Zelensky e quegli 11 partiti "filo russi" sospesi
Zelensky, l’uomo che oggi faremo parlare davanti al Parlamento italiano, pochi giorni fa ha sospeso undici partiti "filo russi".
Una di queste formazioni, la “Piattaforma di opposizione per la vita” (OPZZh), è addirittura arrivata seconda alle elezioni (13%, due milioni di voti) ottenendo 44 seggi al Parlamento. Ma sono filo-russi, dirà qualche benpensante, e la Russia ha invaso l’Ucraina.
E no cari miei, non è propri così che funziona.
Primo perché quella che iBuoni starebbero difendendo in Ucraina sarebbe la “democrazia” contro l’oscurantismo tirannico dei russi cattivi.
Secondo perché essere “filo-russi” è una legittima posizione politica. Reale espressione di un pezzo consistente della società ucraina che, fino al colpo di stato di Maidan, rifiutava nettamente la prospettiva euro-atlantica, sostenendo invece l’avvicinamento di Kiev a quelle organizzazioni internazionali non allineate guidate dalla Russia.
A spiegarci la situazione nel dettaglio è Volodymyr Ishchenko, sociologo ucraino che che scrive pure su Jacobin, non esattamente un putiniano quindi.
Dopo la “rivoluzione” di Euromaidan e lo scoppio della guerra in Donbass, spiega il ricercatore della Freie Universität di Berlino, però, il campo filo-russo è diventato oggetto di attacchi fino alla totale delegittimazione politica. Filo-russo è diventato sinonimo di chiunque non sostenesse fedelmente l’ingresso dell’Ucraina nell’orbita NATO. Una reductio ad hitlerum funzionale a screditare qualunque posizione politica alternativa, dal sovranismo all’opposizione al neoliberismo, passando per le istanze più squisitamente di sinistra, socialismo e socialdemocrazia progressista. Un ventaglio di visioni del mondo fra loro differenti che sono - o dovrebbero essere - l’essenza di ogni democrazia e, cosa ancora più importante, rappresentano le istanze di una nutrita minoranza. Milioni di cittadini ucraini che le hanno sostenute alle elezioni. Tre dei principali partiti sospesi, infatti, nel 2019 hanno totalizzato il 18,3%, quasi tre milioni di voti ottenuti, per di più, in un contesto elettorale certamente compromesso dal conflitto in corso nel Donbass. E così, dopo la legge del 2015 che ha sospeso tutti i partiti comunisti (che in Russia invece sono perfettamente legali), le sanzioni dell’anno scorso che hanno colpito tutti i partiti non filo-governativi (approvate fra l’altro dall'ambasciata USA in Ucraina), gli arresti di blogger e attivisti anti governativi, adesso la mannaia liberista occidentale si abbatte con tutta la violenza illiberale di cui è capace su chiunque dissenta. Col pretesto di difendere la sicurezza nazionale, in Ucraina si distrugge la democrazia in nome della sua salvaguardia. Un ossimoro con numerosi precedenti storici e per di più aggravato dalla circostanza che tutti i partiti oggetto del pogrom hanno prontamente condannato l'invasione russa. Un pretesto quindi, uno scenario inquietante che forse, anticipa di qualche tempo quanto rischia di accadere anche dalle nostre parti dove le pulsioni politicamente monocratiche del totalitarismo liberale diventano sempre più forti e sfacciate. Protette da quel velo di ipocrisia tutto occidentale che ha ormai irrimediabilmente intossicato il senso critico di moltissimi. La “democrazia” di questi ultimi è molto diversa dalla mia e presto o tardi lo capiranno. Anche a loro spese, purtroppo.