Social washing: il caso di Elly Schlein nel laboratorio del neo-liberismo in Italia

Social washing: il caso di Elly Schlein nel laboratorio del neo-liberismo in Italia

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di Alessandro Somma - La Fionda
 

Per molti l’Emilia-Romagna resta la regione rossa per antonomasia, ma da tempo questa etichetta cozza con una realtà ben diversa, occultata ad arte sotto la cortina fumogena di slogan roboanti: da ultimo quello per cui la riconferma di Stefano Bonaccini segna l’inizio del declino leghista. In effetti il Presidente uscente ha avuto buon gioco a sbaragliare un avversario la cui campagna elettorale aveva puntato tutto sulla retorica xenofoba, e su odiose carnevalate come la celeberrima citofonata al presunto spacciatore tunisino. In questo modo ha potuto glissare su alcune misure che hanno reso la sua regione un autentico laboratorio di politiche neoliberali, il cui effetto destabilizzante può essere esemplificato considerando tre ambiti: quello urbanistico, del welfare e delle riforme istituzionali.

 

In materia urbanistica l’Emilia-Romagna ha per molto tempo rappresentato un punto di riferimento per lo sviluppo di un approccio alla materia incentrato sulla partecipazione democratica e attento alle compatibilità sociali e ambientali. Le cose hanno iniziato a cambiare a partire dagli anni Ottanta, ma una legge regionale varata durante il primo mandato di Bonaccini ha rappresentato una definitiva e inedita inversione di tendenza: ha decretato il sostanziale tramonto dell’urbanistica intesa come programmazione pubblica e quindi partecipata dell’uso del territorio[i]. La legge affida infatti questa prerogativa ai privati, i quali negoziano con le amministrazioni “accordi operativi” cui si attribuisce “il valore e gli effetti dei piani urbanistici attuativi” (art. 38), sottraendoli al piano urbanistico generale predisposto dal Comune: questo “non può stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato né fissare la disciplina di dettaglio degli interventi la cui attuazione sia subordinata ad accordo operativo” (art. 33). Il tutto mentre una complessa disciplina concernente i limiti al consumo di suolo finisce invece per consentirlo in misura notevole, soprattutto se funzionale a soddisfare aspettative di ordine economico: se destinato a realizzare “insediamenti strategici volti ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio” (art. 5)[ii].

 

E passiamo al welfare, o meglio al welfare aziendale: l’insieme dei servizi erogati dal datore di lavoro in sostituzione di un incremento stipendiale, la cui diffusione produce uno svilimento del welfare universale e neutralizza la conflittualità tra capitale e lavoro[iii].


Ebbene, anche per i dipendenti della Regione Emilia-Romagna si prevede il welfare aziendale, in particolare nel settore della salute, sotto forma di “rimborsi di prestazioni sanitarie non coperte dal servizio sanitario regionale, ad esempio spese dentistiche, farmaci non inclusi nel prontuario e parafarmaci”[iv]. Qui però il problema non è solo il ricorso a uno strumento dall’evidente carica sovversiva, bensì anche e soprattutto l’odiosa contraddizione in cui cade un ente la cui principale funzione è la gestione della sanità pubblica. E che invece si adopera per la diffusione della sanità privata, va da sé beneficiando compagnie assicurative spesso vicine alle forze politiche al governo della Regione.

 

Un welfare aziendale così concepito non si limita però a produrre gli effetti cui abbiamo appena fatto riferimento. Il risultato è anche l’accentuazione delle differenze tra le sanità regionali, coerente con l’impegno dell’Emilia-Romagna per ottenere l’autonomia differenziata, ovvero l’attribuzione di competenze attualmente in capo allo Stato centrale. Certo, vi sono alcune discrepanze nel confronto con le analoghe richieste avanzate dalle regioni nordiche a guida leghista. E tuttavia la sostanza non cambia rispetto a ciò che è stata efficacemente definita in termini di “secessione dei ricchi”[v], oltretutto avviata da una decisione dell’assemblea regionale e non anche da una consultazione referendaria, come è avvenuto in Lombardia e in Veneto: soluzione che ha se non altro prodotto un dibattito pubblico su un tema altrimenti destinato essere silenziato.

 

Evidentemente vi sono altri significativi riscontri di come l’Emilia-Romagna si sia trasformata in un laboratorio di politiche neoliberali. Possiamo però fermarci a questi casi emblematici, per riflettere sulle possibilità di una politica alternativa a quella sempre più caratterizzante la regione rossa per antonomasia, e in particolare su una vicenda che ha catalizzato l’attenzione dei media: la nomina di Elly Schlein a vicepresidente della Regione.

 

L’attenzione è tale che l’Espresso le ha recentemente dedicato la cover story, concepita come “esame di una possibile leader”[vi]. La foto di copertina è corredata della scritta “il coraggio di dire no”, a sottolineare la lodevole posizione sul referendum per il taglio dei parlamentari, opposta a quella di Bonaccini schierato per il sì.


Nell’articolo si celebra poi la sua volontà di far “volare parole di sinistra che non si usano più”, tanto che “meglio creare problemi potrebbe essere il motto del suo percorso”. È un percorso di tutto rispetto se pensiamo al suo impegno ambientalista, femminista e per la promozione dei diritti civili. Ma è un percorso monco perché non attribuisce centralità al welfare e al lavoro di qualità, e a monte non mette seriamente in discussione l’erezione del mercato a fulcro dello stare insieme come società. Assicurando così lunga vita al neoliberalismo, che ben può assumere connotazione progressista e convivere con l’ambientalismo, il femminismo e la promozione dei diritti civili. E che anzi prospera sulla loro rilettura come ideologie destinate a sottrarre alla politica il compito di promuovere una incisiva redistribuzione della ricchezza, e a monte di plasmare in modo partecipato l’ordine economico[vii].

 

Schlein, precisa l’Espresso, ha infatti “chiesto precise condizioni per entrare in maggioranza, come la decarbonizzazione entro il 2050 e l’utilizzo delle rinnovabili al cento per cento entro il 2035”. Ma non ha evidentemente storto il naso di fronte alle politiche regionali che mortificano le prerogative del pubblico nella pianificazione territoriale, affossano il welfare universale e promuovono la secessione dei ricchi. Neppure ha rilasciato dichiarazioni coraggiose contro l’insistente invito di Bonaccini ad accettare i prestiti del cosiddetto Mes sanitario, alimentato dalle solite bufale sulla presunta assenza di condizionalità[viii]. Al contrario, ha contribuito a diffondere quelle bufale, dichiarando che la resa di fronte al Fondo salva Stati costituisce “una opportunità”[ix]. Insomma, quanto l’Espresso reputa “il volto di una nuova generazione che vuole cambiare il modo di fare politica” è solo un velo calato sul vecchio modo di farla, incapace di intaccarlo e buono solo a renderlo irriconoscibile. Basta però grattare sulla superficie per scoprire che dietro il sorriso rassicurante di Elly si nascondono i denti aguzzi di Stefano. E che quanto dovrebbe rappresentare il coraggioso rilancio della sinistra non è altro che il terreno di coltura di un neoliberalismo duro a morire.
 


[i] Legge regionale 21 dicembre 2017 n. 24, Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio.

[ii] Per tutti I. Agostini (a cura di), Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, Bologna, 2017.

[iii] Cfr. A. Somma (a cura di), Lavoro alla spina welfare à la carte. Lavoro e Stato sociale ai tempi della gig economy, Milano, 2019.

[iv] Contratto collettivo decentrato integrativo per la concessione di benefici di natura assistenziale e sociale per il personale del comparto del 21 agosto 2019, https://trasparenza.regione.emilia-romagna.it/personale/contrattazione-integrativa/comparto/contratto_collettivo_2019/@@download/file/Contratto_collettivo_2019.pdf.

[v] Ad es. G. Viesti, Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, Roma e Bari, 2019.

[vi] S. Turco, Generazione Elly, ne L’Espresso del 6 settembre 2020, p. 14 ss.

[vii] Ad es. N. Fraser, Il vecchio muore e il nuovo non può nascere. Dal neoliberismo progressista a Trump e oltre, Verona, 2019.

[viii] Cfr. A. Somma, Come il Mes. Anche il Recovery fund ha le condizionalità, https://www.lafionda.org/2020/07/30/come-il-mes-anche-il-recovery-fund-ha-le-condizionalita.

[ix] Schlein: Sui fondi europei decidano anche le Regioni. Il Mes? È un’opportunità, https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/07/26/news/schlein_sui_fondi_europei_decidano_anche_le_regioni_il_mes_e_un_opportunita_-262954144

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