Protezionismo austeritario. Stabilità dei governi e instabilità delle economie

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Protezionismo austeritario. Stabilità dei governi e instabilità delle economie

 

di Giuseppe Giannini 

Qualcuno potrebbe chiedere: dove sta la differenza tra i governi liberisti bipartisan degli ultimi trent'anni e l'attuale esecutivo di destra? Nella sostanza le divergenze sono minime, perchè i cd. sovranisti,  coloro che per anni hanno preso di mira la UE (e l'euro), non fanno altro che portare avanti il "ce lo chiede l'Europa". Questo non si traduce in maggiore solidarietà tra i popoli per affrontare le complesse questioni globali, ma in competizione al ribasso sui diritti sociali e civili. E servilismo verso la tecnocrazia (l'anomalia strutturale della UE con i superpoteri della Commissione e i dogmatismi finanziari da Maastricht al fiscal compact) e gli USA (amplificato dalle guerre della NATO).

L'unica, pericolosa, variazione è riscontrabile nella limitazione delle libertà dei sudditi ( a cui c'eravamo abituati anche con i governi della pandemia), e nell'attacco sprezzante verso gli altri rappresentanti dei poteri nazionali ed internazionali. Fino a mettere in dubbio la tenuta delle istituzioni democratiche  (la delegittimazione dell'ONU e degli organi di giustizia come fanno anche gli americani trumpisti e gli israeliani genocidari). I toni trionfalistici dei media nel sottolineare la longevità del governo italiano targato Meloni ( a differenza di quelli francesi) servono ad occultare elementi determinati per interpretare la strada intrapresa. Che è quella del copia-incolla dei diktat che Trump sta imponendo alle economie mondiali, in specie a quelle della UE.

E' doveroso ricordare che la gestione neoliberista dell'Unione è servita a rafforzare partiti sovranisti e movimenti identitari, che oggi, grazie alla forza acquisita ed al riconoscimento di alcuni strati popolari, possono permettersi di condizionare l'agenda dei governi nazionali e della stessa Unione europea. Vale per la messa in discussione del Green Deal e soprattutto per la deportazione dei migranti. Così come contano le pressioni delle lobby, con in primo piano quelle delle armi, e che vedono la Presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen (riconfermata per rassicurare i poteri che contano?) ben disposta ad accoglierne le richieste (è già successo con le aziende di Big Pharma durante il covid). Mentre gli Stati europei riconvertono le produzioni puntando sulle energie impattanti e le industrie belliche per far ripartire la crescita (vedi la Germania), il presidente americano dichiara guerra commerciale al mondo intero.

I dazi, ed il bilateralismo contrattuale, che grazie alla strapotenza del dollaro come valuta di riferimento degli scambi, cercano di sostituire decenni di globalizzazione delle economie. In quest'ambito ha un senso, sempre secondo la versione suprematista, la caccia ai migranti sul territorio americano, per fare affidamento, principalmente, sulla forza lavoro autoctona. Misure che trascurano l'interdipendenza delle economie e della forza lavoro.

La delocalizzazione delle produzioni, di cui gli americani sono stati i maestri riguardano, appunto, prodotti che prima di essere finiti vedono le diverse fasi eseguite, a volte, in più continenti, per poi essere assemblati e trasferiti. E la stessa forza lavoro a basso costo, quasi sempre straniera, con vere e proprie sacche di sfruttamento e schiavitù, è tra i fattori che ha consentito la supremazia occidentale ed americana. Ogni governo europeo sa che, a parte la retorica ai fini elettoralistici, le aziende chiedono ogni anno l'ingresso di un numero determinato di migranti (le quote).

Dando luogo al perverso meccanismo fatto di fondi comunitari elargiti anche agli antieuropeisti (l'Ungheria). Forza migrante che, quando regolarizzata, contribuisce alla crescita del Pil nazionale e a sopperire, con i lavori di assistenza e cura, ai tagli del welfare state. E poi ci sono lavori che i residenti non sono più disposti a fare. I Paesi dell'Unione europea attraversano una crisi industriale dovuta a ritardi e scelte sbagliate. Interi setttori pagano le politiche di guerra, viste invece dai governanti come tema di consenso (fondato sulla paura) e possibile crescita. E' indubbio che l'aumento dei costi energetici, a causa della scellerata scelta di rinunciare al gas russo, ha avuto un impatto sulle famiglie e sulla competitività delle imprese. Il settore dell'auto risulta impantanato dalla svolta elettrica, nel quale domina la Cina, frenato dal dover importare tecnologie, che con i dazi risultano ancora più sconvenienti.

Gli stabilimenti chiudono in tutta Europa e fioccano i licenziamenti. E sulle nuove tecnologie e l'IA c'è un abisso tra i finanziamenti americani, la conoscenza cinese, e quelli europei. Una UE che, a causa della sua sudditanza verso gli americani, tra acquisti a debito di gas e armi, ed appunto, i dazi, si avvia sulla strada dell'irrilevanza geopolitica. Un prezzo da far pagare ai popoli, soprattutto alle fasce più deboli. Con dietro l'angolo il rischio del rafforzamento dei partiti ultranazionalisti.

La durata di un governo non sempre corrisponde al suo stato di salute. Ad esempio, guardando i precedenti, e cioe i lunghi esecutivi italiani targati destre, come avvenuto sotto Berlusconi (dal 2001 al 2005 e dal 2008 al 2011), anche in quei casi alla permanenza non è corrisposta una economia virtuosa. All'attuale governo italiano preme la tenuta del potere. Umiliando le istituzioni (gli attacchi spropositati alle opposizioni, alla stampa ed alla Magistratura) ed il senso civico. Abbandonando i territori (il Piano Nazionale Strategico previsto per le aree interne) e privando il Paese di una possibilità di ripresa (il ritardo infrastrutturale, la crescita zero, la produzione industriale ferma da troppo tempo, per non parlare della povertà diffusa).  Emergono le opzioni effettuate che, nel caso di compagini liberiste e profondamente conservatrici (se non apertamente fasciste), puntano a privilegiare chi sta in alto. La parte datoriale rispetto ai lavoratori; la grande impresa, anche straniera;  il complesso di privilegiati e parassiti - il mondo della finanza, le lobby, certo corporativismo – che fanno della rendita (detassata) il loro status. Quindi, più che alla durata quale sinonimo di stabilità politica ( a parte i contrasti interni di chi deve rispondere al proprio elettorato di riferimento) bisogna concentrarsi sulle misure programmate.

La sovranista che, quando stava all'opposizione, attaccava la UE con slogan populistici di bassa lega, si è convertita sulla strada della continuazione dell'austerità, cavallo di battaglia di quei partiti (liberali, moderati, socialdemocratici), che sorreggono l'impianto tecnocratico europeo. Contemporaneamente, la Presidente del Consiglio ha intrapreso un'altra via, difficilmente conciliabile con la prima, che parla il linguaggio dell'autarchia. Il protezionismo suprematista tipico delle destre reazionarie, che mentre galleggiano nel mare del capitalismo delle diseguaglianze, usano la retorica della competizione (e dell'esclusione) per delineare un pericoloso quadro, relativo al fantomatico recupero di antiche virtù nazionali.

La diffusione dell'immaginario che chiama in causa la venuta di nuovi eroi(ne), in grado di salvare l'intrinseca purezza di popoli e culture per troppo tempo "inquinati" dall'ideologia delle élite: la questione green, il gender, ed ora le speculazioni intorno all'antisemitismo. Paradosso dei paradossi del rovesciamento del mondo (altro che mondo all'incontrario secondo la versione di Vannacci), nel quale più che combattere gli eccessi del pensiero liberal vengono messi in discussione secoli di regime democratico, fondati sulla separazione dei poteri e la libera espressione di idee e pensieri critici verso l'establishment. I toni accessi dell'esecutivo di estrema destra fanno da preludio all'uso della disciplina e della forza.

La svolta autoritaria proviene da quella parte politica che aspettava solo l'occasione buona per rifarsi da decenni di emarginazione democratica. E che ora è arrivata attraverso operazioni di restyling, ma nemmeno tanto, ad inserire persone con un passato ambiguo e legato ad ambienti della destra stragista all'interno di settori del potere statale.

Se a questo aggiungiamo le riforme in discussione o le leggi approvate, dal semipresidenzialismo all'Autonomia Differenziata, dalla riforma della Magistratura al Decreto Sicurezza, ecco che le dichiarazioni di quanti, in Italia come all'estero, vedono con preoccupazione la svolta verso l'orbanizzazione del Belpaese, trovano più di qualche fondamento.

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