Per una critica dell’ideologia no border

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Certamente è un tema spinoso quella dell'immigrazione, dal momento che sono facili le etichette ed i pregiudizi. Lo storico Valerio Gentili analizza questo tema attraverso quello che rappresenta il border-confine, non solo dal punto di vista geografico, ma politico ed economico. Non solo, la tematica viene affrontata anche sulle ripercussioni che ha avuto nello schieramento politico di sinistra negli ultimi 30 anni e come ha influito. 

di Valerio Gentili*

L’analisi che segue non intende “smuovere coscienze critiche” nell’insieme politico di appartenenenza storica (la Sinistra), convincendo a non demonizzare preventivamente le istanze di una minoranza controcorrente (i no no borders), quanto fornire un modesto contributo a quel polo dialettico che –sul tema e oltre- sta muovendo nuovi, decisivi passi per uscire dalle secche in cui siamo precipitati negli ultimi trent’anni.

Materiale altamente infiammabile, la questione migratoria, negli ultimi anni,  è divenuta tanto centrale nelle discussioni politiche quanto fonte continua di irriducibili controversie: chi ne parla sembra abbia già investito in posizioni assolute, difficilmente discutibili, il pregiudizio alle critiche è frequente. Ovviamente, tutto questo ha comportato e comporta enormi difficoltà nell’avanzare un dibattito costruttivo e scevro da posizioni preconfezionate sul tema. Tuttavia, una verità appare chiara: nell’attuale fase politica, il tema migratorio ha rappresentato per la Sinistra, in tutte le sue proteiformi articolazioni, un vero e proprio tallone d’Achille.

Storicamente, la menzione di confine ci induceva a fare riferimento a quelli di natura fisica (come quelli nazionali che dividono gli Stati), ancora oggi la politica, inoltre, continua ad alimentare tutto un immaginario fatto di reticolati, muri, filo spinato, etc. è bene, tuttavia, tenere a mente che non esistono solo confini di questo tipo. Oggi Il termine border, infatti, fa riferimento tanto ai confini di natura fisica quanto a confini di altra natura che potremmo definire di capitale, confini economici, insomma, che vengono solitamente regolati dagli accordi presi in particolare sul commercio e come nell’esempio dei mercati finanziari. Il Nafta (North American Free Trade Agreement) ha abbattuto il confine per il capitale tra gli Usa, Canada ed il Messico, costringendo le attività economiche di quest’ultimo (in particolare l’agricoltura) a competere direttamente con tutto il nord America. Già che ci siamo, definiamo anche i due motivi diversi (ma spesso sovrapposti) per il quale esistono le migrazioni di massa: povertà, e guerra; quindi abbiamo immigranti tanto per motivazioni economiche quanto rifugiati fuggiti da conflitti.

I risultati devastanti del Nafta sono sotto gli occhi di tutti: venute meno le restrizioni sulle attività predatorie degli avvoltoi finanziari del nord America (Usa e Canada), le condizioni di lavoro in Messico sono precipitate, allo stesso tempo, pesanti limiti sono stati imposti ai dispositivi che lo Stato messicano può attivare per salvare aziende locali, spingendo di conseguenza molti ed emigrare a nord per cercare migliori condizioni di vita – Nord, da cui, allo stesso tempo, i grandi business delocalizzano, proprio in direzione Messico, sfruttando il minor costo della manodopera, licenziando gli impiegati locali e quindi creando ulteriore disoccupazione negli Stati Uniti ed in Canada.

Questo può rendere -in parte- l’idea circa i ben poco virtuosi risultati ottenuti, oggi, dalla maggior parte degli accordi economici tra economie avanzate e quelle dei paesi in via di sviluppo, o che abbiano, comunque, anche solo un settore economico più debole, siano in America, Europa, Africa o Asia, il trend degli accordi commerciali in regime capitalista è questo. Già possiamo avanzare una prima obiezione circa la bontà dell’apertura di ogni frontiera ma dal momento che il discorso sui confini non si limita solo a capitali e mercati ma mette in gioco, un gioco spietato e pericoloso, la vita di esseri umani in carne ed ossa dobbiamo essere chiari: nessun sadismo, nessun accanimento razzista nell’accettare come ineluttabile il destino di morte per persone in disperato bisogno di assistenza in mare, al di là di una barriera di filo spinato o in un deserto. L’umanità deve essere sempre al centro di qualsiasi politica che vuole gestire il problema dell’immigrazione, rispetto alla quale, tuttavia, vanno ben analizzate le cause senza accanirsi sui sintomi. Come, giustamente, si può essere contro la povertà, non certo contro i poveri, altrettanto legittimamente si può essere contro l’immigrazione senza essere contro gli immigrati.

Il problema nasce - e da qui  si dipana l’apparato critico che questo testo vuole argomentare – nel momento in cui i “pasdaran” dell’ideologia “open borders” non riconoscono l’immigrazione come un grave problema cui bisogna tentare di porre un argine. È facile capire (facendo riferimento al sopracitato impulso umanitario) perché la Sinistra tutta voglia  difendere gli immigrati clandestini dall’essere bersagli, tuttavia, pur agendo spinta dal giusto impulso morale della difesa della dignità umana, la Sinistra ha finito per legittimare il sistema stesso di sfruttamento connaturato all’immigrazione.

È anche bene notare, ad oggi, l’impostura del mainstream massmediatico sui termini e i parametri del dibattito circa le dinamiche migratorie: si parla esclusivamente di navi piene di disperati, porti chiusi od aperti, i muri, le deportazioni, etc. – sappiamo benissimo, tuttavia, che questa è solo una parte minoritaria del fenomeno. Altamente spettacolarizzata, al fine di creare reazioni emotive di segno opposto nell’opinione pubblica ma lungi dall’essere esaustiva rispetto alle reali dimensioni e dinamiche dell’immigrazione. Sappiamo, al contrario, quanto sarebbe utile spostare il dibattito sul mondo del lavoro, chiedendo l’implementazione di leggi contro il lavoro nero e lo sfruttamento degli immigrati, un salario minimo garantito per tutti i lavoratori, e percorsi di naturalizzazione per chi ha i requisiti e la volontà di rimanere. Ed allo stesso tempo in politica estera, opporsi attivamente ai trattati commerciali che rendono impoveriti i paesi da dove si emigra, e fare altrettanto con le alleanze militari (vedi Nato) e le partecipazioni ad interventi di guerra.

La Sinistra, un pugile suonato

Nell’occidente capitalistico, solo sparute voci a Sinistra hanno avuto l’ardire di chiedere una regolamentazione del flusso di immigrati, riconoscendo l’immigrazione come un problema al quale occorre trovare rimedio, diversificando l’analisi dalla maggioranza che promuove un’idea di libero, pieno movimento per le persone e quindi frontiere “totalmente” aperte.
Recentemente Marco Rizzo, segretario di uno fra i tanti partiti comunisti italiani, in un'intervista televisiva a La7 ha finito col sollevare un polverone, muovendo una dura critica ai sindaci “ribelli” della Sinistra sulla questione dei porti aperti, più volte, inoltre, si è mostrato critico verso le politiche mainstream sul tema.

Tuttavia, simili posizioni eterodosse sembrano –apparentemente- aver provocato una spaccatura con la componente giovanile dello stesso partito che denuncia:   "abbiamo visto troppo spesso abbandonare le categorie di analisi marxiste per adottare un linguaggio volutamente ambiguo, strizzando apertamente l’occhio ai settori reazionari e di destra, facendone propri i richiami sulla sovranità" e chiede: “un partito realmente rivoluzionario nei fatti non a parole. Che non privilegi la ricerca del consenso e l’apparire a tutti i costi, ad esempio dire di somigliare più a Salvini, pur di apparire su giornali e televisioni. Perché la critica alla deriva opportunista e al tradimento esplicito del centrosinistra non significa assumere l’ottica, le categorie, le parole della destra reazionaria".
Sappiamo d’altronde, che Rizzo non è stato il primo nè probabilmente sarà l’ultimo politico di Sinistra a tirare bordate contro la linea “open borders” che una notevole parte dell’area di provenienza, in occidente, ha adottato negli ultimi tempi.

Secondo Jeremy Corbyn, ex segretario del Labour inglese, la Brexit avrebbe comportato il vantaggio di impedire alle imprese di importare manodopera a basso costo per ridurre i salari dei lavoratori britannici. Questa affermazione scatenò non poche critiche a Sinistra, con l’accusa di parlare come Nigel Farage (il Salvini britannico, per capirci), il che ha costretto Corbyn a puntualizzare le sue dichiarazioni, affermando che l'attenzione dovrebbe concentrarsi sulla cessazione degli abusi nei confronti di lavoratori poco qualificati, contro il "grottesco sfruttamento" dei migranti da parte di alcune società britanniche, causa di "terribili tensioni" nelle comunità Inglesi per via dei tagli ai salari, e sulla promozione di un maggior numero di assunzioni locali, il che, secondo lui, probabilmente ridurrà l'immigrazione.

Persino il democratico Bernie Sanders, il senatore due volte in corsa alla nomination per la presidenza degli States, ha, in più occasioni, mostrato la sua contrarietà alle teorie open borders, ad esempio in una sua intervista del 2015 durante le primarie per il Partito Democratico, alla domanda circa un’eventuale, auspicabile aumento del livello di immigrazione permessa, Sanders rispose "queste sono proposte da fratelli Koch" (ndr, imprenditori miliardari americani), e sono "proposte di destra", ed ancora “sai a che livello è oggi la disoccupazione giovanile negli Stati Uniti d'America?... Pensate che dovremmo aprire le frontiere e importare un sacco di lavoratori a basso salario, o pensate che forse dovremmo cercare di trovare lavoro per questi ragazzi statunitensi?”,  “aprire le frontiere significa sostanzialmente abbassare i salari in questo paese", anche in questo caso si alzò un polverone e guarda un po’ il caso, Sanders fu accusato di parlare come Trump.

A questo punto, quella che sembra emergere a Sinistra, più che una spaccatura politica potrebbe apparire come una sostanziale incomprensione generazionale. Da un lato, il grosso dei giovani quadri e militanti, dall’altro, “storiche” figure di rilievo che, pur da gradazioni diverse (l’appartenenza al campo comunista, socialista o socialdemocratico) esprimono posizioni che riflettono gli ormai deboli echi di un’epoca di forte connessione della Sinistra con la classe lavoratrice, con le sue lotte grandi e piccole, dura comunione d’intenti in cui la speranza nel “sol dell’avvenire” si viveva davvero insieme. I giovani, figli delle terorie dell’astrazione e della fuga dal lavoro salariato, sono talmente distanti “fisicamente” dalla classe operaia che faticano a capire –culturamente ed antropologicamente- quello che le ribolle nelle pancia.

Una dei più prestigiosi filosofi marxisti viventi, Slavoj Zizek ha scritto sull’Independent: [...] il nostro grande problema etico-politico: come affrontare il flusso di rifugiati? La soluzione non è aprire le frontiere a tutti coloro che vogliono entrare, e fondare questa apertura nella nostra colpa generalizzata ("la nostra colonizzazione è il nostro più grande crimine che dovremo ripagare per sempre"). Se rimaniamo a questo livello, serviamo perfettamente gli interessi di coloro che alimentano il conflitto tra gli immigrati e la classe operaia locale.
[...] La "contraddizione" tra i sostenitori delle frontiere aperte e dei populisti  anti-immigrati è una falsa "contraddizione secondaria" la cui funzione ultima è quella di offuscare la necessità di cambiare il sistema stesso: l'intero sistema economico internazionale che, nella sua forma attuale, dà origine ai rifugiati.

Questo significa che dovremmo aspettare pazientemente un grande cambiamento? No, possiamo cominciare subito con misure che sembrano modeste, ma che tuttavia minano le fondamenta del sistema esistente, come un paziente scavo sotterraneo di una talpa. Che dire della revisione dell'intero sistema finanziario che inciderebbe sulle regole di funzionamento dei crediti e degli investimenti? Che dire dell'imposizione di nuove norme che impedirebbero lo sfruttamento dei paesi del terzo mondo da cui provengono i rifugiati?
[...] Nel momento in cui si comincia a pensare in questa direzione, la sinistra politicamente corretta grida immediatamente al fascismo.

Le problematiche sollevate da Zizek, ci riportano per paradosso all’epoca del colonialismo: allora, parte non irrilevante della Sinistra (e non solo quella di estrazione borghese) si fece sedurre, in nome del mito del progresso, da parte delle istanze colonizzatrici. La necessità di portare “sviluppo” e “civiltà” ai popoli “selvaggi” passò sopra le nefandenze e gli stermini sistematici perpetrati dall’uomo bianco. Un prezzo davvero troppo alto da pagare. Oggi, mutatis mutandis, ancora una volta in nome dei miti del progresso (ma senza redistribuzione a beneficio di chi?), si accetta l’ineluttabilità della globalizzazione, la criminale azione del capitale monopolistico che sradica a milioni dalle proprie terre per la fame di nuovi mercati, crea frotte di disoccupati (il famigerato “esercito industriale di riserva”), impedisce l’emancipazione economica dell’ex terzo mondo, la formazione di classi di governo autonome ed emancipate, non burattini cui tirare le fila. Quanto è lontana la realtà da chi nega che esistano crisi migratorie o peggio rivendica che la migrazione umana (questa fottuta deportazione sistematica) sia qualcosa di “assolutamente naturale”?

Dall’articolo di Angela Nagle: “Il caso a Sinistra contro le frontiere aperte” (“The Left case against open borders”): Il fatto è che, la trasformazione della proposta “open borders” in una posizione di sinistra è un fenomeno abbastanza nuovo e contrasta in modo fondamentale gran parte della storia della sinistra organizzata. Infatti l'apertura delle frontiere è stata da sempre un grido di battaglia del grande business e del libero mercato di destra.

Eppure, ci ritroviamo, oggi, con buona parte della Sinistra incagliata nella palude del politically correct sulla questione migratoria, paralizzata sul piano dell’azione e prigioniera dell’assoluto open border, spacciato come dogma intagibile  e approdo naturale metastorico ma che a ben vedere non dovrebbe rappresentare ne’ un assoluto ne’ un esito dialetticamente dovuto della lotta di classe, come qualcuno  vorrebbe far credere.

Anche le Black Panthers vittime del complotto rossobruno?

Nel 1973, sulla riva altra della baia di San Francisco, a Oakland le Pantere Nere erano impegnate nel picchettaggio del locale supermercato della catena Safeway chiedendone il boicottaggio in solidarietà ai lavoratori della Ufw (United Farm Workers, sindacato dei lavoratori agricoli statunitensi, in maggior parte di etnia latina) in sciopero contro l’industria dell’uva e delle verdure californiane. Safeway stava vendendo uva e verdure provenienti da aziende agricole che non permettevano la sindacalizzazione dei lavoratori, in altre aree del paese già uniti sotto i vessilli della Ufw nella lotta per rivendicare salari, diritti e tutele.

Il boycott ebbe un grande successo (in parte anche perché le Pantere Nere offrivano servizi navetta dalla piazzola di Safeway ad altri negozi di alimentari di zona), tanto che Safeway fu costretto a chiudere pochi giorni dopo. Con questi sforzi, l'Ufw ottenne risalto nazionale.

Durante lo sciopero dei lavoratori agricoli del 1973, come negli anni precedenti e successivi, la lotta si dimostrò essere piuttosto dura, ci furono molti colpi di scena, episodi di violenza, repressione, ed inganni da parte delle aziende per tentare di rompere le mobilitazioni, ma la determinazione e l’organizzazione dei lavoratori sotto la guida di Cesar Chavez ebbe la meglio, la Ufw vinse la maggior parte delle battaglie, costituendo ancora oggi un punto di riferimento per i latinos negli Stati Uniti, e per i sindacalisti in tutto il mondo.



Gli eroi della comunità latinos in un murales al Chicano Park di Los Angeles: Cesar Chavez (in grande al centro), i lavoratori della UFW (in basso con le bandiere rosse), Che Guevara, Fidel Castro (alla sinistra di Chavez).

Uno degli stratagemmi più comuni cui disponevano le grandi aziende per cercare di rompere gli scioperi era l’impiego a nero di immigrati messicani irregolari, questa era una pratica così usata dai padroni che gli United Farm Workers furono costretti a pattugliare (sempre durante lo sciopero del 1973) una linea lungo il confine tra gli Usa e il Messico per impedire agli immigrati messicani di entrare illegalmente negli Stati Uniti e potenzialmente compromettere gli sforzi di sindacalizzazione dell'Ufw.

Durante uno di questi eventi, in cui Chavez non era coinvolto, alcuni membri della Ufw, sotto la guida del cugino di Chavez, Manuel, attaccarono fisicamente gli immigrati dopo che tentativi pacifici di convincerli a non attraversare il confine fallirono. Il ricorso all’immigrazione clandestina era vista da Chavez e compagni come strumento di boicottaggio delle lotte da loro portate avanti (in altre parole “strumento del capitale”), questo aspetto è quasi sempre omesso dagli omaggi ufficiali di oggi, una verità scomoda per una Sinistra liberale che strizza l’occhio non più ai lavoratori oppressi ma genericamente, alle minoranze etniche negli States, un esempio di questo revisionismo storico è il film del 2013 “Chavez”.

È scontato, ma allo stesso tempo importante, specificare che Chavez non era - come nessuno dovrebbe essere a Sinistra - contrario all’immigrazione di massa per motivi etnici o di identità nazionale, atteggiamento tipico delle forze politiche a Destra (alla quali –quindi erroneamente- viene solitamente paragonato chi da Sinistra critica l’agenda open borders), Chavez era, infatti, promotore  della legalizzazione degli immigrati clandestini che avevano intenzione di rimanere negli Usa, che non erano semplicemente lì per fare soldi a discapito delle lotte altrui e dei problemi nel proprio paese natio.

L’esempio storico delle dure e reali esperienze di lotta di sindacalisti e proletari alle prese con il fenomeno dell’immigrazione irregolare usato contro di loro come una clava dal padronato, immigrazione proveniente per giunta dal paese da dove arrivavano in maggior parte i loro stessi genitori e nonni, quale esempio migliore per cercare di scuotere dalla base le teorie open border nei loro punti più critici e traballanti?

Certo i tempi cambiano ma non le dinamiche di sfruttamento in regime capitalista, l’esempio storico riportato è utile perché fornisce una casistica molto chiara circa il ruolo che l’immigrazione può avere sui meccanismi che regolano il rapporto tra lavoratore e azienda, non a caso i sindacati di ogni paese si sono spesso opposti all’immigrazione di massa, sulla base dell’elementare deduzione: maggiore importazione di lavoratori illegali corrisponde a minori salari, quindi  indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e maggiore sfruttamento.

In conclusione

Non si può negare il fatto che il potere dei lavoratori organizzati si basi per definizione sulla loro capacità di limitare e ritirare l'offerta di lavoro, il che diventa impossibile se un'intera forza lavoro può essere sostituita facilmente ed economicamente. In tale ottica, l'apertura delle frontiere e l'immigrazione di massa costituiscono una sicura sconfitta.

 Gli attivisti ben intenzionati di oggi che professano l’apertura delle frontiere diventano, volenti o nolenti, funzionali al grande business, ed il feroce assolutismo morale di cui si armano che considera ogni limite alla migrazione come un male indicibile, dove qualsiasi critica al sistema di sfruttamento della migrazione di massa viene di fatto liquidata come blasfemia, non fa altro che essere controproducente. La giusta resistenza a questo progetto capitalistico globale, manifestata in tutto il mondo sviluppato da persone svantaggiate, viene, infatti, criminosamente spinta nelle braccia dell'estrema Destra.

Possiamo chiosare ribadendo che: il radicalismo delle frontiere aperte va in ultima analisi a beneficio delle élite dei paesi più potenti del mondo, disprezza il lavoro organizzato, mette lavoratori contro lavoratori, e attraverso il cosiddetto brain-drain (la fuga di cervelli) priva i paesi in via di sviluppo dei loro migliori e più brillanti cittadini.  A migrare, infatti, sono spesso quei ragazzi più svegli ed intraprendenti, con buoni od ottimi livelli d’istruzione alle spalle, potrebbero essere loro la futura, finalmente degna, classe di governo del proprio Paese, se l’imperialismo  non avesse già preventivamente predato e razziato ogni cosa, col criminale assenso di caste di governo fantoccio.

Open borders non è altro che la globalizzazione della povertà e fornendo una copertura più o meno involontaria agli interessi commerciali dell'élite dominante, la Sinistra è piombata in una mostruosa crisi esistenziale, regalando praterie alla demagogia razzista dell’estrema Destra, vogliamo veramente seguirla sul sentiero dell’autoannientamento?


*È un esperto di storia della Resistenza e del combattentismo di sinistra, soprattutto a Roma. Ha pubblicato 'La legione romana degli Arditi del popolo' (Purple Press 2009), 'Roma combattente' (Castelvecchi 2010), 'Bastardi senza storia' (Castelvecchi 2011), 'Dal nulla sorgemmo' (Red Press 2012). 'Volevamo tutto. La guerra del capitale all'antifascismo. Una storia della Resistenza tradita'. (Red Star Press 2016).

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