Ruanda: come è stato finanziato il genocidio del 1994

Ruanda: come è stato finanziato il genocidio del 1994

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di Sergio Scorza - Contropiano
 

I genocidi Hutu hanno pianificato i loro crimini almeno due anni prima, approfittando della complicità delle banche francesi.


Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Rwanda, piccolo stato dell’Africa centrale, nella regione dei Grandi Laghi, il genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati per mano degli ultrà dell’Hutu Power e dei membri dell’Akazu. Su una popolazione di 7.300.000, di cui l’84% Hutu, il 15% Tutsi e l’1% Twa, le cifre ufficiali diffuse dal governo ruandese parlano di 1.174.000 persone uccise in soli 100 giorni (10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto). I sopravvissuti Tutsi al genocidio sono stimati in 300.000. Migliaia le vedove, molte stuprate e oggi sieropositive. 400.000 i bambini rimasti orfani, 85.000 dei quali sono diventati capifamiglia.


Autore del progetto di genocidio fu l’Akazu, la “casetta”, il clan familiare del presidente Habyarimana, che mobilitò gli estremisti Hutu del nord. Questi affiancarono  all’esercito regolare dei gruppi d’attacco, gli Interahamwe (“quelli che lavorano insieme”), presi dalla popolazione civile, i quali furono armati ed incitati al genocidio. Ma venticinque anni dopo, le condizioni che hanno reso possibili questo immane, gigantesco, inaudito massacro rimangono poco chiare.


Inizialmente quel genocidio venne raccontato dai principali media di tutto il mondo come lo scoppio di una violenza improvvisa e imprevedibile. Poi, nel novembre del 1995, il quotidiano belga De Morgen pubblicò estratti di un fax che Romeo Dallaire, capo dei caschi blu a Kigali, aveva mandato ai suoi capi all’Onu, la notte dell’11 gennaio 1994. Da quel documento risultava chiaro che si stava preparando un massacro. Ma Dallaire, che si apprestava a requisire un deposito di armi, ricevette l’ordine di non fare nulla. Fu la prima di una lunga serie di decisioni vergognose. Dopo l’omicidio del presidente ruandese – l’Hutu Juvénal Habyarimana, ucciso il 6 aprile 1994 – e le violenze che ne seguirono, Dallaire chiese rinforzi, ma il Consiglio di sicurezza rispose riducendo il contingente a sua disposizione da 2.500 a 270 caschi blu.


Ancora oggi si continua  a raccontare  il genocidio del  Ruanda come di un regolamenti di conti a colpi di machete tra etnie contrapposte: è il solito cliché utile per occultare le enormi responsabilità occidentali in ordine quel gigantesco massacro di povera gente inerme in fuga.

Nei tre anni precedenti il 1994, sotto gli occhi della Banca mondiale, il Ruanda – che è poco più grande della Sicilia – era stato, in termini assoluti, il terzo importatore d’armi di tutta l’Africa. E ancora oggi i paesi più potenti del mondo continuano a vendere armi a paesi poveri in cui sono in atto conflitti e guerre civili, e a paesi aggressori, mentre le somme destinate  allo sviluppo di questi paesi sono ridicole.


Nel 2003, quando ormai la mole di documenti che testimoniavano la premeditazione e l’evitabilità del massacro era  già enorme, l’allora Segretario di Stato degli Stati Uniti durante il secondo mandato presidenziale di Bill Clinton, Madeleine Albright, ribadì che non si era potuto fare nulla, che tutto era stato improvviso e inaspettato. Tuttavia, fu la Francia  ad avere le responsabilità più grandi, tra le potenze occidentali perché fu sempre sempre a fianco del regime di Habyarimana e successivamente del governo in mano agli estremisti genocidi. Parigi fornì armi, addestrò milizie e successivamente al massacro protesse la fuga dei principali responsabili del genocidio.


E fu sempre la Francia a diffondere una verità di comodo sul genocidio della popolazione Tutsi. Il presidente francese François Mitterrand , a novembre del 1994,   rispondendo a un giornalista che lo intervistava sul genocidio, rispose: “Di quale genocidio parla? Di quello degli hutu contro i tutsi o di quello dei tutsi contro gli hutu?”.  In altre parole, Mitterand volle dire al mondo che si interrogava sulle cause di quel genocidio: sono solo guerre tribali ed in Ruanda si sono massacrati fra loro, cosa c’entriamo noi?

Ma Francois Mitterrand era già ampiamente noto per la sua collaborazione, soprattutto commerciale ed economica, con i vertici regime degli Hutu in Ruanda, segregazionista nei confronti dei Tutsi, prima della guerra civile ruandese che portò al loro genocidio. La famiglia di Mitterrand  coltivava enormi interessi d’affari non solo in Ruanda  ma anche nel resto dell’Africa (il figlio di Francois Mitterand venne arrestato nel 2000 per traffico d’armi con l’Angola). Il giornalista Philippe Gourevcitch nel suo libro The Reversals of War [1]   attribuì a Mitterrand l’infelice frase «In questi Paesi un genocidio non è troppo importante». Non a caso Francois Mitterand era noto ai più come “Francois l’africano”.


Nel tentativo di far luce su questo tragico episodio, il giornalista David Servenay ha tracciato i flussi finanziari che hanno alimentato il genocidio della popolazione Tutsi.


L’inchiesta di David Servenay, che Le Monde pubblica in tre parti, mostra che i massacri furono organizzati almeno due anni prima del loro scoppio. Inoltre, per comprare le armi, gli estremisti Hutu hanno approfittato della complicità delle banche francesi come BNP [2] ma anche la cecità delle istituzioni internazionali come il Fondo Monterario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale (Word Bank).



[1] Philippe Gourevcitch, The Reversals of War,  edizioni The New Yorker, 26 aprile 1999
[2] BNP Paribas è uno dei leader europei nei servizi finanziari di portata mondiale e una delle 6 banche più solide al mondo secondo la valutazione della società di rating Standard & Poor’s

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