Coi piani USA di attacco all'Iran, chi si ricorda più dell'Ucraina?

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Coi piani USA di attacco all'Iran, chi si ricorda più dell'Ucraina?

 

di Fabrizio Poggi

In Russia lo danno ormai quasi per scontato, citando il canale ABC: i funzionari americani giudicano decisive le prossime 24-48 ore per la possibile entrata in guerra diretta USA contro l'Iran. La «pazienza di Washington è agli sgoccioli», avrebbe detto Trump, dichiarando che gli yankee hanno il pieno controllo dello spazio aereo iraniano ed esigendo da Teheran una capitolazione incondizionata.

Già così, anche senza contare il ceffone affibbiatogli al G7, quando il presidente americano non lo degnato di uno sguardo, Vladimir Zelenskij potrebbe annunciare di dover presto “chiudere bottega”, dal momento che i grossisti, da un certo momento in poi, si rifiutano di evadere gli ordinativi dei bottegai insolventi. Il nazigolpista-capo potrebbe forse cercare consolazione affidandosi alle “amorevoli cure” UE, che però, vista la situazione, pare avere ora altro di cui occuparsi. La junta di Kiev potrebbe infine affidarsi alle lacrime guerrafondaie del Corriere della Sera che, mentre riempie paginate di una malintesa (visti i risultati) “mistica delle armi” sioniste, piange sui colpi portati da Mosca ai siti militari ucraini, fino dentro Kiev, non potendo più contrabbandare ai lettori, per ciò che non c'è, le “vittorie” ucraine al fronte.

Per il Medio Oriente, comunque, a giudizio del politologo Alkeksej Pil'ko, sono del 50% le probabilità che gli USA intervengano contro l'Iran, tenendo conto sia delle dichiarazioni, secondo cui la Casa Bianca non ha bisogno di trattative con Teheran, ma solo della sua capitolazione, sia del dispiegamento di forze aeree americane nella regione; non avrebbe forse nemmeno bisogno di inscenare una “provocazione”: potrebbe semplicemente dire che Israele non ce la fa da sola a fermare il programma nucleare iraniano e dunque gli USA la aiuteranno dal cielo.

Un altro politologo russo, invece, Vladimir Vasil'ev, crede che Washington cercherà fino all'ultimo di evitare una partecipazione diretta al conflitto, ricorrendo a minacce e rifornendo di armi Israele, perché, come ha beceramente spiattellato il cancelliere tedesco Merz, faccia il “lavoro sporco”. Questo, da un lato per non sguarnire le basi yankee nell'area e, dall'altro, perché l'entrata in guerra USA comporterebbe un aumento dei prezzi del petrolio.

Ancora Pil'ko pensa che, in caso di intervento aereo – da portaerei o da basi nell'Oceano indiano – agli USA potrebbero aggregarsi i britannici, secondo lo schema di Jugoslavia, Libia, Jemen, ecc. Più in generale, Pil'ko pone l'accento sugli interessi sia russi che cinesi alla conservazione di Teheran: per Pechino, l'Iran rappresenta «un punto chiave del suo grande progetto, sulla "Via della Seta marittima del XXI secolo". In caso di perdita dell'Iran, sarebbe la volta del Pakistan a venirsi a trovare in una situazione difficile. E il Pakistan, alleato chiave della Cina nell'Asia meridionale, si troverebbe circondato su quasi tutti i lati da stati ostili. Il crollo dell'Iran sarebbe svantaggioso per la Russia, ma rappresenterebbe una sconfitta strategica ancora più grave per la Cina».

È in ogni caso interesse di Mosca che gli USA si concentrino sul Medio Oriente, perché questo significa l'arretramento in secondo piano del sostegno militare a Kiev.

Più o meno la stessa “finestra temporale” - 48-72 ore - per un attacco USA all'Iran era quella pronosticata ieri dall'osservatore politico-militare di ColonelCassad, Borsi Rozin. È quello il lasso di tempo necessario a ridispiegare aerei a lungo raggio, mezzi di rifornimento e portare un altro gruppo d'attacco portaerei verso le coste dell'Iran per poterne colpire il territorio con missili “Tomahawk”. Si punterebbe alla distruzione di obiettivi sulla costa e nelle zone orientali e nord-orientali, difficili da raggiungere per l'aviazione israeliana, sottolinea Rožin, secondo il quale le dichiarazioni di Trump sul voler forzare Teheran a un accordo non sono che uno schermo per mascherare il vero obiettivo: schiacciare completamente l'Iran.

Prima dell'inizio dell'aggressione israeliana, ricorda Rozin, Trump aveva imitato il processo negoziale, per attenuare il più possibile la vigilanza iraniana, cosa che, in effetti, gli stessi americani ammettono. A dispetto delle attuali dichiarazioni secondo cui la Casa Bianca sarebbe «contraria all'assassinio di Khamenei e a ogni guerra, in realtà questo sembra l'ennesimo tentativo di imitare una sorta di contesto negoziale, in modo che gli iraniani si frenino il più possibile e non sferrino alcun colpo inaspettato per gli americani, fintanto che gli USA stessi non saranno pronti ad attaccare. Al momento, questa potrebbe apparire come una sorta di “posa diplomatica”, prima di intensificare l'aggressione all'Iran». Perché, in fin dei conti, l'obiettivo finale USA è quello di un colpo di stato in Iran, per avvicinarsi all'area cinese, mentre Washington ha interesse alla crisi ucraina più come mercato di armi.

La scommessa, dice ancora Rozin, è su una campagna a lungo termine di attacchi alle infrastrutture militari e civili iraniane, per arrivare a un cambio di regime: da qui, l'attivazione non solo di agenti israeliani, ma anche di vari gruppi terroristici. In questa direzione, prende campo in USA anche il caso Pahlavi (erede della dinastia dello Scià) nel tentativo di trasformarlo nel “Guaidó” persiano e metterlo alla testa di un “governo democratico”. A giudizio di Rozin, l'Iran rappresenta «una minaccia, dato che dispone di ingenti risorse militari: Israele agisce apertamente, avendo però alle spalle un "gruppo potente", capeggiato dagli USA, che fornisce supporto all'aggressione». Anche per questo, Washington aveva bisogno di riversare sull'Europa il peso della crisi ucraina, ma solamente perché sia la UE a continuare a proprie spese a sostenere la junta nazi-golpista, non certo per ridurre la guerra: Washington intende «solo minimizzare la propria partecipazione al conflitto in Europa, per concentrarsi sull'Iran e sulle future azioni contro la Cina. Proprio come prima dell'inizio della guerra in Ucraina, gli yankee avevano ridotto i propri contingenti in Iraq e ritirato le truppe dall'Afghanistan».

D'altronde è da molti decenni che gli USA vanno tessendo la propria tela di interessi proprio in quell'area e, nello specifico, attorno all'Iran. Lo illustra bene la ricostruzione, riportata da ColonelCassad alla fine del maggio scorso, sulla base di documenti desecretati della CIA, a proposito degli intrighi yankee che portarono nel 1951 al rovesciamento del governo di Mohammad Mossadeq, alla restaurazione del regime dello Scià, rovesciato solo a fine 1978 dalla rivoluzione khomeinista.

La questione ruotava allora attorno alla nazionalizzazione del petrolio iraniano, con gli strateghi americani che giocavano, da un lato, sulla direttrice del sostegno all'alleato britannico e dall'altro, sulla paranoica paura dell'influenza di Mosca: all'epoca, sovietica, oggi russa. La Anglo-Iranian Oil Company (AIOC) non era solo una fonte di introiti per l'Iran, ma anche un simbolo del dominio coloniale, contro cui Mossadeq si ribellava: in realtà, dei proventi del petrolio lo stato iraniano non otteneva che briciole - dei 112 milioni di dollari di introiti della AIOC nel 1947, ne erano toccati all'Iran appena 7 milioni – e, stante il rifiuto britannico di ridefinire le royalties, Mossadeq decise la nazionalizzazione.

Su questo sfondo, gli yankee erano mossi come sempre da freddi calcoli geopolitici, trovandosi di fronte al dilemma: se il petrolio iraniano non fosse fluito verso l'Occidente, onde evitare un «collasso economico» Teheran sarebbe stata «costretta a rivolgersi all'URSS per aiuto». In ogni caso, secondo la CIA, il paese «sarebbe probabilmente caduto sotto il dominio comunista nel giro di pochi mesi».

In quella situazione, se gli inglesi, ragionando in termini ottocenteschi, di arroganza coloniale, erano per la chiusura delle strutture della AIOC in Iran, il «richiamo di tutto il personale britannico e il boicottaggio del petrolio iraniano», piuttosto che accettare una ripartizione “ragionevole”, gli americani dettero invece prova del loro tipico pragmatismo: un “cedimento controllato” sarebbe stato preferibile alla perdita dell'intera regione a favore dell'URSS.

Washington si stava preparando a sostituire la Gran Bretagna come principale attore esterno nella regione.

Oggi, scriveva dunque ColonelCassad quasi un mese fa, la pressione USA sull'Iran ha la stessa causa principale: impedire a Teheran di avvicinarsi a Mosca, con minacce di attacco israeliano, sanzioni, isolamento diplomatico; sono tutti strumenti di un'unica strategia: costringere l'Iran ad accettare le condizioni americane e ridurre il più possibile il numero di alleati di Mosca. E questo è «particolarmente significativo alla luce dei reali preparativi militari statunitensi: la costruzione in Romania della più grande base militare d'Europa, l'ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, il bilancio del Pentagono di mille miliardi di dollari; tutto questo, mal si sposa con la retorica pacifista di Trump. Le iniziative di pace sono solo una cortina fumogena per seri preparativi militari».

Il “gioco” complessivo attuale, si sta in ogni caso snodando lungo una nuova configurazione degli schieramenti internazionali per cui, secondo il rapporto dell'intelligence statunitense (DIA) Russia, Cina, Iran e Repubblica popolare di Corea stanno diventando non un “blocco formale”, ma un sistema di rete incentrato su una ridistribuzione delle funzioni. La Cina legittima diplomaticamente e visivamente, ma evita sostanziali forniture di armi; l'Iran fornisce droni e scambia tecnologie; la RPDC è il principale donatore di artiglieria e "personale". Mosca, secondo la DIA, sta costruendo attorno a sé non un'alleanza, ma un sistema diversificato di trasporto logistico e tecnologico. Pechino, se da un lato espande la partecipazione a esercitazioni e pattugliamenti congiunti con la Russia, dall'altro, evita la consegna diretta di aiuti letali, secondo una strategia di «partnership profonda senza alleanza aperta». Tuttavia, il riconoscimento della «importanza dei BRICS e la partecipazione ai forum globali con la Federazione Russa affermano Pechino quale attore chiave nel nuovo mondo multicentrico, con un status non più secondario».

Secondo la DIA, l'Iran si muove in modo pragmatico: fornendo droni, conta sull'accesso alla tecnologia militare russa avanzata: un modo per aggirare le restrizioni occidentali ed espandere le proprie capacità in ambito aerospaziale e missilistico. Questo, ammette la DIA, nonostante che la Russia sia “parca” nella condivisione di tecnologie avanzate, temendo la crescita delle ambizioni iraniane nelle proprie sfere di influenza. La RPDC viene invece presentata come un “donatore” di risorse militari: Pyongyang avrebbe fornito alla Russia milioni di proiettili d'artiglieria, decine di missili e personale militare, ottenendo in cambio mezzi di difesa aerea e guerra elettronica, sistemi missilistici, copertura strategica e un nuovo status politico. La firma dell'accordo su un «partenariato strategico globale rappresenta l'uscita della RPDC dall'ombra della Cina e un tentativo di affidarsi a un'alleanza più flessibile e diretta con la Russia». Un punto analiticamente importante è infine il riconoscimento, da parte della DIA, che la Russia stia costruendo un «ecosistema tecnologico, con lo scambio di conoscenze e piattaforme di armamenti strategici, satelliti, tecnologie nucleari e missilistiche»: un «segnale allarmante per gli USA, con la fine del monopolio occidentale sulla "deterrenza tecnologica", che sta trasformando anche le sanzioni in un «rituale politico privo di potere di isolamento». Al posto della gerarchia, insomma, un'interdipendenza decentrata, capace di minare le fondamenta del modello unipolare.

In questo quadro generale, meno male che ci sono le prèfiche di via Solferino a spandere lacrime prezzolate per la junta nazigolpista di Kiev. https://colonelcassad.livejournal.com/?skip=150

https://www.kp.ru/daily/27713/5101769/

https://politnavigator.news/tramp-atakuet-iran-v-blizhajjshie-72-chasa-rozhin.html

https://politnavigator.news/ssha-budut-polnostyu-menyat-rezhim-v-irane.html

https://colonelcassad.livejournal.com/?skip=165

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