Scuola e propaganda: riflessioni critiche su un “paper” ideologico

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Scuola e propaganda: riflessioni critiche su un “paper” ideologico

 

di Luca Cangemi

È stato pubblicato, sul sito dell’Istituto Germani, un paper a firma di Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey, dal titolo impegnativo ma anche un po' surreale: “Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane”. Le anticipazioni del documento, mesi fa, erano già state rilanciate dal ministro Valditara.

Prima di entrare nel merito delle molte parti poco convincenti del testo, è opportuno dire qualche parola sugli autori.

L’Istituto Germani, promotore dell’iniziativa e presso il quale Di Pasquale è ricercatore nonché responsabile dell’Osservatorio Ucraina, ha come finalità dichiarata quella di contrastare le “sfide alla comunità euro-atlantica”. Kashchey, dal canto suo, è una giornalista che lavora al telegiornale ucraino della Rai, prodotto del conflitto in corso.

Siamo, dunque, apertamente di fronte a una pubblicazione espressione della propaganda di guerra della NATO e del regime ucraino, non certo a una ricerca accademica.

C’è certamente una propaganda russa, e non ci stupisce quella NATO-ucraina; il punto è se questi propagandisti debbano sentirsi in diritto di entrare pesantemente nella vita della scuola italiana, dettando, incontrastati, le loro verità e aizzando il governo a imporre censure.

È bene ricordare che i libri scolastici sono scelti autonomamente dagli organi collegiali delle scuole, e il loro utilizzo rientra nella libertà d’insegnamento garantita ai docenti italiani, i quali sono perfettamente in grado di affrontare culturalmente e didatticamente le complesse vicende storiche. Magari hanno problemi legati al precariato e alla riduzione degli orari, ma questa è un’altra questione.

Quanto ai contenuti, il paper si rivela – come prevedibile – del tutto unilaterale, con frequenti menzogne e ingenuità imbarazzanti.

Particolarmente infantile è, ad esempio, il lamento ricorrente sull’uso dei toponimi russi anziché ucraini per le città. Ricordiamo agli autori che un libro italiano farebbe semplicemente ridere se seguisse quelle prescrizioni. Prendiamo il caso di Odessa, città con legami storici con l’Italia e citata spesso nella nostra letteratura: nessun testo italiano ha mai scritto “Odesa” con una sola “s”, come invece pretende il regime ucraino. Cosa dovremmo fare, allora? Censurare non solo i manuali scolastici, ma anche tutta la letteratura italiana?

Altrettanto incredibile è il tentativo di separare la storia russa da quella ucraina, attribuendo a quest’ultima un’impronta democratica fin dal Granducato di Lituania e Polonia del 1240 (!), come si legge testualmente a pagina 21.

Il ragionamento sulla Crimea, una delle pietre dello scandalo toponomastiche contro l’editoria scolastica italiana, è particolarmente contorto. Vi è anche una falsificazione evidente quando si afferma che la RSSA (Repubblica Socialista Sovietica Autonoma) di Crimea, dal 1921 al 1945, sarebbe stata una repubblica “separata”. Le repubbliche “separate” si chiamavano repubbliche federate; la Crimea, invece, era un’entità all’interno della Repubblica Sovietica di Russia.

Fantasioso è, infine, tutto il racconto degli eventi del 2014, come d'altronde lo è la negazione dell’esistenza di popolazioni russe in Crimea e nel Donbass.

Significative sono anche le omissioni, in particolare due: il referendum del 1991, in cui i cittadini ucraini, a larga maggioranza, confermarono la loro volontà di rimanere all’interno dell’URSS, e la strage della Casa dei Sindacati a Odessa, nonché, più in generale, la presenza di gruppi neonazisti con un ruolo tutt’altro che marginale nella vita politica ucraina.

Si potrebbe continuare a lungo a segnalare incongruenze e forzature in questo testo, ma forse non ne vale la pena. Vale la pena, invece, riflettere su come iniziative di questo tipo rischino di saldarsi con l’attività del ministro Valditara – come dimostrano le recenti “indicazioni nazionali per il primo ciclo” – e di rafforzare la spinta verso una scuola funzionale ai venti di guerra che soffiano sempre più forti in Europa.

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