Vogliono aumentare le inutili spese militari. Mentre milioni di persone soffrono la povertà e l’indigenza

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Vogliono aumentare le inutili spese militari. Mentre milioni di persone soffrono la povertà e l’indigenza

 

di Michele Blanco

Si pensi alla situazione italiana, che da anni continua a peggiorare in fatto di aumento di disuguaglianze e rischio povertà per milioni di persone, documentata dall’Istat nel rapporto Nel 2023 il reddito delle famiglie diminuisce in termini reali, si veda https://www.istat.it/comunicato-stampa/condizioni-di-vita-e-reddito-delle-famiglie-anni-2023-e-2024/.
 
I dati Istat non sono propaganda rispecchiano la situazione reale delle condizioni sociali e economiche del nostro Paese, sono come una fotografia vera non ritoccata.
 
Nel 2024 il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o completa esclusione sociale (nel 2023 era il 22,8%), si trova cioè in almeno una delle tre seguenti condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale oppure a bassa intensità di lavoro.
 
La quota di persone a rischio povertà si attesta sullo stesso valore del 2023 (18,9%) e anche quella di chi è in condizione di grave deprivazione materiale e sociale rimane quasi invariata (4,6% rispetto al 4,7%); si osserva, a dispetto delle dichiarazioni governative, un lieve aumento della percentuale di individui che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (9,2% e 8,9% nell’anno precedente).
 
Nel 2023, il reddito annuale medio delle famiglie aumenta solo in termini nominali, ma concretamente si riduce in termini reali, si ha meno potere d’acquisto (del -1,6%).
 
Nel 2023, l’ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in grande aumento del 5,3% in confronto al 2022).
 
I dati sulle condizioni di vita nel 2024 mostrano un quadro negativo, anche rispetto all’anno precedente. La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale (indicatore composito Europa 2030) nel 2024 è pari al 23,1% (in aumento, era 22,8% nel 2023), per un totale di circa 13 milioni e 525mila persone
 
In particolare, sono considerati a rischio di povertà gli individui che vivono in famiglie il cui reddito netto equivalente dell’anno precedente (senza componenti figurative o in natura) è inferiore al 60% di quello mediano. Nel 2024, risulta a rischio di povertà il 18,9% delle persone residenti in Italia (vivono in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore a 12.363 euro), per un totale di circa 11 milioni di persone.
 
Il 4,6% degli italiani risulta in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (oltre 2 milioni e 710mila persone), la quota cioè di coloro che, nel 2024, presentano almeno 7 segnali di deprivazione dei 13 individuati dal nuovo indicatore Europa 2030; in buona sostanza si tratta di segnali riferiti alla presenza di difficoltà economiche tali da non poter affrontare spese impreviste, non potersi permettere un pasto adeguato o essere in arretrato con l’affitto o il mutuo, ecc.
 
Gli individui che nel 2024 vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (cioè con componenti tra i 18 e i 64 anni che nel corso del 2023 hanno lavorato meno di un quinto del tempo) sono il 9,2% (in aumento, erano l’8,9% nel 2023), ammontano a circa 3 milioni e 873mila persone. La quota di individui in famiglie a bassa intensità di lavoro aumenta, tra il 2023 e il 2024, tra le persone sole con meno di 35 anni (aumenta al 15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e, soprattutto, tra i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023).
 
A livello territoriale, nel 2024, il Nord-est si conferma la ripartizione con la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale (11,2%, era 11,0% nel 2023) e il Mezzogiorno come l’area del paese, da sempre, con la percentuale più alta (39,2%, era 39,0% nel 2023).
 
Nel 2024 l’incidenza del rischio di povertà o esclusione sociale si conferma essere più bassa per chi vive in coppia senza figli. Rispetto al 2023, l’indicatore negativo aumenta per coloro che vivono in famiglie con cinque componenti e più (33,5% rispetto al 30,7% del 2023) e, soprattutto, per chi vive in coppia con almeno tre figli (34,8% rispetto a 32% del 2023). La crescita negativa si registra anche per i monogenitori (32,1% rispetto a 29,2%), per effetto della sempre più diffusa condizione di bassa intensità di lavoro. Inoltre, nel 2024, il rischio di povertà o esclusione aumenta per gli anziani di 65 anni e più che vivono da soli (arrivando al 29,5%, dal 27,2% del 2023).
 
Il rischio di povertà o esclusione sociale aumenta e raggiunge il 33,1% (era il 31,6% nel 2023) tra coloro che possono contare principalmente sul reddito da pensioni e/o trasferimenti pubblici.
 
 I redditi netti familiari si riducono in termini reali a causa dell’inflazione, infatti nel 2023, si stima che le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto pari in media a 37.511 euro, circa 3.125 euro al mese. La crescita dei redditi familiari in termini nominali (+4,2% rispetto al 2022) non ha però tenuto il passo con l’elevata inflazione avutasi nel corso del 2023 (+5,9% la variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA), determinando un calo dei redditi delle famiglie in termini reali (-1,6%) per il secondo anno consecutivo.
 
La diminuzione dei redditi in termini reali è particolarmente intensa nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), a fronte di una lieve riduzione osservata nel Mezzogiorno (-0,6%).
 
Rispetto al 2007, la contrazione, perdita di potere d’acquisto, complessiva dei redditi familiari in termini reali è pari, in media, a -8,7% (-13,2% nel Centro, -11,0% nel Mezzogiorno, -7,3% nel Nord-est e -4,4% nel Nord-ovest). Inoltre, la flessione dei redditi è stata particolarmente intensa per le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro, sia autonomo (-17,5%) che dipendente (-11,0%)
 
Poiché la distribuzione dei redditi è asimmetrica, la grande maggioranza delle famiglie ha percepito un reddito inferiore all’importo medio.
 
Malgrado questa situazione non rosea, il governo italiano vuole aumentare le spese militari.
 
 Attualmente, l’Italia destina alla difesa circa 30-33 miliardi di euro all’anno. Portare questa cifra al 5% del PIL significherebbe un incremento astronomico, stimato dagli osservatori come Milex (osservatorio per le spese militari) tra i 75 e i 100 miliardi di euro aggiuntivi all’anno. Questo si tradurrebbe in un impegno finanziario complessivo di oltre 100 miliardi di euro annuali per la difesa entro il 2035. Una cifra di questa portata pone una sfida senza precedenti per la finanza pubblica italiana, già gravata da un debito elevato. Come evidenziato da molti economisti, un aumento così massiccio richiederebbe un profondo ripensamento della finanza pubblica. Le opzioni per reperire tali risorse sono limitate: o attraverso un aumento significativo delle tasse o attraverso tagli drastici ad altre voci di spesa pubblica. Ed è qui che emerge il cuore del dibattito e la preoccupazione per il destino delle pensioni, della sanità e dell’istruzione.
 
Il sistema pensionistico italiano è la voce di spesa più importante del bilancio statale. Già alle prese con le sfide dell’invecchiamento della popolazione e della sostenibilità a lungo termine, un dirottamento così massiccio di risorse verso la difesa potrebbe avere conseguenze devastanti.
 
Se si dovessero trovare decine di miliardi di euro aggiuntivi all’anno per la difesa, questa destra guarderà al sistema pensionistico come prima fonte per trovare parte delle coperture necessarie.

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