Respingimento della Kater i Rades: quando morirono 100 albanesi e non ci fu nessun processo contro l'allora ministro degli interni Napolitano

Respingimento della Kater i Rades: quando morirono 100 albanesi e non ci fu nessun processo contro l'allora ministro degli interni Napolitano

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di Antonio Di Siena

 

Il 28 marzo 1997 la nave albanese Katër i Radës sta attraversando il canale d’Otranto. È carica di profughi (veri, non inventati visto che da quelle parti c’era la guerra civile) e sta provando ad approdare sulle nostre coste.
 

Il governo italiano però ha deciso di respingerla e pertanto ha messo in piedi un blocco navale.


Nonostante ciò il capitano della nave albanese inizia una serie di manovre atte a forzarlo e viene speronato da una corvetta della Marina militare.
 

Le imbarcazioni si scontrano violentemente e ne consegue il naufragio della Katër i Radës. Muoiono 81 persone, i corpi di 27 di loro non saranno mai ritrovati.
 

Nonostante una tragedia di questa portata però, nessun componente del governo finisce sotto processo.
 

Come mai?


Eppure non stiamo parlando di un ipotetico sequestro di persona ma di ipotesi di reato molto più gravi come la strage, il naufragio, l’omicidio plurimo.


Forse perché i nostri fratelli albanesi sono dei poveri stronzi?

Spero proprio di no.


Nessuno è finito a processo semplicemente perché l’allora Ministro degli interni, il futuro capo dello Stato Giorgio Napolitano, rispondeva ad un principio tanto cristallino quanto sacrosanto e unanimemente riconosciuto. Un principio ottimamente sintetizzato dal Presidente del Consiglio Romano Prodi con le seguenti parole: “la sorveglianza dell'immigrazione clandestina attuata anche in mare rientra nella doverosa tutela della nostra sicurezza e nel rispetto della legalità che il governo ha il dovere di perseguire”.
 

In sintesi, la linea politica era quella.


C’è un blocco navale quindi non si entra. Punto.


Stavolta invece non può, non deve, essere così.


E sapete perché?
 

Perché in Italia abbiamo un cazzo di problema ben più grave del Papeete, dei folkloristici citofoni o della pizza con la cipolla.


Il vecchio vizio della sinistra liberale, fintamente democratica e antifascista, di provare a liquidare coi processi gli avversari politici.
 

Il principio (etico, mica giuridico) secondo cui ci si deve difendere “nel processo” e non “dal processo” può senza dubbio valere se parliamo di reati commessi per interesse personale. Non di certo in presenza di un plateale atto politico che, piaccia o meno, deve sempre essere nella facoltà e nei poteri di un ministro della Repubblica. E come tale sempre difeso da tutti nella sua potestà, per quanto criticabile esso sia.
 

Il processo per cui le finte sinistre serve del capitale si spellano le mani dagli applausi è una vergogna costituzionale e istituzionale senza precedenti. Di cui, guarda caso, si macchiano gli stessi che da decenni, con la scusa di difenderla, attentano alla nostra Costituzione.
 

Io NON sto con Salvini.
 

Anche perché a me la destra italiana fa schifo da sempre.


A differenza vostra che ci governate insieme o accogliete a braccia aperte gli ex missini nelle vostre liste.
 

Ma rivendico il diritto di difendere un principio sacrosanto: quello secondo cui un Ministro della Repubblica non può finire sotto processo per un atto di governo.
 

Chi pretende non sia così è un eversore. E io da giurista, democratico e antifascista, con certa merda non ho intenzione di mischiarmi.

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