Al-Sisi ha costretto Al-Azhar a cancellare la dichiarazione che accusava Israele di aver commesso un genocidio a Gaza
Il Cairo ha ordinato al Grande Imam Ahmed al-Tayeb di ritirare una dichiarazione rilasciata la scorsa settimana in cui condannava la campagna di carestia portata avanti da Israele a Gaza. A svelarlo a Middle East Eye (MEE) due fonti vicine ad Al-Azhar e alla presidenza.
La dichiarazione cancellata aveva definito le azioni di Israele come "un vero e proprio crimine di genocidio" e accusava gli Stati che fornivano armi o proteggevano diplomaticamente Tel Aviv di essere complici di tale genocidio.
"Chiunque fornisca armi a questa entità, o la incoraggi attraverso risoluzioni complici o parole ipocrite, è complice di questo atto di genocidio", si leggeva nella dichiarazione originale.
Ha inoltre aggiunto: "Al-Azhar afferma fermamente che la deliberata e letale carestia imposta da questa abominevole occupazione al pacifico popolo di Gaza ... costituisce un vero e proprio crimine di genocidio".
Nella dichiarazione rivista di Al-Azhar, pubblicata mercoledì, è stato precisato che la cancellazione è stata volontaria e mirata a preservare i negoziati per il cessate il fuoco.
Inoltre, si ribadisce che l'istituzione "ha preso l'iniziativa di ritirare la sua dichiarazione con coraggio e responsabilità davanti a Dio quando si è resa conto che questa dichiarazione avrebbe potuto avere ripercussioni sui negoziati in corso riguardanti una tregua umanitaria a Gaza per salvare vite innocenti".
Il testo originale sconfessava anche "il silenzio vergognoso e sospetto del mondo" e respingeva "qualsiasi richiesta di sfollamento della popolazione di Gaza dalla propria terra".
Secondo MEE, l'ordine di ritrattare la dichiarazione è stato emesso dall'ufficio del presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi.
Ali al-Qaradaghi, presidente dell'Unione Internazionale degli Studiosi Musulmani, ha denunciato la cancellazione come un "tentativo disperato di sopprimere la voce della coscienza umana e religiosa in un periodo di silenzio e complicità".
Lunedì, l'attivista egiziano Anas Habib si è incatenato i cancelli dell'ambasciata del Cairo all'Aia, descrivendo il governo egiziano come un "regime vile e traditore".
Dal 2 marzo Israele ha bloccato l'ingresso degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite a Gaza, spingendo l'enclave sull'orlo della carestia.
Il Ministero della Salute palestinese afferma che finora 147 palestinesi, tra cui 88 bambini, sono morti di fame durante la guerra genocida. Quindici di queste morti, tra cui bambini, si sono verificate lunedì.
Agenti israeliani hanno ammesso di aver rovinato cibo, acqua e medicine da oltre 1.000 camion di aiuti umanitari bloccati al valico di Kerem Shalom, secondo quanto riportato dall'agenzia Anadolu. Gli aiuti erano rimasti per settimane al sole senza essere distribuiti, dopo che le autorità israeliane avevano bloccato l'ingresso a Gaza, secondo KAN.
Ad aprile, il Cairo ha iniziato ad addestrare 300 membri del personale di sicurezza dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sul suolo egiziano, come parte di un piano di transizione postbellico per sostituire il governo eletto di Gaza con un'amministrazione guidata dall'ANP, compresa la potenziale acquisizione di valichi di frontiera come Rafah.
Le critiche all'Egitto sono aumentate per il trattamento riservato ai palestinesi e agli attivisti stranieri solidali con la causa palestinese, soprattutto dopo che a migliaia di israeliani è stato permesso di fuggire nel Sinai attraverso il valico di Taba durante i raid missilistici di rappresaglia dell'Iran. Allo stesso tempo, attivisti che trasportavano cibo e medicine a Gaza sono stati arrestati, picchiati e deportati.
Nonostante la sua retorica pubblica, l'Egitto è emerso come un pilastro centrale dell'economia israeliana in tempo di guerra, con gli scambi commerciali tra i due stati in forte espansione durante il genocidio.
Sei porti egiziani (Port Said, Al-Arish, Abu Qir, Alessandria, Dekheila e Damietta) hanno facilitato il movimento ininterrotto delle merci verso i porti israeliani, comprese le spedizioni di cemento in corso che sostengono direttamente le costruzioni all'interno dello stato di occupazione.
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