Arte e “cancel culture”: come vi hanno normalizzato la censura
Video-Editoriale
di Sara Reginella, 31 luglio 2025
Daniel Perry è l'artista che alcuni giorni fa ha avuto una collutazione sul palco del Royal Opera House di Londra, per evitare che gli fosse impedito di esporre la bandiera della Palestina al termine dell'opera Il trovatore.
In risposta, il direttore del teatro gli ha fatto sapere che non avrebbe più lavorato al Royal Opera, mentre alcuni media han cercato di ridicolizzarlo definendolo, ad esempio, l’artista queer che prima frequenta una scuola da 48.00 sterline l’anno e poi si schiera per la Palestina.
In un tale clima di ostracismo, Daniel Perry ha dichiarato di aver agito da solo, perché solo si sente nell’ambiente artistico, nonostante proprio gli artisti, avendo una grande audience, dovrebbero sentire la responsabilità di diffondere determinati temi.
Invece, la maggioranza di essi sembra avere, comprensibilmente, una gran paura di esporsi a supporto di quei paesi che sono considerati nemici dell’Occidente.
Non è un caso che nel 2022 la maggioranza degli artisti, opinionisti e intellettuali occidentali si sia data un gran da fare nel comunicare al mondo le proprie posizioni filo-ucraine mentre, a ben vedere, non si è osservata la stessa solerzia in solidarietà col popolo palestinese, al punto che recentemente, musicisti come Brian Eno e i Massive Attack hanno annunciato la nascita di una sorta di “sindacato” solidale con gli artisti che decidono di denunciare il massacro di Israele contro la popolazione di Gaza.
“Incoraggiamo gli artisti che hanno preso posizioni pro Palestina o che intendono farlo, ma che sono preoccupati per le ripercussioni legali e dell’industria musicale, a contattarci”, si legge nel post pubblicato nella pagina Instagram dei Massive Attack mentre, in una dichiarazione rilasciata al Guardian, gli stessi affermano di voler offrire sostegno a chi, pur volendo esporsi, teme le ripercussioni:
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“Questa azione collettiva è in solidarietà a quegli artisti che assistono al genocidio davanti a uno schermo, ma che hanno timore nell’utilizzare le proprie piattaforme per esprimere l’orrore che provano, a causa della censura insita nel settore o a causa di enti legali esterni altamente organizzati, che terrorizzano sia loro che i team manager con azioni legali aggressive aventi un'intenzione chiara ed evidente: metterli a tacere”.
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Se parliamo di censura, anche in Italia abbiamo di che preoccuparci.
A proposito del conflitto russo-ucraino, va ricordato che dopo il recente annullamento del concerto del direttore d’orchestra russo Valery Gergiev alla Reggia di Caserta, il sindaco di Bologna ha annullato il concerto del pianista ucraino Alexander Romanovskij, colpevole di aver suonato il piano nella città di Mariupol.
Contro Gergiev si erano attivati, inoltre, ben settecento intellettuali, compresi premi Nobel, smaniosi di farne annullare il concerto. Situazioni analoghe si erano già verificate, precedentemente, all’Orchestra sinfonica di Montreal, che aveva cancellato le esibizioni del pianista russo Alexander Malofeev, o in Svizzera, dove era stato annullato il concerto della violoncellista russa Anastasia Kobekina.
Gli esempi sono davvero numerosi e ci ricordano che impedire a un artista di suonare in pubblico per motivi ideologici, politici o morali è una forma di censura, laddove il violare la libertà di espressione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione italiana, diventa funzionale alla creazione un clima di intimidazione culturale.
Ora, poiché le azioni appena descritte sono autoritarie e discriminatorie, in un paese realmente democratico dovrebbero partire critiche dai media, interrogazioni parlamentari e la mobilitazione pubblica, ma tutto questo non avviene perché nel 2025, in Italia, la censura è stata normalizzata anche attraverso l’eliminazione di questo stesso termine dai media.
E così, per ogni concerto cancellato, per ogni artista bandito, anziché parlare di censura, si parla di trionfo della democrazia e dello stato di diritto!
Questa caccia ad artisti, attivisti e intellettuali non allineati è stata ed è assai attiva anche in Ucraina, ed è alla base della “cancel culture” e guerra culturale con cui viene alimentato il conflitto che dilania il paese.
Tutto è cominciato con Myrotvorets, sito ucraino online che pubblica i dati personali di coloro che mettono in discussione la narrazione ufficiale del governo di Kiev in merito alla guerra del Donbass.
Successivamente, nel 2022, le leggi approvate dal Presidente Zelensky hanno impedito la stampa di libri di cittadini russi, l’importazione di libri dalla Russia e la riproduzione nei luoghi pubblici di musica di artisti post- sovietici. La riproduzione musicale alla tv e alla radio è possibile solo per quegli artisti russi inseriti in una lista di virtuosi, che hanno condannato pubblicamente l’intervento militare in Ucraina.
Parallelamente a ciò, monumenti sovietici sono stati smantellati e persino statue dedicate ai grandi della letteratura russa, come Pus?kin, sono state abbattute.
Non posso non ricordare, a questo punto, come a Mariupol, in uno dei quartieri da me visitati, alcune persone avessero appeso tra le macerie di un palazzo, proprio un grande quadro di Aleksandr Puskin, al quale la popolazione locale, in una fase di profondo dolore, sembrava approcciarsi come a un’icona sacra per ritrovare la forza delle proprie radici e della propria cultura.
L’Italia, dove ancora non si abbattono statue, sembra comunque apprezzare il metodo delle liste nere appena descritto, veri e propri elenchi in cui intellettuali, giornalisti e reporter che mostrano una visione divergente, sono messi pubblicamente alla gogna. Uno degli elenchi neri, contenuto in un report denominato “Disinformazione sul conflitto russo-ucraino”, curato dall’ente Federazione Italiana Diritti Umani e dall’organizzazione non governativa Open Dialogue Foundation, fu presentato alla Sala stampa della Camera dei Deputati nel 2022, mentre un’ulteriore lista nera fu pubblicata dal Corriere della Sera, che raduno? in un’unica pagina nomi e foto di esperti colpevoli di aver mostrato una visione alternativa del conflitto ucraino.
L’ultima mappatura corredata di black-list dei non allineati alle politiche di guerra, è stata presentata in conferenza stampa il 23 luglio 2025 da Europa Radicale, ed è intitolata “La peste putiniana. Mappa d’Italia dei nuovi untori”. Al di là del sottolineare lo sforzo fatto nel tentativo di mostrificare persone messe alla stregua di untori, concludo affermando che, se mostrare quel che accade nei fronti invisibili del Donbass o della Palestina, dove a colpire sono le armi inviate dall’Occidente, equivale a diffondere la peste, saranno in molti a pensare: e peste sia.
IL VIDEO EDITORIALE DI SARA REGINELLA:
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