Bolsonaro, un Pinochet 2.0. Analizzare la politica brasiliana con i parametri di quella nostrana è sbagliato e fuorviante

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Bolsonaro, un Pinochet 2.0. Analizzare la politica brasiliana con i parametri di quella nostrana è sbagliato e fuorviante



di Fabrizio Verde
 

La vittoria al primo turno del candidato di estrema destra Jair Bolsonaro ha provocato una serie di commenti sballati che hanno il pregio di mostrare ancora una volta quanto sia approssimativo e preconcetto il parametro di giudizio sugli esteri nel nostro paese. 

 

In Brasile, così come altrove, il parametro di giudizio viene calibrato sui parametri della politica nostrana. Rendendo così sballate e prive di qualsiasi fondamento gran parte delle analisi. 

 

Il fascista Bolsonaro, il cui exploit è stato causato da una serie di fattori congiunti: il ritiro di Lula vittima di lawfare, l’episodio dell’accoltellamento e l’utilizzo massiccio di fake news nell’ultima settimana precedente le votazioni per il primo turno, è presentato alla stregua di un populista di destra del tutto simile a chi in Europa in questa fase storica sembra godere del favore dei popoli piegati da oltre vent’anni di neoliberismo sfrenato. 

 

In realtà basterebbe dare un rapido sguardo alla ricetta economica proposta da Bolsonaro per capire che l’ex capitano dell’esercito brasiliano si propone come un Pinochet 2.0. Perfettamente in linea, tra l’altro, con le ‘riforme’ di Michel Temer che si è spinto sino a tagliare gli aiuti finanche ai malati di sclerosi multipla. La sua, infatti, è la classica ricetta neoliberista. Privatizzazioni, tagli a salari e pensioni, Stato ridotto ai minimi termini. Roba, appunto, da Chicago Boys e Milton Friedman, quelli che furono la mente economica della dittatura militare cilena di Augusto Pinochet. 

 

Il ‘Trump brasiliano’ per «costruire un paese differente» vuole che «molte imprese statali siano privatizzate o chiuse», come ha dichiarato nel discorso di ringraziamento diretto ai suoi elettori. Tra un attacco razzista contro gli afrodiscendenti che «non servono a nulla» e le minacce del figlio contro la sinistra del PT a cui non dovrebbe più essere consentito di potersi candidare. 

 

La vena neoliberista classica di Bolsonaro lo pone, almeno sula carta, lontano dai populisti europei. Anche se certe posizioni di quest’ultimi appaiono solo strumentali alla ricerca di consenso e tutte da verificare. 


Il sostegno di Salvini a Bolsonaro, reitarato all'indomani del successo al primo turno attraverso un cinguettio del leader del Carroccio, ci aiuta a svelare quale sia la reale natura della Lega. Neoliberista. Non si riesce infatti capire quale sia l'aria nuova a cui fa riferimento Salvini viste le ricette economiche proposte dal novello Pinochet in salsa brasiliana. Le stesse politiche di austerità, lacrime e sangue per il popolo, propugnate da oltre un ventennio da centro-destra e centrosinistra in quel di Bruxelles e contro cui Salvini si scaglia quotidianamente. In maniera strumentale, evidentemente, e con il solo obiettivo di capitallizare in chiave elettorale il disagio dei popoli piegati da tali scellerate politiche. 

 

Altro grande errore viene commesso nel giudizio sulla sinistra e il PT. Il partito di Lula viene descritto come una sorta di Partito Democratico in salsa brasiliana. Con l’ex presidente Lula e poi Dilma Rousseff nei panni di un D’Alema o un Bersani qualsiasi. Ossia dirigenti in piena ubriacatura neoliberista fuori tempo massimo quando ormai in tutto il mondo questa teoria economica viene riconosciuta come fallimentare e superata. 

 

Il delfino di Lula, l’ex sindaco di San Paolo Haddad, nel suo programma propone di riattivare i consumi nel gigante sudamericano attraverso un nuovo protagonismo dello Stato nell’economia. Con investimenti e la costruzione di opere pubbliche e infrastrutture capaci di generare occupazione e ricchezza. 

 

La Banca Centrale, nelle intenzioni del Partito dei Lavoratori, dovrà tornare a favorire la creazione di posti di lavoro e gestire l’inflazione. Abbandonando definitivamente la balzana idea che si tratti di un’istituzione indipendente. L’indipendenza della Banca Centrale viene ormai portata vanti solo dai neoliberisti incalliti alla Bolsonaro. 

 

In politica estera, l’estrema destra del ‘Trump brasiliano’ propone un totale allineamento di Brasilia ai dettami provenienti da Washington, a scapito della sovranità nazionale e popolare. 

 

Il PT, invece, vuole riprendere in mano l’agenda dei governi di Lula e Dilma Rousseff in favore della multipolarità e l’integrazione regionale con Mercosur, UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), CELAC (Comunità degli Stati dell'America Latina e dei Caraibi), così come la Banca del Sud. Oltre a riattivare la partecipazione del Brasile al blocco BRICS. Insomma, ai rapporti di cooperazione Sud-Sud che ha posto il Brasile come uno dei leader mondiali della diplomazia multipolare, è visto come uno dei principali assi dell'azione di eventuale governo targato PT. 

 

In Italia, così come nel resto d’Europa, si tende a giudicare gli accadimenti brasiliani con i parametri fuorvianti della politica nostrana. Un grave errore capace di inficiare ogni tipo di analisi conseguente. 

 



 

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