Ma perché il Fatto Quotidiano rilancia la fake news delle “Foto di Caesar”?
di Francesco Santoianni
Scomparso dalla scena il Mostro di Loch Ness, le cui presunte gesta, in estate con le redazioni semivuote, riempivano le pagine dei giornali, urge trovare qualche sciocchezza per riempire le pagine dei giornali. Lo fa Il Fatto Quotidiano con ben due pagine che riprendono lo “scoop” pubblicato dall’agenzia giornalistica francese Mediapart: l’intervista al cognato e alla sorella di Farid al-Mazhan (sedicente fotografo della polizia militare siriana) che avvalora la leggenda delle “Foto di Caesar”. Una colossale fake news, una campagna mediatica planetaria finanziata dal Quatar, e creata dall’agenzia Carter-Ruck : tredici anni di articoli, “documentari”, fiction, mostre, appelli, manifestazioni… per criminalizzare il governo di Assad, sostenere i cosiddetti “ribelli siriani” fare aggravare, nel 2020 con il Caesar Syria Civilian Protection Act, le già feroci sanzioni contro la Siria e favorire l’arrivo al potere in Siria di un governo jihadista capitanato da al Jolani, già destinatario di una taglia di dieci milioni di dollari per terrorismo emessa dall’FBI.
Dispiace che anche il, solitamente attendibile, Il Fatto quotidiano rilanci questa fake news costellata da evidentissime incongruenze, già evidenziate in articoli, opuscoli, libri... Qui di seguito, una lunga analisi di queste incongruenze.
«Il ministro francese che presiede la seduta si accomoda al centro, di fronte a Ahmad al-Jarba. A fine mattinata, a sorpresa, dà la parola a Khaled al-Attiyah. Qualche giorno prima, il ministro degli Esteri del Qatar gli aveva rivelato di aver ricevuto da parte di un gruppo dell'opposizione un documento confidenziale che desiderava mostrare ai colleghi. I lavori vengono sospesi. Una trentina di persone vengono invitate a uscire dalla stanza. Attorno al tavolo rimangono soltanto gli undici ministri.
Si spengono le luci. Sulle note composte da Itzhak Perlman per il film Schindler's List sfilano fotografie di corpi nudi, con i vestiti a brandelli o solo in slip, di cadaveri scheletrici, talora mutilati, dilaniati, ustionati. A qualcuno sono stati cavati gli occhi. Altri hanno il volto sfigurato da qualche sostanza chimica. Altri ancora, infine, sono stati chiusi dentro sacchi di plastica e impilati sotto il portico di un hangar. L'obiettivo si attarda meticolosamente sul numero di matricola abbinato alle
Ammutoliti, i ministri lasciano la stanza con un'espressione grave e turbata stampata in volto. John Kerry è pallido come un cencio. A pranzo toccano a malapena il cibo. Laurent Fabius confiderà ai propri collaboratori: «È spaventoso, abominevole. Ci vorrà molto lavoro, ma va fatto ogni sforzo per scoprire la verità riguardo a documenti così importanti».
Quelle immagini andavano a toccare un tasto dolente, portando a galla le derive del regime di Bashar al-Assad che la Francia denuncia da anni» dichiarerà in seguito una persona vicina al ministro francese. «Immagini che non si vedevano dal genocidio degli ebrei e dai crimini khmer. L'accuratezza con cui il regime siriano documenta e cataloga i suoi orrori ci riporta indietro di settant’anni.»
È un brano tratto dal bestseller “La macchina della morte” di Garance Le Caisne che dà l’idea dell’ondata di terrore e indignazione che riuscì a suscitare questa fake news. Per una dettagliata analisi delle plateali incongruenze che costellano questa storia rimandiamo al lungo studio di Rick Sterling The Caesar Photo Fraud that Undermined Syrian Negotiations, e alle documentazioni tecniche riportate nel sito di Adam Larson; qui sintetizziamo un documento in lingua italiana prodotto nel 2016 dalla redazione di Sibialiria “Report sull’attendibilità delle Foto di Caesar”.
Il Report di SibiaLiria esamina l’attendibilità delle “Foto di Caesar” (un sedicente fotografo della Polizia militare siriana “incaricato di fotografare prigionieri dopo la loro esecuzione”), la veridicità del contesto nel quale sarebbero state scattate e, più in generale, l’”Operazione Caesar” ma non esclude affatto, anzi le ritiene probabili, efferatezze all’interno delle carceri di una Siria da anni aggredita da una guerra che già nel 2016 aveva provocato 250.000 morti. Quello che, comunque, maggiormente indigna i redattori del Report è che sia stato il Qatar - uno dei soggetti più attivi nel promuovere, tramite i suoi “ribelli”, la guerra alla Siria - il finanziatore dell’operazione Caesar. C’è poi un altro motivo di indignazione. L’”Operazione Caesar“, al pari di altri travisamenti, quali, ad esempio quelli inerenti le foibe, capovolge la realtà, trasformando le vittime in carnefici e i carnefici in vittime. Si veda ad esempio questo video, prodotto nel 2016 da un gruppo di attiviste e attivisti siriani, che documenta come non poche foto di “oppositori di Assad giustiziati” presentate da “Caesar”” raffigurano in realtà soldati dell’esercito siriano uccisi dai “ribelli”.
La prima parte del Report di Sibialiria si occupa dell’attendibilità delle fonti del Report Carter-Ruck. Il 20 gennaio 2014, due giorni prima che cominciassero i negoziati Ginevra 2 sul conflitto siriano, apparve su tutte le televisioni e sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, il sensazionale “Report into the credibility of certain evidence with regard to Torture and Execution of Persons Incarcerated by the current Syrian regime”. Era stato commissionato dal Qatar al prestigioso (tra i suoi assistiti anche Recep Erdo?an) studio legale londinese Carter-Ruck per “verificare” (tramite suoi “esperti”) le dichiarazioni di Caesar” (sedicente fotografo della Polizia militare siriana) e delle sue 55.000 fotografie (26.342 secondo Mediapart, tanto per dare un sapore di veridicità) che mostravano, a detta di “Caesar”, circa 11.000 (6.679, secondo Medapart) prigionieri politici siriani dopo la loro esecuzione. Le conclusioni del Report (“Caesar è degno di fede e le sue fotografie mostrano uccisioni su scala industriale”) scatenarono la stampa mondiale contribuendo a far chiudere, sul nascere, i negoziati di Ginevra.
Ovviamente davvero pochi furono i giornalisti che si presero la briga di analizzare il Report della Carter-Ruck e a porsi ovvie domande. Ad esempio, chi è “Caesar”? Secondo il report (pagg, 4-5) “Caesar è un disertore dalla Siria. Prima della sua defezione, era in servizio presso la Polizia militare come fotografo. In tale ruolo (,,,) con lo scoppio della guerra civile, al pari dei suoi colleghi, doveva fotografare i cadaveri dei prigionieri, portati dai loro luoghi di detenzione in un ospedale militare. (…) Nel corso del suo lavoro ha nascosto decine di migliaia di immagini di cadaveri fotografati dai suoi colleghi e da se stesso. Altre immagini simili sono state contrabbandate da altre persone. In tutto, circa 55.000 immagini; mediamente, quattro o cinque fotografie scattate di ciascun corpo per circa 11.000 detenuti uccisi.” Un vero album degli orrori, quindi; anche se gli esperti della Carter-Ruck (ci assicurano aver visionato ben 5.500 foto) alla fine accludono nel loro Report solo dieci foto (“le più rappresentative”). Sulle quali ci si soffermerà.
Ma perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli e realizzare così questa macabra collezione? Secondo il Report della Carter-Ruck (pagg. 6-7 “La ragione per fotografare persone giustiziate era duplice: in primo luogo per permettere un certificato di morte da prodursi senza che le famiglie necessitassero di vedere il corpo, evitando così alle autorità di dover dare un resoconto veritiero della loro morte; in secondo luogo per documentare che gli ordini da eseguire erano stati effettuati.” Ma per quale motivo le autorità avrebbero dovuto esibire un certificato di morte (“per problemi cardiaci e attacchi respiratori”, pag. 13) alle famiglie degli 11.000 oppositori che sarebbero scomparsi nelle carceri siriane? Per spingerle ad avere indietro il corpo del loro caro e constatare così i segni delle torture? E poi, quale regime conserverebbe una documentazione così dettagliata sui propri crimini? Da sempre, dai lager nazisti a Pinochet, gli oppositori scompaiono e basta. Desaparecidos, appunto. Altro che certificato di morte alle famiglie o immensi archivi fotografici a disposizione di qualche sadico satrapo di regime o di qualche inaffidabile dipendente della Polizia militare.
Ma, visto che nessuna delle dieci foto specifica chi sia la vittima, vuole almeno dire il Rapporto chi sia veramente questo Caesar? No. Non lo si può rivelare “per motivi di sicurezza”, nonostante Caesar, da tempo, (pag. 12) “viva fuori dalla Siria insieme alla sua famiglia”. E meno male che il Rapporto, invece, rivela che “per 13 anni Caesar ha lavorato come fotografo nella Polizia militare siriana”. Certo, con tanti suoi colleghi impegnati a fotografare decine di migliaia di cadaveri martoriati, forse può ancora sperare di mimetizzarsi.
Altre cose ci sarebbero da aggiungere sulla buona fede di Caesar attestata in un baleno – l’ultimo suo esame da parte degli esperti della Commissione di indagine risale (pag. 6) al 18 gennaio; il file “version to print” del Rapporto postato sul sito della CNN riporta la stessa data: 18 gennaio -; o su quella del suo (anonimo) parente (pag. 15), garante dell’identità di Caesar, che, “stando fuori dalla Siria e militando nell’Opposizione siriana”, avrebbe ricevuto da lui (che, allora, stava in Siria, custode di una documentazione così sconvolgente e, per di più, parente di un oppositore) “decine di migliaia di immagini”. Forse qualche altro sistema per accertare chi fosse e che mestiere facesse davvero Caesar poteva essere tentato: ad esempio, interrogare alcuni tra i numerosi poliziotti (anche della Polizia militare) che disertando, erano scappati fuori dalla Siria. Ma considerando l’acume investigativo degli esperti della Carter-Ruck (che si fidano di due documenti di identità ad essi mostrati da Caesar, vedi pag. 12), era chiedere troppo.
Ma occupiamoci delle foto. Essendo state scattate dal “regime di Assad” per realizzare il macabro database dei prigionieri uccisi, è ovvio che nella “cinquina” di foto che documentava la tortura e la morte di ogni vittima avrebbe dovuto essercene almeno una raffigurante la faccia del malcapitato. In realtà, se si analizzano le foto inserite nel Report Carter-Ruck , si evidenzia che non solo nessuna tra queste permette una identificazione del condannato ma che, addirittura, nelle foto più pregnanti per dimostrare l’avvenuta tortura IL VISO È CELATO DA RETTANGOLI NERI. Perché? Il Rapporto ha la sfacciataggine di asserire (pag. 19) che “Per motivi di sicurezza e privacy facce o altre caratteristiche potenzialmente identificativi nelle foto sono state rimosse.” Motivi di sicurezza e di privacy? Per persone la cui identificazione avrebbe significato, un inequivocabile atto di accusa per i carnefici? Per delle famiglie che certamente avrebbero diritto di conoscere la sorte toccata ai loro cari? Per i condannati stessi, che in questa rivelazione avrebbero potuto esternare la loro ultima testimonianza?
Niente. “Motivi di sicurezza e di privacy”. E così nulla si può dire sull’’identità delle persone martoriate e uccise.
Come già detto, il Report Carter-Ruck mostra (su un totale dichiarato di 55.000) appena 10 foto e solo 5 tra queste mostrano un qualche segno di lesioni. Foto, per di più, costellate da ingiustificati rettangoli neri e che se non fosse stato per una cinghia (vedi foto 5) – che il Report non specifica se era stata “dimenticata” dai carnefici della Polizia militare o se era stata prestata da questi per scattare la foto – presumibilmente usata per uno strangolamento, avrebbero potuto essere scattate dovunque. Ad esempio nell’obitorio di un ospedale, come suggerirebbero le altrimenti inspiegabili garze, alcune apposte su ferite (foto 6 e 7).
Questo, verosimilmente, determinò l’esigenza di pubblicare altre foto affidando, nel dicembre 20 15, l’intera collezione delle “Foto di Caesar” all’organizzazione Human Rights Watch (HRW) che le esaminò. Nonostante che HRW non possa certo dirsi una organizzazione sostenitrice del governo di Assad (basti considerare il suo appoggio a clamorose, quanto menzognere, campagne mediatiche - quali il “Sarin di Assad a Goutha”, il “napalm lanciato da Damasco sulle scuole”, i cecchini di Assad che sparano sulle donne gravide” ...) clamorosa è stata la considerazione iniziale riportata nel suo Report: (HRW pp 2-3) “...oltre il 46% delle foto (24.568) non mostra persone torturate a morte dal governo siriano ma, al contrario, mostra soldati siriani morti e vittime di autobombe o di altre forme di violenza.” Come arriva HRW a questa considerazione? Semplice, verificando il codice di classificazione apposto sui cadaveri: lo stesso utilizzato dallo stato siriano per queste tipologie di morti. E le altre foto? Per HRW le restanti 28.707 raffigurerebbero 6.786 individui morti in centri di detenzione del governo, ad attestarlo la particolarità del codice di 5 classificazione; una affermazione questa smentita dalla certosina indagine sui codici mortuari in Siria svolta di un ricercatore statunitense, Adam Larson.
Ma, nonostante le iniziali precisazioni e le assicurazioni di aver intervistato centinaia di siriani per dare un nome ai morti fotografati, il Report di HRW, da un nome a solo otto di questi. Ma, anche in questi casi, le sorprese non mancano. Come nelle presunte foto di Ayham Ghazzoul, Oqba al-Mashaan e Mohammed Tariq Majid nelle quali la barba del soggetto che sarebbe stato ucciso è esattamente identica – curata, presumibilmente, con un rasoio elettrico – a quella del soggetto vivo. Un dettaglio questo che, insieme alla mancanza di evidenti tracce, sembrerebbe inficiare l’ipotesi di una esecuzione dopo una presumibilmente lunga detenzione.
In più, il Report di HRW, dopo avere, anche esso, riproposto gli stessi ingiustificabili riquadri che celano i visi delle persone morte - e, addirittura, le etichette con il codice mortuario – e averci mostrato due cortili pieni di cadaveri (nessuno dei quali si direbbe mostri segni di torture ma tutti sembrano morti per inedia) che ci viene garantito sono prigioni di Assad - conclude facendo sue le conclusioni del Report Carter-Ruck . Ne avrà in cambio un cospicuo numero di foto per una sua mostra - “Caesar Photos: Inside Syrian Authorities Prisons”, ospitata dal Museo dell’Olocausto di Washington DC, nel Palazzo di Vetro dell’ONU a New York, nel Parlamento Europeo di Strasburgo, in numerose altre istituzioni e musei... Mostra visitata da frotte di persone indignate e commosse. Del resto, perché mai esse avrebbero dovuto subodorare qualche imbroglio dietro quelle terribili foto? Rappresentavano inequivocabilmente persone uccise. “Ovviamente”, dal regime di Assad: lo diceva pure il titolo della mostra. E anche organizzazioni dal nome immacolato, che mai si sospetterebbe lavorino al fianco dei Signori della Guerra, come Amnesty International o l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. E che altro fare, quindi, davanti a quelle foto se non invocare la distruzione dell’ennesimo stato canaglia?
Occupiamoci ora del suddetto libro della Garance Le Caisne basato su una serie di interviste rilasciate da “Caesar, in persona”. Un libro davvero grottesco, grondante di incredibili episodi (come a pag. 68: cadaveri di prigionieri trasportati in camionette da Homs a Damasco “certamente per mostrare ai capi dei reparti di sicurezza che quegli uomini erano stati arrestati e uccisi”) incalzanti colpi di scena (“una storia degna di un romanzo di spionaggio” annuncia Le Figaro in quarta di copertina) e “precisazioni” su quanto finora già detto da “Caesar” che finiscono per essere una toppa peggio del buco.
Ad esempio, alla ovvia domanda perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli e realizzare così questa macabra collezione, Caesar, messe da parte le sue strampalate spiegazioni riportate nel Report Carter-Ruck, (i certificati di morte da mostrare ai familiari delle vittime) così si esprime (pag. 130): “Ma io sono un uomo semplice, non un politico: vi darò una risposta semplice. I servizi di sicurezza dell’Intelligence (siriana) non sono coordinati direttamente dal regime. Ciascuno di questi dipartimenti non sa cosa fanno gli altri (…) Il regime documenta ogni cosa per non dimenticare nulla. Perché allora non documentare quelle morti? (…) Ci siamo limitati a seguire la solita routine, senza che il regime sospettasse neanche lontanamente che un giorno tutto questo gli si sarebbe rivoltato contro. (…) A volte mi domando se i responsabili dei servizi di sicurezza non siano in realtà più stupidi di quanto si pensi.”
Ma, al di là di altre stupefacenti affermazioni, la parte più interessante del libro è il sostanziale boicottaggio cheparte dell’establishment statunitense ha riservato al “Caso Caesar”. Valga per tutti il fantomatico Dossier dell’FBI che Garance Le Caisne, (a pag. 207) cita: “...l’FBI finirà per annunciare ufficialmente che le foto del dossier sono autentiche. In un rapporto di cinque pagine consegnato al Dipartimento di Stato nel giugno 2015 e di cui il sito Yahoo News è riuscito ad ottenere una copia, l’FBI dichiara che le foto in esame non sono state manipolate…. Bensì ritraggono eventi e persone reali. Una bella patata bollente.”
In realtà, questo ormai celebre rapporto dell’FBI, pur citato anche dall’HRW nel catalogo della sua mostra, al pari dell’Araba Fenice, è introvabile. Yahoo, che lo avrebbe, più o meno, trafugato, non lo ha mai pubblicato e così l’FBI e il Dipartimento di Stato. Ma perché Garance Le Caisne considera questo Rapporto una “patata bollente”? Per saperlo bisogna soffermarsi sul davvero penoso capitolo – la “congiura” ordita dal Congresso USA dopo l’audizione di Caesar – che conclude il libro di Garance Le Caisne; una cinica macchinazione dettata dall’impossibilità di Obama a bombardare la Siria e da non meno precisate canagliate diplomatiche.
Il regista di questo ennesimo tradimento dell’Occidente verso i valori della Democrazia e della Libertà? Stephen Rapp, ambasciatore americano incaricato alla Giustizia internazionale. Che così dichiara (pag. 206) all’autrice del libro: “Quando abbiamo lanciato il progetto di riconoscimento facciale ero convinto che avremmo riscontrato un centinaio di corrispondenze. Nelle nostre banche dati abbiamo milioni di foto ma alla fine ci siamo ritrovati con meno di dieci corrispondenze.” Ma il peggio Garance Le Caisne lo rivela più avanti: “Di passaggio a Londra nel marzo 2015, Rapp apre il computer e ci mostra due foto di uomini che in effetti presentano una strana somiglianza: uno è morto in un centro di detenzione siriano, l’altro è vivo e vegeto su una carta di identità. Rapp continua: Non siamo sicuri al 100% che si tratti della stessa persona. Dovremmo fare delle indagini supplementari.”
In effetti, il battage pubblicitario, organizzato soprattutto dalla Francia, che aveva accompagnato Caesar nella sua audizione al Congresso USA (in realtà, una fugace, quanto coreografica, apparizione in una Sottocommissione; apparizione commentata da molti membri del Congresso con dichiarazioni di rito caratterizzati, comunque, da un tono certamente più dimesso di quelle che, anni prima, avevano accolto un'altra “testimonianza”: quella di “Nayirah”, sedicente infermiera del Kuwait) , si è rivelato un boomerang. Questa défaillance dell’operazione mediatica ha impedito al caso Caesar di approdare alla Corte Penale Internazionale. La Francia, quindi, si è consolata, nell’ottobre 2015, facendo incriminare Assad dalla Procura di Parigi proprio sulle “prove” prodotte dal duo Caesar - Garance Le Caisne.
Intanto l’Operazione Caesar – pur stancamente – procede. Ora tutto l’archivio delle sue presunte foto è proprietà del dal sito “pro ribelli” SAFMCD che, verosimilmente, continua ad alimentarlo, raccattando un po’ dovunque foto di morti; foto, tra l’altro, che il SAFMCD filigrana con il proprio logo, nella verosimile speranza di farsi pagare il copyright se qualcuno va a ripubblicarle sul web o sui media. E tra le numerose (e spesso, raccapriccianti) che affollano il sito del SAFMCD, due foto non possono che sbalordire: mostrano, inequivocabilmente, due degenti in qualche ospedale, ai quali, dopo la loro morte è stato apposto sulla fronte l’etichetta per la morgue. Etichetta che, ovviamente, è stata resa illeggibile dai redattori del SAFMCD. Magari così riescono meglio a vendere le foto a qualche giornalista.
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Testo tratto, con aggiornamenti, dal libro “Syrian Fake News: 13 anni di menzogne che hanno distrutto la Siria”, edizioni LAntiplomatico (come ebook anche su Amazon, dove il libro è disponibile anche in lingua inglese e francese.