l'Italia chiede l'attivazione di un Fondo (il SURE) che non esiste
di Thomas Fazi
È di ieri 8 agosto la notizia che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e la ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo hanno inviato a Bruxelles una lettera con cui il governo italiano richiede formalmente l’accesso al programma europeo “anti-disoccupazione” denominato SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency), un fondo con una dotazione «fino a 100 miliardi di euro», istituito lo scorso aprile, finalizzato in teoria ad aiutare i paesi europei a sostenere i costi della cassa integrazione. Nella missiva, indirizzata ai commissari Dombrovskis, Gentiloni, Schmit e Hahn, il governo italiano ha chiesto di poter accedere alle risorse del SURE nella misura di 28,5 miliardi.
Ora, la prima cosa da dire è che il SURE – esattamente come il MES e il (grosso del) Recovery Fund – opera secondo la logica tipicamente europea del debito: essenzialmente la Commissione reperirà fino a 100 miliardi di euro sui mercati finanziari e, a propria volta, li presterà ai singoli Stati (andando a gravare sul debito pubblico di questi), che ovviamente dovranno restituirli.
Come per il MES e il Recovery Fund, dunque, l’unico reale vantaggio dal punto di vista finanziario consisterebbe nello spread tra il tasso di interesse offerto dalla Commissione e il costo che un paese come l’Italia dovrebbe affrontare per reperire gli stessi soldi sui mercati (ed eventualmente sulla durata del prestito). Peccato che il tasso di interesse pagato dai singoli paesi sui loro titoli di Stato dipenda, in ultima analisi, dalla BCE, che se volesse potrebbe tranquillamente portare a zero (o meno di zero), domani stesso, il tasso di interesse sui nostri titoli di Stato a lunga scadenza (quello sui titoli di Stato a due anni o meno è già negativo). La ragione per cui non lo fa è abbastanza scontata: in quel caso verrebbe meno il vantaggio, già piuttosto esiguo, del sistema dei prestiti europei.
La strategia della UE, in ultima analisi, è abbastanza chiara: tenere i tassi di interesse pagati dai singoli Stati abbastanza bassi da garantire la solvibilità degli stessi, ma abbastanza alti da rendere “attrattiva”, soprattutto nei confronti dell’opinione pubblica, la prospettiva di indebitarsi nei confronti della UE tramite strumenti come il MES, il Recovery Fund e il SURE, favorendo così il trasferimento alla UE di quel brandello di sovranità democratica che ci è rimasta e l’accentramento di ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea.
Ovviamente tutto questo non sarebbe possibile senza la connivenza di “proconsoli” europei come il nostro ministro dell’Economia Gualtieri, sempre in prima fila nel promuovere la svendita della sovranità nazionale e gli interessi dell’Unione europea. Non sorprende, dunque, che l’Italia sia in prima fila nel richiedere l’accesso ai fondi SURE (ma lo stesso dicasi dell’entusiasmo mostrato dal governo nei confronti del Recovery Fund, che altro non è che un MES all’ennesima potenza).
Nel caso del SURE, però, siamo di fronte ad una situazione ancor più paradossale, non solo perché ciascuno Stato dell’UE deve versare delle «garanzie irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili» alla Commissione affinché questa possa emettere sul mercato i titoli necessari a raccogliere le risorse da prestare agli Stati in difficoltà – nel caso dell’Italia la somma dovrebbe ammontare a un po’ meno di 3 miliardi, di fatto vanificando qualunque vantaggio ottenuto dal differenziale tra tassi di interesse –; ma perché il fondo – delle cui risorse la ministra Catalfo chiede addirittura il «rapido sblocco» – nei fatti neanche esiste ancora.
Ai sensi dell’art. 12 del regolamento SURE, infatti, il programma si attiverà solo successivamente alla messa a disposizione di garanzie da parte degli Stati membri per un minimo di 25 miliardi. Peccato che la partecipazione al programma sia su basi volontarie e che non vi sia nessun obbligo al versamento delle suddette garanzie. E infatti pare che il fondo di garanzia sia ben lungi dall’essere costituito.
Meno di un mese fa Herman Michiel, direttore del sito belga Ander Europa, ha scritto alla Commissione proprio per sapere a che punto fosse la costituzione del fondo SURE. Questa la risposta della Commissione: «Non è ancora stato istituito alcun fondo di garanzia. […] Attualmente, tutti gli Stati membri sono in procinto di organizzarsi in conformità con i rispettivi quadri decisionali nazionali per impegnare una garanzia a favore dell’UE. Questo processo non è ancora completato. […] La concessione del sostegno finanziario da parte del Consiglio dipende dalla disponibilità del SURE, che a sua volta dipende dall’impegno di garanzie nei confronti dell’Unione da parte di tutti gli Stati membri. Poiché questo processo non è stato ancora completato, come spiegato sopra, è troppo presto per fornire informazioni su quali Stati membri potrebbero vedersi concesso un sostegno finanziario nell’ambito del SURE. Nessun sostegno finanziario può essere fornito a nessuno Stato membro finché tutti gli Stati membri non avranno impegnato una garanzia. Va inoltre notato che le proposte di sostegno finanziario della Commissione saranno rese pubbliche non appena il SURE sarà disponibile e gli Stati membri avranno fatto richiesta formale di un sostegno nell’ambito del programma. Finora non sono state avanzate richieste formali di questo tipo».
Insomma, nel pieno della peggiore crisi che si ricordi, il nostro governo, per reperire le risorse necessarie per far fronte alla drammatica crisi occupazionale, non ha pensato di meglio che chiedere aiuto a un fondo europeo che, nei fatti, neanche esiste ancora. Ma, soprattutto, viene da chiedersi: l’Italia ha già versato la propria garanzia al fondo SURE e, se sì, a quanto ammonta?