“Alex Saab è un trofeo di guerra”. Intervista esclusiva a Camilla Fabri, moglie del diplomatico sequestrato
Teatro pieno e pubblico attento, pronto a scandire gli interventi al grido di “Free Alex Saab”. Si è svolto così, nel Teresa Carreño, a Caracas, il Foro "El lawfare contra Venezuela: a tres años del secuestro del diplomático Alex Saab". Giuristi, attivisti, personalità politiche provenienti dall’Africa, dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’America Latina e dall’Europa, hanno discusso sulle cause, le conseguenze e l’estensione del lawfare, l’uso della magistratura a fini politici. Una pratica che, come ha spiegato in un video l’avvocato argentino, Eugenio Zaffaroni, preme su governi, presidenti e leader progressisti, per distorcere la volontà popolare.
Il foro, magistralmente coordinato dall’avvocata Laila Tajeldine, è stato aperto dal ministro degli Esteri venezuelano, Yvan Gil, e ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti del governo bolivariano, impegnati – come il viceministro per le Politiche anti-bloqueo, William Castillo, o al viceministro per l’America del Nord, Carlos Ron – a mostrare il nesso tra il sequestro dell’inviato speciale e le misure coercitive unilaterali illegali, imposte dagli Stati Uniti per rendere insopportabili le sofferenze del popolo venezuelano, e indurlo a rovesciare le istituzioni.
“Alex Saab è un simbolo della lotta dei popoli oppressi nel cammino per la loro libertà e sovranità”, ha esordito Yvan Gill, ricapitolando la lista dei diritti negati dagli Usa al diplomatico venezuelano, e la recrudescenza delle “sanzioni”, innescate dal decreto Obama. Prima – ha ricordato – ci avevano imposto soprattutto sanzioni “formali”, che rendevano difficile il commercio e l’accesso ai finanziamenti. “Già nel 2013 – ha detto - per rifornirci di alimenti, dovevamo pagare cento volte di più. Dopo la morte di Chávez, c’è stata però una recrudescenza esponenziale, per arrivare all’asfissia e al blocco totale”. Yvan Gill ha spiegato anche come il popolo venezuelano sia stato capace di resistere e di reinventarsi, accompagnando la “volontà di ferro” del presidente Maduro.
Una resistenza che ha caratterizzato anche il comportamento di Alex Saab, prima nelle prigioni di Capo Verde e ora in quelle nordamericane, come hanno testimoniato avvocati e attivisti che hanno potuto visitarlo: con la proibizione, però, di far conoscere alla stampa il significato generale della persecuzione. L’infrastruttura del lawfare, hanno convenuto i partecipanti, è parte della guerra ibrida contro i popoli e gli stati che non vogliono piegarsi all’imperialismo, e rivela una strategia globale.
Per questo, nella dichiarazione finale, si chiede di intensificare in questa chiave la campagna per la liberazione del diplomatico sequestrato, sollevandola in tutte le istanze internazionali: a partire dal prossimo vertice Ue-Celac, che si svolgerà a luglio a Bruxelles.
A conclusione del Foro, si è svolto nel teatro Carreño un emozionante concerto del gruppo cubano Buena Fe. Israel, cantante e portavoce, ha poi tenuto una conferenza magistrale all’Università Internazionale della Comunicazione (Lauicom), insieme alla rettrice, Tania Diaz, e, da remoto, all’intellettuale messicano, Fernando Buen Abad.
“Il lawfare si è esteso a tutti i familiari di mio marito, senza ragione. Anche io, in Italia, ne ho fatto le spese”, dice Camilla Fabri, moglie italiana del diplomatico venezuelano, Alex Saab, e coordinatrice del movimento internazionale per la sua liberazione. A tre anni di distanza dal sequestro e a due dalla deportazione del marito in un carcere della Florida, continua la battaglia per riportare a casa l’inviato speciale, bussando a tutte le porte, certa dell’innocenza di Saab. L’abbiamo incontrata al termine del Foro, in cui è intervenuta mettendo in rilievo la gravità della violazione di cui è stato vittima il diplomatico.
Come valuta questo Foro internazionale?
Un evento di grande importanza, che ha messo a confronto personalità giuridiche e politiche internazionali per denunciare l’assurdità del sequestro e della persecuzione contro Alex Saab, per analizzare e rifiutare il lawfare, ovvero l’uso della magistratura a fini politici. Una pratica che si va estendendo, in America Latina e non solo e, per quanto riguarda mio marito, l’inviato speciale Alex Saab, ha colpito la sua famiglia e la mia persona, anche in Italia, in modo brutale. I grandi media di destra hanno montato il caso per attaccare il Venezuela bolivariano. In questo Foro internazionale si è denunciato chiaramente l’uso della legge per fini politici, in violazione a tutti gli accordi internazionali e anche, come nel caso di Capo Verde dove non esiste un accordo di estradizione con gli Stati uniti, in violazione alla stessa costituzione dello Stato. Si è messo in evidenza come il lawfare sia rivolto contro funzionari e leader di governi progressisti, nel caso di Alex Saab con l’obiettivo di appropriarsi dei beni e delle risorse del popolo venezuelano, mediante l’imposizione di misure coercitive unilaterali illegali.
Qual è ora la situazione sul piano giuridico?
Il 23 dicembre del 2022, il giudice Robert Scola, di Miami, ha rifiutato l’istanza per la liberazione di mio marito. Ingenuamente, mi ero illusa che potesse tornare a casa e lo avevo promesso ai nostri figli. È stata dura spiegargli che non sarebbe andata così, due giorni prima di Natale, ma noi siamo decisi a far rispettare la legge e a lottare per l’innocenza di Alex. Abbiamo presentato appello presso il Circuito 11 di Atlanta, in Georgia. Il 14 marzo del 2023, il tribunale, che avrebbe dovuto rispondere entro 30 giorni, ha chiesto una proroga di altri 60, quindi per un totale di 90 giorni. Solo il 13 di giugno, però, è stato ricevuto il nostro appello, e da quel giorno cominciano a decorrere i tre mesi. Questi continui ritardi, per una persona malata com’è mio marito, significa estendere il meccanismo di tortura, che subisce da ormai tre anni. Noi calcoliamo che a novembre o dicembre il Circuito 11 darà una risposta circa la fissazione di una data per l’udienza. Immagina per quanto tempo ancora devo dire a mia figlia più piccola che il suo papà non può tornare a casa perché è stato ingiustamente sequestrato. Nessuno, credo, sia preparato per dare ai figli una spiegazione simile. Io, almeno, non ho gli strumenti per farlo e, a volte, penso di non averne la forza, perché tutto questo va oltre la ragione.
Che contatti ha con suo marito?
Posso parlare con lui al telefono per pochi minuti al giorno, ma c’è sempre qualche scusa perché la telefonata salti. Ora sono tre giorni che il telefono “è guasto”, altre volte non può chiamare perché manca il personale. Sono forme di tortura, che gli Stati Uniti impongono ai prigionieri. Ovviamente, le telefonate sono controllate. Ogni trenta secondi, una voce ricorda che la telefonata si svolge in una prigione federale di Miami.
Una voce che abbiamo ascoltato anche durante il Foro. Ne corso di una telefonata, Alex Saab ha letto una lettera accorata e poetica. Perché ha deciso di farlo?
Quando Alex ha saputo che stavamo organizzando questo Foro, ha voluto mandare un messaggio al popolo e agli invitati internazionali, e ha chiesto che lo registrassi. È stato un onore ricevere tutti questi inviatati, provenienti da vari continenti. Per alcuni, si è trattato del primo viaggio in Venezuela e, di certo, torneranno nei loro paesi con una visione del processo bolivariano da quella che diffondono i media egemoni sul processo bolivariano molto diversa da quella che vogliono imporre i media egemonici. Il messaggio di Alex ha emozionato tutti e, in particolare, gli ex prigionieri politici presenti, che hanno provato quel che oggi sta vivendo Alex, ingiustamente. Anche per lui, oggi, la prigione è una trincea. Alex sta dando battaglia per tutto il popolo venezuelano, perché il suo sequestro è un monito per chiunque voglia mettersi contro l’arbitrio dell’imperialismo, contro il gendarme del mondo. E per questo Alex dev’essere esposto come un trofeo di guerra. Lui, però, sta resistendo con dignità e fermezza, e questo ni riempie di forza per continuare la battaglia.
In che condizioni carcerarie viene tenuto suo marito? Come passa le giornate?
Nei pochi minuti di conversazione telefonica, Alex chiede notizie dei figli, di me, del movimento. Se a Capo Verde ha subito ogni genere di tortura fisica, ora subisce pressioni e tortura bianca: umiliazioni, mancanza di assistenza medica e di visite con i familiari. La sua salute si è andata deteriorando, ha ripreso a vomitare coaguli di sangue. Una situazione assai preoccupante, considerando che si tratta di un sopravvissuto a un cancro dello stomaco. Gli Stati Uniti si ergono a paladini dei diritti umani, ma nel caso di Alex li stanno violando tutti.
Quello di Alex Saab è un caso politico, che il governo bolivariano sta trattando come tale, chiedendo in questa chiave agli Stati Uniti la sua liberazione. Come rappresentante del Movimento internazionale, lei ha però chiesto anche una soluzione umanitaria.
Il Venezuela ha chiesto la liberazione del suo inviato speciale in tutte le istanze internazionali, e ha denunciato l’allarmante quadro sanitario che è tornato a manifestarsi. Lo ha fatto per voce del ministro degli Esteri, Yvan Gil, presente a questo Foro. Alex è un prigioniero politico, vittima di una persecuzione rivolta a tutto il popolo venezuelano. Di fronte all’accanimento e alla negazione del diritto, e visto il ripresentarsi questi sintomi, abbiamo chiesto una soluzione umanitaria. Sappiamo che Alex non otterrà mai un processo giusto, soprattutto a Miami, che è territorio ostile per ogni bolivariano. Inoltre, Alex è stato vittima di una poderosa campagna di demonizzazione per influenzare i giudici che, come sappiamo, decidono in base all’orientamento politico. Non avrei mai pensato che Alex potesse rimanere in carcere per così tanto tempo, invece sono già trascorsi tre anni. Chiediamo la sua liberazione immediata, anche per motivi umanitari.
Il movimento per la liberazione di Alex Saab va crescendo a livello internazionale. Che appello fai, dopo questo Foro?
Questo Foro internazionale è stato molto importante perché ha evidenziato un’analisi comune e l’unità che esiste oltre le frontiere. Un messaggio importante, di fronte al tentativo dell’imperialismo di rompere il dialogo fra i paesi, e di imporre divisioni e guerre. Dobbiamo riuscire a stringere tutte le mani in circolo, nuovamente. Io chiedo al mondo di studiare il caso di Alex Saab in profondità, perché le sue implicazioni sono generali. Le cause e le conseguenze del lawfare sono generali, occorre sviluppare una strategia comune. Occorre analizzare a fondo le modalità di aggressione al popolo venezuelano messe in campo dall’imperialismo Usa mediante le misure coercitive unilaterali illegali, e le implicazioni che comportano. L’inviato speciale, Alex Saab, non stava commettendo nessun delitto, cercava di portare a termine una missione umanitaria per rifornire oltre 30 milioni di abitanti di alimenti, carburante e medicine durante una pandemia che stava colpendo il mondo e, in maniera ancora più feroce, i popoli come il venezuelano e il cubano, sottoposti a “sanzioni”. Un messaggio profondamente diverso da quello che, in quei mesi di pandemia, abbiamo visto emergere dall’imperialismo Usa, che è stato capace di sequestrare ossigeno, vaccini e mascherine di cui necessitavano Cuba e Venezuela. Ricordo gli articoli che parlavano, non a caso, di “guerra dei vaccini”. L’ex ambasciatore statunitense, William Brounfield, parlò di una “tempesta perfetta” per arrivare al collasso dell’economia venezuelana e alla caduta del governo Maduro. E ora, Donald Trump confessa quali fossero i veri obiettivi della sua amministrazione: imporre sofferenza al popolo per rubare il petrolio del Venezuela. Dove sta l’umanità? Per quanto tempo ancora dovremo sopportare questa ipocrisia?