Multipolarità e dedollarizzazione: il discorso virale del presidente del Kenya Ruto
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di Gilberto Trombetta
Durante l’incontro tenutosi nei giorni scorsi presso il parlamento della repubblica di Gibuti, il presidente del Kenya, William Samoei Ruto, ha invitato – tra gli applausi scroscianti dei presenti - i leader dei Paesi africani a smettere di utilizzare il dollaro per gli scambi intra-continentali.
Gli scambi tra Paesi africani dovrebbero avvenire con le rispettive valute locali. Il dollaro andrebbe usato solo per gli scambi commerciali con gli USA.
Un altro segnale, l’ennesimo, del lento ma progressivo processo di dedollarizzazione in corso.
D’altronde per i Paesi africani ilo dollaro è una valuta straniera, che non controllano né emettono.
Un po’ come l’euro per i Paesi europei.
Il processo di dedollarizzazione si inserisce all’interno del più ampio contesto di nascita di un mondo multipolare testimoniata anche dalla sempre più lunga fila di Paesi che stanno chiedendo di entrare nei BRICS.
Un modello ovviamente avversato dagli Stati Uniti che attraverso le armi e il dollaro hanno imposto a una buona parte del mondo il loro dominio fatto di sangue e debito.
Il processo di svincolamento dalle catene straniere dei Paesi africani ha avuto nel corso della storia rappresentanti illustri. Rappresentanti spesso diventati vittime, martiri.
È il caso, tanto per citarne uno, di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso assassinato con la complicità di Stati Uniti e Francia.
Ecco, la storia di Sankara per molti africani è un esempio da seguire, non un monito per evitare di liberarsi dalle catene del vincolo esterno.
In Italia, invece, per molti di noi gli omicidi di Mattei, di Moro, di falcone, di Borsellino vengono utilizzate per giustificare la mancata lotta per la nostra liberazione dalle catene del vincolo esterno: che siano quelle di Bruxelles o di Washington.
La situazione geopolitica attuale rappresenterebbe un’occasione più unica che rara per un Paese come l’Italia che più di altri subisce le interferenze straniere sia nelle proprie politiche interne che in quelle estere.
Molti di noi però hanno purtroppo interiorizzato lo status di colonizzati non riuscendo più neanche a immaginare un’Italia libera.
E utilizzano le morti eccellenti dei grandi patrioti italiani della storia, ammazzati con la complicità diretta dei nostri “alleati”, quale giustificazione per abdicare alla sacrosanta e doverosa lotta che dovremmo tutti intraprendere per rivendicare il nostro diritto come popolo all’autodeterminazione.
Il vincolo esterno trova il suo più grande alleato proprio nel nostro vincolo interno. Quello di cui la classe politica degli ultimi 40 anni, la peggiore della nostra storia, è emblematica espressione.
«È possibile che a causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano il mio cattivo esempio, con l'aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all'altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui. Nessuno potrà mai estirparli. Germoglieranno e daranno frutti. Se mi ammazzano arriveranno migliaia di nuovi Sankara!».