Una rosa bianca in onore di José Martí

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Una rosa bianca in onore di José Martí

 

di Geraldina Colotti

 

Nell’ambasciata di Cuba in Italia, la cui missione diplomatica è guidata da Mirta Granda Averhoff, accanto al busto di José Martí ora c’è anche un’altra piccola scultura: una rosa bianca, opera dell’artista Clara Mallegni. L’inaugurazione è avvenuta durante una cerimonia che ha riunito rappresentanti diplomatici di altri paesi, intellettuali, partiti e movimenti sociali, per ricordare il 129° anniversario della morte in combattimento dell’eroe nazionale cubano, José Martí. Indimenticabile scrittore e rivoluzionario, l’Apostolo è vissuto dal 28 gennaio del 1853 al 19 maggio del 1895.

All’iniziativa era presente anche Miguel Barnet, uno dei più grandi scrittori cubani viventi e con una lunga storia politica e diplomatica alle spalle. Etnologo e poeta pluripremiato, Barnet è conosciuto in Italia soprattutto per il romanzo Autobiografia di uno schiavo, pubblicato da Einaudi nel 1998 e ora rieditato da Quodlibet con il titolo Cimarrón. Biografia di uno schiavo fuggiasco, a cura di Elena Zapponi. La storia dell’ex schiavo in fuga, Esteban Montejo, consente a Barnet di presentare l’economia, la storia e le tradizioni del popolo cubano fino alla guerra d'indipendenza dalla Spagna (1895-1902).

Durante la cerimonia, Barnet, che in gioventù ha vissuto e studiato negli Stati uniti, ma sempre con il pensiero alla sua patria, ha ricordato la profonda conoscenza che Martí aveva della società statunitense e delle sue contraddizioni; e la sua chiarezza circa la natura imperialista degli Usa, dei rischi che comportava la loro politica egemonica per i paesi dell’America latina (la Nuestra America).

“A molte generazioni di schiavi, seguirà una generazione di martiri”, disse Martí durante il suo primo discorso pubblico, pronunciato a New York il 24 gennaio del 1880, durante una riunione tenuta da esuli cubani alla Steck Hall. Rievocò, allora, la guerra scoppiata nell’oriente cubano il 10 ottobre del 1868 sotto la guida di Carlos Manuel de Céspedes, che si era temporaneamente conclusa con la repressione da parte delle autorità coloniali spagnole, ma il cui spirito era ben vivo.

Se, fino al 1878, a guidare la lotta anticoloniale a Cuba erano stati i terratenientes, i proprietari terrieri esasperati dai soprusi delle autorità spagnole, ora, secondo l’Apostolo, si trattava di porre le basi per una guerra popolare, che implicasse la partecipazione di tutti i settori disposti a lottare per l’indipendenza. Una “guerra necessaria”, come dirà nel 1895 il fondatore del Partito Rivoluzionario Cubano, da condurre contro il regime coloniale lavorando all’unità.

Concetti che hanno animato e animano il lungo cammino di Cuba verso la rivoluzione, Principi che poi ne hanno sostenuto la resistenza nel corso delle generazioni che si sono succedute a quella di Fidel e Raul, e che hanno ispirato la rinascita del Venezuela e della Nostra America sognata da Martí, verso una seconda indipendenza. In una lunga intervista con il giornalista Ignacio Ramonet, il presidente di Cuba, Miguel Diaz Canel ha spiegato perché il popolo cubano stia soffrendo in modo particolare per l’aumento del bloqueo economico-finanziario degli Stati uniti. Una misura resa più feroce dalla grottesca inclusione di Cuba in una lista di paesi “patrocinatori del terrorismo”.

A questo riguardo, molti appelli internazionali hanno respinto l’ambiguità con cui gli Stati uniti hanno lasciato credere di aver tolto Cuba dall’elenco dei paesi che non collaborano pienamente con le misure antiterrorismo nordamericane Se, infatti, è vero che quest’anno non l’hanno inserita nella lista dei quattro paesi particolarmente demonizzati, dimostrando in questo l’assurdità delle loro accuse, è altrettanto vero che continuano a indicare Cuba come uno dei paesi “sponsor del terrorismo”.

Lo spiega bene la nota di protesta emessa dal ministero degli Esteri cubano nel quale si respingono le misure coercitive unilaterali e illegali che, secondo l’arbitrio degli Stati uniti, qualificano i paesi che non sono graditi all’imperialismo come poco cooperanti “con gli sforzi antiterroristi degli Stati uniti”.

Il fine di queste calunnie – dice il comunicato –è quello di giustificare e di acuire il bloqueo contro degli stati sovrani, come si fa con Cuba, fin dai primi anni della rivoluzione. Una plateale menzogna, come sanno bene gli Usa, giacché “Cuba non patrocina il terrorismo, ma è stata vittima del terrorismo, compreso del terrorismo di stato”. Perciò – dice ancora la nota del ministero – non si deve “confondere l’opinione pubblica” con false notizie.

Non si deve, potremmo aggiungere, provare a depotenziare la solidarietà internazionale, facendo credere che questa parte del bloqueo sia venuta meno. Quel che risulta insopportabile, per gli Usa, è che, nonostante i molteplici e reiterati attacchi, come ha detto Diaz Canel a Ramonet, quella di Cuba “è una resistenza creativa, perché il paese non solo è stato capace di resistere agli urti del bloqueo, ma, pur in quelle condizioni, è andato avanti, è cresciuto come nazione e si è sviluppato”.

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