A dieci anni dalla morte: la visione di Chávez e il socialismo come questione del futuro

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A dieci anni dalla morte: la visione di Chávez e il socialismo come questione del futuro

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di Gianmarco Pisa*

 

La vicenda storica e politica di Hugo Chávez, principale ispiratore del movimento rivoluzionario bolivariano, costruttore del PSUV, il Partito Socialista Unito del Venezuela, e presidente del rifondato Stato venezuelano come Repubblica Bolivariana del Venezuela, è, anche solo volendo approfondire i tre elementi qui sommariamente sbozzati, una vicenda di portata epocale e di valenza storica. Il processo rivoluzionario bolivariano, orientato esplicitamente in senso socialista a partire dal 2004-2005, tuttora in corso, sotto la direzione politica dell’attuale presidente e continuatore, Nicolás Maduro, nei termini di un vero e proprio processo rivoluzionario di transizione al socialismo e quindi di trasformazione in senso socialista delle strutture della società e dello Stato, costituisce anzitutto, prima connotazione essenziale, un’inedita, originale e attuale, esperienza di “via nazionale al socialismo”.

È, propriamente, una via nazionale, e promette di svolgersi, articolarsi e svilupparsi in senso socialista? Quando Palmiro Togliatti, nello storico VIII Congresso del Partito Comunista Italiano (1956) formulò, in termini ampi e prospettici, la proposta della via italiana e, in generale, delle vie nazionali al socialismo, ne concretizzò la formulazione nel senso per cui «l’avanzata verso il socialismo doveva essere realizzata dalla classe operaia, guidata, in modo diverso, a seconda delle condizioni e delle particolarità economiche, politiche, nazionali e culturali di ciascun Paese». La tesi portava con sé, di conseguenza, «il riconoscimento di principio delle diverse vie di sviluppo verso il socialismo».

È una formulazione di vasta portata e di estrema attualità per tre ordini di ragioni: ribadisce la base di classe, formata dalla classe operaia e dal movimento dei lavoratori, e guidata dalla direzione politica rivoluzionaria, del processo di trasformazione in senso socialista della società e dello Stato; riconosce il dato fondamentale per il quale la transizione non poteva uniformarsi a un “modello” generale e astratto, né poteva ridursi, parafrasando Mariátegui, a calco o copia di esperienze altrui; sottolinea che la forza del socialismo e, in ultima istanza, del marxismo quale materialismo storico e dialettico e pensiero-prassi della liberazione, consiste anche nella sua capacità di generare e innestarsi su una “lunga durata” storica, sulle peculiarità politiche, nazionali e culturali, di sviluppo storico e di tradizioni culturali, di ciascun Paese, nelle sue caratteristiche e nelle sue specificità.

Il socialismo bolivariano è dunque anche, tra le altre cose, una straordinaria espressione di via nazionale: radicato, da un lato, nella vicenda sociale e di massa; alimentato, dall’altro, da una serie di apporti politici e culturali retroagenti, quali, nel caso dell’esperienza bolivariana, le «tres raíces», le tre radici, vale a dire il pensiero e l’azione di tre grandi rivoluzionari venezuelani quali Simón Rodríguez, Simón Bolívar ed Ezequiel Zamora; e poi l’orientamento patriottico e di sinistra di settori delle forze armate, nelle cui cerchie, del resto, matura la riflessione legata al cosiddetto «albero delle tre radici», e che formerà il retroterra per una delle architravi del processo bolivariano, vale a dire l’«unione civico-militare».

E poi, ancora, il socialismo scientifico, a partire dal pensiero di Marx e di Lenin, quest’ultimo in particolare in relazione al ruolo della soggettività nel processo rivoluzionario e alle forme della organizzazione in senso rivoluzionario degli operai, dei contadini e dei soldati attraverso articolazioni di direzione politica di carattere consiliare; quindi le più vicine esperienze socialiste del Novecento, a partire dal punto di riferimento essenziale costituto dalla Revolución, da Cuba socialista, e dalle fondamenta storiche e politiche gettate da quel gigante del Novecento che è Fidel Castro, insieme con l’esperienza del Che; il pensiero e la prassi dell’«ecologia integrale», anche questa, peraltro, espressione tipicamente bolivariana; il riconoscimento degli apporti specifici, in termini di soggettività costituenti e di culture nazionali, delle comunità native; il «cristianesimo di base» e quella straordinaria esperienza, tipicamente latino-americana, passata alla storia come teologia della Liberazione.

È stato, del resto, lo stesso Chávez a sintetizzare che il carattere bolivariano e socialista del processo rivoluzionario rappresenta «una necessità imperiosa per tutti i venezuelani, per tutti i latino-americani. Ricercare indietro, nelle chiavi o nelle radici della nostra stessa esistenza, la formula per uscire da questo terribile labirinto nel quale ci troviamo ... Così stiamo noi venezuelani, oggi, dobbiamo guardare al passato per provare a svelare i misteri del futuro, per svelare le formule con cui risolvere il grande dramma venezuelano di oggi». Una vera e propria formulazione per il socialismo bolivariano.

Nel cercare un punto di innesco del processo, è pressoché immediato risalire al cruciale 27F, il 27 febbraio 1989, con il Caracazo, la sollevazione popolare contro il carovita, deflagrata quando migliaia di persone, soprattutto poveri delle periferie, lavoratori e studenti, si mobilitarono in massa contro l’aumento del prezzo della benzina, dei carburanti, del trasporto pubblico e finanche dei generi di prima necessità, a seguito di un famigerato “piano di aggiustamento strutturale”, il pacchetto di misure di austerità e di tagli neoliberisti imposti dal Fondo Monetario Internazionale.

Era quello il Venezuela della IV Repubblica, la repubblica venezuelana prima di Chávez, nuovamente in crisi, sin dal 1982-1983, sottoposta ai diktat di Washington, e segnata da quella che ha preso varie denominazioni, democrazia “bloccata”, “fittizia”, “mascherata”, che tutto poteva definirsi tranne che, propriamente, democrazia. Era, cioè, la cosiddetta democrazia del Patto di Punto Fijo, un patto di alternanza conservatrice, sponsorizzato da Washington, con il quale si restringeva l’alternanza al potere dei due partiti-establishment, Acción Democrática (AD), di orientamento socialdemocratico, e il Comité de Organización Política Electoral Independiente (COPEI), di orientamento democristiano, e si sanciva, di conseguenza, la conventio ad excludendum ai danni dei comunisti.

Alle forze armate fu dato l’ordine, per reprimere la sollevazione del 27 febbraio, di sparare sulla folla, ordine al quale Chávez e i militari a lui vicini si rifiutarono; sulle spalle della IV Repubblica grava, dunque, anche questo massacro, alla luce del quale per il governo si sarebbe trattato di “soli” 300 morti, mentre si trattò invece di migliaia e migliaia di vittime, in una protesta che, come ricordò lo stesso Chávez, da “Caracazo” si trasformò ben presto in “Venezolazo”, estendendosi a tutto il Paese. Per la frazione delle forze armate di cui Chávez era leader, vale a dire l’MBR 200 (Movimento Rivoluzionario Bolivariano), fu un punto di svolta che rafforzò ancora di più la propensione bolivariana, anti-imperialista e di giustizia sociale della compagine, nella quale si riconosce la protoforma, il nucleo embrionale della futura, già richiamata poc’anzi, unione civico-militare.

Questa avrebbe fatto la sua prima prova in un’altra data simbolica del calendario bolivariano: il 4F, la data della sollevazione civico-militare del 4 febbraio 1992. Si trattava di una sollevazione di carattere civico-militare con un preciso orientamento politico e sociale, determinato dalla nuova, gravissima, crisi economica, sociale e politica nella quale era piombato il Venezuela sin dal 1990-1991, e del quale le avvisaglie risalivano, come detto, agli anni Ottanta. Quando la sollevazione fallisce, Chávez se ne assume, di fronte alle telecamere e dinanzi al Paese intero, la piena responsabilità; rivendica il carattere bolivariano del movimento; e sottolinea che quel tentativo era fallito “por ahora”, “solo per adesso”, segnando già, quindi, la traiettoria dell’avvenire. Come ricordano le cronache, «di fronte al Paese e davanti a voi, assumo la responsabilità di questo movimento militare bolivariano».

Questa lunga fase preparatoria, e la sempre più incalzante accumulazione di consenso e di sostegno alla causa rivoluzionaria, trovò il suo primo esito il 6 dicembre 1998, con la vittoria di Chávez alle elezioni presidenziali, e quindi con il successivo insediamento in un’altra data memoriale, il 2F, il 2 febbraio 1999. Il movimento politico con il quale Chávez si era presentato alle elezioni e con il quale aveva vinto il primo mandato presidenziale si chiamava, non a caso, Movimento per la V Repubblica: era stato fondato nel 1997, si presentò alle elezioni con uno schieramento bolivariano, patriottico e socialista, composto anche da Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e Partito Comunista del Venezuela (PCV), e, sin nel nome, proclamava il progetto strategico di una completa trasformazione dello Stato e della società venezuelana, con la parola d’ordine dell’Assemblea Costituente e di una nuova Costituzione.

Quattro furono i mandati presidenziali di Hugo Chávez; il primo, tra il 1999 e il 2000, segnato della nuova Costituzione bolivariana; il secondo, tra il 2000 e il 2006, in cui, dopo il golpe del 2002, respinto dalle masse popolari che letteralmente reinstallano Chávez al Palazzo di Miraflores, sempre più esplicitamente si afferma il carattere socialista della rivoluzione bolivariana; il terzo, dal 2006 al 2012, nell’arco del quale viene fondato il PSUV, il Partito Socialista Unito del Venezuela; il quarto, infine, dal 2012 alla scomparsa fisica, nel 2013, con la preparazione del mandato succedaneo a Nicolás Maduro. Quando dunque si parla di socialismo bolivariano, si parla, al tempo stesso, di quella specifica declinazione di “socialismo del XXI secolo” che ha trovato in Chávez il suo principale leader e il suo fondamentale ispiratore. A dispetto delle interpretazioni moderate diffuse in Europa, si tratta di un concetto rivoluzionario; come più volte ebbe a ripetere lo stesso Chávez, non un “socialismo democratico”, ma una “democrazia socialista”, quale paradigma economico e politico del processo bolivariano.

Quando, il 30 gennaio 2005, nel suo, ormai leggendario, discorso al Social Forum di Porto Alegre, Chávez proclamò il carattere socialista della rivoluzione bolivariana, lo espresse nei termini plurali di un socialismo patriottico e popolare, bolivariano e marxista, che «deve essere umanista e deve mettere gli esseri umani e non le macchine in condizioni di superiorità nei confronti di tutto e di tutti». Ecco perché, tornando alla tesi, quella di Chávez è una grande ispirazione, «né calco né copia», ma di costruzione originale del socialismo con caratteristiche bolivariane. Una costruzione basata, come detto, sull’unione civico-militare, fondata su una potente, autentica, connessione sentimentale con le masse popolari, e destinata a superare e trascendere l’architettura tradizionale dello Stato “formale”.

Tanti sono gli aspetti cruciali di questo processo di trasformazione in senso socialista. I principali, nel contesto di questa lettura della rivoluzione bolivariana, sono tre: le Misiones; i Consejos Comunales e le Comunas Socialistas; la strategia antimperialista e della Diplomacia de Paz. Tra questi, il segmento di base è rappresentato dalle Misiones. Lo stato delle Misiones, infatti, non costituisce una sorta di “welfare bolivariano”, come troppo spesso lo si interpreta in Europa, ma una strategia di direzione politica di massa, per il soddisfacimento dei bisogni e per l’inclusione delle masse nel processo politico, per far crescere la coscienza popolare, basandosi sulla «democrazia partecipativa e protagonistica», tale da rendere le masse effettivamente protagoniste nelle decisioni della nuova architettura bolivariana.

La Legge sulle Missioni definisce infatti la Missione come «una politica pubblica volta a concretizzare in modo massiccio, accelerato e progressivo le condizioni per l’esercizio effettivo e il godimento universale di uno o più diritti sociali di individui o gruppi di individui, che coniuga lo snellimento dei processi statali con la partecipazione diretta del popolo nella loro gestione, a favore dell’eliminazione della povertà e della conquista a livello popolare dei diritti sociali». Gli ambiti nei quali le Missioni si svolgono sono sette: istruzione; lavoro, salute; protezione, assistenza e solidarietà sociale; alimentazione; abitazione; sicurezza e servizi fondamentali. In questa strategia, la costruzione delle cosiddette Basi delle Missioni, creazione originale della rivoluzione bolivariana, serve a estendere e approfondire il lavoro sociale e politico con le comunità. Dal 2014, questi spazi sono diventati il tessuto connettivo delle Missioni – e delle Grandi Missioni Socialiste – strutture per garantire al popolo il soddisfacimento dei bisogni, il riconoscimento dei diritti, l’accesso alle funzioni sociali, nonché la costruzione di comunità, la partecipazione e l’organizzazione socio-politica, la direzione dei processi reali. Solo per richiamare le maggiori: Gran Misión Vivienda Venezuela, Gran Misión Hogares de la Patria, Misión Barrio Adentro, Misión Alimentación, Misión Robinson, Misión Ribas, Misión Sucre, Misión Cultura.

Su questa base, il sistema bolivariano è dunque organizzato attraverso una serie di articolazioni: le Basi delle Missioni Socialiste; i Comitati Locali di Approvvigionamento e di Produzione (CLAP); i comitati universitari; i comitati sanitari; la Piattaforma Unamujer; il Fronte Francisco de Miranda; il Movimento Somos Venezuela; gli studenti delle missioni sociali; i lavoratori delle imprese produttive statali contribuiscono, nell’insieme, al sistema con altre espressioni del tessuto sociale che, nell’unione civico-militare, intervengono sul territorio anche per risolvere i mille problemi causati ??dall’embargo.

Il secondo pilastro, le Comunas Socialistas, registra un momento di svolta nel gennaio 2007, quando Chávez annuncia la strategia dei «cinque motori»: la Ley Abilitante (potere presidenziale per un periodo determinato); le riforme costituzionali in senso socialista; il rafforzamento dei programmi educativi e sanitari; il cambiamento della “geometria del potere”, vale a dire la distribuzione dei poteri economico, politico e militare; e, appunto, il rafforzamento di Consejos Comunales e Comunas. Con l’introduzione dei Consejos Comunales e delle Comunas Socialistas, in Venezuela si rafforza il principio-guida della «democrazia partecipativa e protagonistica» e si sperimenta una forma di auto-governo popolare: nei Consejos Comunales la comunità, riunita in assemblea, definisce nel dettaglio le proprie esigenze, in quanto comunità, dalla costruzione di una rete fognaria al miglioramento degli approvvigionamenti, dall’allestimento di una scuola alla realizzazione di un ospedale. In particolare, attraverso il piano denominato «Espansione rivoluzionaria del potere comunale», si rende effettivo e capillare il trasferimento di poteri, di risorse e di competenze a questi nuovi “consigli” di comunità.

Successivamente, nel 2010, sono stati introdotti alcuni strumenti giuridici per garantire i fondamenti dello Stato dei “consigli” basato sul potere popolare. Uno di questi è la Legge organica delle Comunas, che stabilisce questa nuova forma partecipativa come la “cellula” fondamentale della nuova architettura statale, definita come «spazio socialista» per l’autogoverno delle comunità, basata sui Consejos Comunales e le altre organizzazioni sociali comunitarie. Sia la Legge organica dei Consejos Comunales (2009), sia la Legge organica delle Comunas (2010) stabiliscono che tutte le organizzazioni comunitarie riconosciute dallo Stato bolivariano hanno come obiettivo fondamentale la costruzione del socialismo.

Nello Stato emergente dei “consigli”, dunque, le decisioni sono prese con meccanismi di democrazia diretta e numerose funzioni sono assegnate ai Consejos Comunales e alle Comunas. Queste sono, per un verso, aggregatori dei Consejos Comunales, e, per l’altro, soggetti dotati di compiti propri, tra i quali contribuire all’ordine pubblico, costruire un’economia della proprietà sociale come forma di transizione al socialismo, e garantire l’efficacia della partecipazione popolare nella formulazione, esecuzione e controllo delle misure sugli aspetti politici, economici, sociali, culturali, ecologici, di sicurezza e difesa.

Le Comunas sono incaricate di redigere i piani comunali e possono costruire sistemi di aggregazione, come le città comunali e le federazioni comunali, nelle forme disciplinate dalla legge. Si giunge così a una nuova «geometria del potere» che non ha precedenti. Il Venezuela abbandona il concetto tradizionale di repubblica divisa in Stati, province e municipi, e adotta un’altra concezione dello spazio, creando nuove città comunitarie o trasformandone altre già esistenti. Il Venezuela supera anche la configurazione tradizionale della stessa divisione dei poteri, dal momento che lo Stato non è più articolato in tre poteri, ma in cinque poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario, “elettorale” e “cittadino”, e, nel loro complesso, tali poteri definiscono l’articolazione del Potere Popolare.

In particolare, il potere “cittadino”, in base alla legge del 2001, fa parte del Potere Pubblico Nazionale ed è esercitato dal Consiglio Morale Repubblicano, dotato di alcune funzioni di grande importanza, tra cui prevenire, indagare e sanzionare gli atti che violano l’etica pubblica e la moralità amministrativa; garantire la corretta gestione e la trasparenza nell’uso dei beni pubblici; garantire il rispetto dei principi costituzionali di legalità e giustizia in ogni attività amministrativa; promuovere l’educazione come processo creativo di cittadinanza, nonché attività educative finalizzate alla conoscenza della Costituzione bolivariana, delle virtù civiche e democratiche, dei valori salienti della Repubblica, e al rispetto dei diritti umani; promuovere inoltre la democrazia e la solidarietà, la libertà e il lavoro.

La base materiale di tale processo è stata ulteriormente rafforzata a partire dal 2008, quando una struttura fondamentale del processo di transizione è stata gettata con il piano di nazionalizzazioni: non solo l’utilizzo per finalità sociali delle entrate petrolifere dell’impresa statale PDVSA (Petróleos de Venezuela), ma anche, dal 2009, la siderurgia, l’oro e l’agroalimentare, quest’ultimo essenziale per far fronte alle conseguenze dell’embargo criminale (misure coercitive unilaterali) imposto dagli Stati Uniti. Ancora con le parole di Chávez, una proprietà statale necessaria, non solo in quanto, notoriamente, elemento costitutivo della transizione socialista, ma anche per rendere «più efficiente il sistema» e per «integrarle nel complesso industriale socialista».

Come ha ricordato il presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia, Luis Arce, durante i lavori dell’Incontro Mondiale per la Validità del Pensiero Bolivariano del Comandante Chávez nel XXI secolo (6 marzo 2023), Chávez ha puntato sull’integrazione nel quadro della Patria Grande, perché ha previsto e compreso che «i Paesi e i popoli divisi non possono vincere». L’integrazione dei popoli, in senso antimperialista, è oggi una «risposta alla teoria della globalizzazione», perciò è dovere di tutti i rivoluzionari «continuare a costruire questo pensiero dell’integrazione» e della Patria Grande.

È questo il terzo pilastro della rivoluzione bolivariana e della visione di Chávez: una politica indipendente e antimperialista per un mondo multipolare, e una Diplomazia di Pace («Diplomacia de Paz»), basata sull’internazionalismo rivoluzionario, guidata dal principio strategico della «cooperazione reciproca e solidaria» nei rapporti con i Paesi e i popoli del mondo, evidentemente ispirata dall’esempio di Fidel Castro, nel senso dell’integrazione latino-americana, dell’amicizia tra i popoli, del sostegno alle lotte di emancipazione. Basti pensare, solo per citare le architetture regionali impostate proprio a partire dall’asse tra Venezuela bolivariano e Cuba socialista, all’ALBA (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America); l’UNASUR (Unione delle nazioni sudamericane); la CELAC (Comunità di Stati Latino-americani e dei Caraibi); il Banco del Sur, e Petrocaribe, l’accordo regionale di cooperazione petrolifera. Come sempre, dunque, nell’orizzonte del socialismo, la trasformazione sociale e politica, e l’avanzamento delle condizioni materiali di esistenza delle masse popolari, si coniugano con una prospettiva internazionalista e antimperialista, lo sguardo su un “mondo nuovo” da costruire.

Anche questa è una eredità, viva e feconda, della visione di Chávez.



Alcuni riferimenti:

La Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela: patriagrande.it/wp-content/uploads/2019/09/Costituzione_della_Repubblica_Bolivariana_del_Venezuela.pdf.pdf

El arbol de las tres raíces como fundamento ideológico de los Círculos Bolivarianos: mazo4f.com/el-arbol-de-las-tres-raices-como-fundamento-ideologico-de-los-circulos-bolivarianos

Discurso del Presidente Hugo Chávez en Foro Social Mundial de Porto Alegre, Brasil, 30.01.2005: issuu.com/picoyespuelavoceslibertarias-97.3fm/docs/discurso_del_presidente_hugo_ch__ve

Ley Orgánica de Misiones: microjurisve.files.wordpress.com/2014/12/g-e_6-154-decreto-1394-ley-org-de-misiones-grandes-misiones-y-micro-misiones.pdf

Ley Orgánica de los Consejos Comunales: www.minci.gob.ve/wp-content/uploads/downloads/2012/11/LEY-CONSEJOS-COMUNALES-6-11-2012-WEB.pdf


*Studioso di questioni internazionali; collaboratore di “Cumpanis”

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