questo non è reato in Italia. Diventa reato solo se è configurato come terrorismo, così come definito dalla convenzione di New York nel 1999. O riescono a dimostrare che hanno travalicato quei limiti posti dal diritto internazionale, oppure, in assenza di altre prove, non possono trattenerli”.

Gli attivisti solidali con i palestinesi chiedono ora la scarcerazione anche per Anan Yaeesh. Quest’ultimo è l’unico per il quale, fin da questa estate con l’udienza in Corte di Cassazione, era stata confermata la misura della detenzione in carcere.

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