Come i media occidentali favoriscono il genocidio di Gaza e riscrivono la storia
Mentre la guerra di Israele contro Gaza si intensifica e si espande in tutto il Medio Oriente, gli analisti dei media e i difensori dei diritti umani stanno sollevando preoccupazioni sulla mancanza di responsabilità internazionale e sul ruolo dei notiziari occidentali nel plasmare la percezione pubblica del conflitto.
Sabato, durante un dibattito ospitato a Londra dall'International Centre of Justice for Palestinians (ICJP), gli esperti hanno accusato i principali media occidentali di contribuire alla negazione e alla distorsione delle atrocità in atto a Gaza.
Il Centre for Media Monitoring (CFMM) ha presentato risultati che evidenziano la frequenza con la quale le principali organizzazioni mediatiche minimizzano o respingono le accuse di genocidio. Faisal Hanif, analista dei media del CFMM, ha denunciato che la BBC ha oscurato i riferimenti al genocidio nella sua copertura di Gaza più di 100 volte nell'ultimo anno.
Omar al-Ghazzi, professore associato di Media e Comunicazione alla London School of Economics, ha definito questa tendenza "una guerra alla storia". Ha avvertito che l'uso delle narrazioni mediatiche come fonti storiche future potrebbe influenzare il modo in cui le generazioni future comprenderanno gli eventi di Gaza.
Il panel ha anche evidenziato specifici modelli linguistici nella copertura mediatica. Hanif ha osservato che il termine "massacro" ricorreva 18 volte più spesso in riferimento agli attacchi di Hamas rispetto agli attacchi israeliani contro i palestinesi. Ha spiegato che questo squilibrio rifletteva un più ampio pregiudizio retorico e un'accettazione acritica delle affermazioni del governo israeliano, in particolare quelle che prendevano di mira i giornalisti locali a Gaza.
La giornalista britannico-israeliana Rachel Shabi ha affermato che Israele ha costantemente presentato il divieto di ingresso a Gaza per i giornalisti internazionali come una misura di sicurezza, accusando al contempo i giornalisti palestinesi di legami con Hamas. Ha criticato i media internazionali per aver accettato queste narrazioni senza contestarle.
“Israeli society has taken a genocidal turn,” says Daniel Levy. Speaking at the Genocide in Gaza conference in London, he warns that Israel’s war on Gaza marks a new phase of settler colonial overreach, backed by Western complicity. pic.twitter.com/6KOvf0dGOM
— Middle East Eye (@MiddleEastEye) June 29, 2025
"Cadono nella trappola senza nemmeno denunciarla", ha lamentato Shabi.
Ha aggiunto che, anche quando vengono incluse le voci palestinesi, la loro sofferenza viene spesso screditata o messa in dubbio. "I media non solo hanno escluso le voci palestinesi veicolate dai reportage dei giornalisti locali, ma, a volte, quando le hanno incluse, hanno di fatto messo le vittime palestinesi 'sotto processo', dipingendole come narratrici inaffidabili delle loro storie e delle loro sofferenze".
"Una nuova era oscura"
Lo storico Avi Shlaim ha descritto la strategia mediatica di Israele come un'aggressiva campagna di propaganda progettata per reprimere le critiche etichettando gli oppositori come antisemiti.
Il professor Martin Shaw, uno dei massimi esperti di guerra e genocidio, ha evidenziato che tali tattiche equivalgono a una terza forma di negazione del genocidio, la "negazione implicita", in cui gli attori riconoscono le atrocità ma non intraprendono alcuna azione significativa.
"I media stanno iniziando a cambiare, ma sono ancora indietro rispetto alla realtà", ha detto Shaw. "Anche quando governi e media riconoscono che a Gaza è in corso un genocidio, non agiscono per fermarlo".
Ha sostenuto che l'era di espedienti retorici come "responsabilità di proteggere" e "intervento umanitario" fosse finita. "I potenti fanno quello che vogliono senza abbellirlo", ha aggiunto.
Al-Ghazzi concorda, affermando che l'Occidente continua a controllare il linguaggio e la narrazione storica, posizionandosi come unico "arbitro morale".
Il panel di esperti ha anche collegato la complicità dei media ad ambizioni geopolitiche più ampie. Wadah Khanfar, presidente di Al-Sharq Forum ed ex direttore generale di Al Jazeera, ha affermato che l'Occidente rimane determinato a progettare un "nuovo Medio Oriente" e a marginalizzare le voci arabe nel plasmare il futuro della regione.
Ha criticato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, definendolo "veramente arrogante" per aver creduto di poter progettare da solo quel futuro.
Inoltre, gli esperti hanno concordato sul fatto che l'impunità di Israele potrebbe destabilizzare ulteriormente la regione. Khanfar ha avvertito che la guerra in corso potrebbe far precipitare il mondo in "una nuova era oscura".
Ha citato gli attacchi di Israele contro l'Iran come esempio di rischio crescente, sostenendo che essi spingono il Medio Oriente verso una zona denuclearizzata o verso una deterrenza nucleare diffusa.
Ampia disillusione in Israele
Daniel Levy, ex negoziatore di pace israeliano, ha messo in dubbio la fattibilità della strategia a lungo termine di Israele, suggerendo che potrebbe portare il paese al collasso. "È questo il terzo regno ebraico?", ha chiesto.
Gli oratori hanno avvertito che le azioni di Israele stanno erodendo le fondamenta del sistema giuridico internazionale. Tayab Ali, direttore della Corte Internazionale di Giustizia, ha affermato che i quadri giuridici internazionali rimangono "eccellenti in teoria", ma vengono applicati in modo selettivo nella pratica.
"Questa selettività rafforza la convinzione di Israele che i suoi diritti saranno tutelati, anche di fronte a violazioni rivolte ai palestinesi", ha affermato Ali.
Levy ha criticato la narrativa difensiva occidentale che presuppone che la pace seguirà l'eliminazione dell'Iran, definendola giuridicamente errata e strategicamente ingenua.
Ali ha aggiunto che gli attacchi israeliani contro l'Iran violano il diritto internazionale in base al principio di autodifesa. Ha affermato che il crescente scetticismo dell'opinione pubblica, anche all'interno di Israele, dimostra che le giustificazioni ufficiali per le azioni militari stanno diventando sempre più difficili da sostenere.
Levy ha sottolineato la crescente riluttanza degli israeliani a presentarsi come riserva militare. "C'è una disillusione più diffusa", ha detto. "Sempre più israeliani vedono queste campagne come un modo per portare il Paese verso un punto di non ritorno".
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
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