Elon Musk e l’Appello del capitalismo contro la scienza e contro la Cina

Elon Musk e l’Appello del capitalismo contro la scienza e contro la Cina

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di Fosco Giannini - direttore di “Cumpanis”

 

Nel marzo 2023 il “Future of Life Institute” lancia un Appello attraverso il quale oltre mille accademici, intellettuali, tecnici e imprenditori delle tecnologie digitali, in buona parte nordamericani, denunciano, per ciò che specificatamente riguarda l’Intelligenza Artificiale (Ai), “seri rischi per l’umanità”.

Innanzitutto: che cos’è il “Future of Life Institute”? È “un’associazione di volontariato impegnata a ridurre i rischi esistenziali che minacciano l’umanità, in particolare quelli che possono essere prodotti dall’Intelligenza Artificiale”. Un’associazione molto americana e con sede a Boston, e la doppia notazione potrà essere utile in sede di analisi dell’Appello che lo stesso “Future of Life Institute” ha lanciato.

L’Appello, all’interno della propria denuncia generale, chiede una moratoria di sei mesi per ciò che riguarda la ricerca relativa al sistema di Ai denominato Gpt4, un sistema ancor più sofisticato e potente rispetto al già rivoluzionario sistema ChatGpt. Quest’ultimo, acronimo di Generative Pretrained Transformer, è sinteticamente definito, dagli scienziati, come “uno strumento di elaborazione del linguaggio naturale che utilizza algoritmi avanzati di apprendimento automatico per generare risposte simili a quelle umane all’interno di un discorso”. Nell’essenza: il ChatGpt è definibile come un mezzo tecnologico dell’Ai volto alla costruzione di una relazione più attiva tra macchina ed essere umano. Mentre il nuovo Gpt4 è definito sinteticamente dalla letteratura scientifica come “un modello linguistico multimodale di grandi dimensioni, un modello di quarta generazione della serie GPT-n”. Un modello creato da OpenAi, un laboratorio di ricerca sull'intelligenza artificiale con sede a San Francisco, con Elon Musk come co-fondatore.

E attraverso questa puntualizzazione (Elon Musk come co-fondatore del Gpt4) si può iniziare a decodificare “politicamente” il senso ultimo di quest’Appello lanciato dagli oltre mille “addetti ai lavori” – “addetti” sia sul piano scientifico che imprenditoriale – che getta allarme sull’Ai e sullo stesso Gpt4, chiedendo addirittura di sospendere per almeno sei mesi la ricerca scientifica su questo modello di ultima generazione. 

Perché si può iniziare a leggere politicamente (ed economicamente) l’Appello attraverso il fatto che Elon Musk sia co-fondatore del Gpt4? Perché Musk è anche, e in apparenza surrealisticamente, anche il primo firmatario e “capocordata” dell’Appello. Un Appello contro se stesso?

Ma chi è Elon Musk? 

Elon Reeve Musk, probabilmente l’uomo più ricco del mondo, è un imprenditore sudafricano con cittadinanza canadese e naturalizzato statunitense. È – come si può leggere dalla sua biografia ufficiale – “fondatore, amministratore delegato e direttore tecnico della compagnia aerospaziale SpaceX, fondatore di The Boring Company, cofondatore di Neuralinik e OpenAi, proprietario e product architect della multinazionale Tesla e proprietario e presidente di Twitter”. Sta, inoltre, lavorando ad una compagnia mondiale per un sistema di trasporto ad altissima velocità denominato Hyperloop. 
Un protocapitalista, se mai ve n’è stato uno. Un imprenditore su scala mondiale che incarna in sé l’essenza imperialista. Un ricercatore strenuo e senza scrupoli di profitto, come dimostra il fatto che è stato, e molto probabilmente lo è ancora, un venditore privato di droni da guerra e altri sistemi bellici ad altissima densità scientifica a Zelensky per il conflitto contro la Russia. Un imprenditore contemporaneo che “santifica” le proprie merci (spesso in verità diaboliche, come quelle militari) attraverso l’aureola dell’iper modernità “positiva” e “liberatrice” dell’individuo.

Dunque, Elon Musk (che al contrario di quel Lorenzo Valla del quale, incongruamente, pare indossare sui “media” l’immagine umanista, è piuttosto l’esatta proiezione contemporanea di quell’agente del capitalismo belga (Kurtz) che nel “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad semina l’orrore imperialista in Congo per poi riconoscere il proprio assassinio e il proprio abominio pronunciando le parole finali, “Quale orrore! Quale Orrore!”) è il capofila dell’Appello critico verso l’Ai e il Primo Crociato, in apparenza, in difesa di un’umanità minacciata dalla tecnologia digitalizzata. Ancora: in difesa – vestito da filosofo umanista – da se stesso imprenditore imperialista?

Entriamo, allora, per la questione dirimente che affronta, densa di contenuti per il futuro dell’umanità, del proletariato mondiale e per la lotta di classe a livello planetario, nel cuore dell’Appello lanciato dal “Future of Life Institute” di Boston. 

La prima questione da enucleare è quella che lo stesso Massimo Gaggi, giornalista del “Corriere della Sera”, evidenzia nel suo articolo di giovedì 30 marzo sul quotidiano di via Solferino, dal titolo “Perché l’intelligenza artificiale spaventa i re della tecnologia”.

Scrive Gaggi, riferendosi all’Appello: “Suscita qualche sospetto: ad alcuni il messaggio appare troppo enfatico, altri sottolineano come sia impensabile fermare il lavoro dei ricercatori. Non sarà che si vuole semplicemente rallentare l’integrazione della tecnologia degli scienziati di OpenAi nei prodotti Microsoft in attesa che gli altri concorrenti recuperino il gap? Nel mondo della Silicon Valley il buonismo delle origini è stato da tempo travolto dalla logica della massimizzazione del profitto importata da Wall Street… E gli scettici sottolineano il fatto che Sam Altam, fondatore di OpenAi e padre di ChatGpt, non abbia firmato la lettera…”.
Gaggi, da una postazione non certamente anticapitalista, come quella del “Corsera”, mette tuttavia il dito nella piaga. L’Appello capeggiato dal pirata capitalista Elon Musk ha, innanzitutto, tutti i crismi di un documento politico atto alla lotta inter-capitalista, inter-imperialista, per la conquista dei mercati: Musk, co-fondatore di Gpt4, in ritardo tecnologico rispetto al sistema ChatGp, chiede alla OpenAi di Sam Altman (OpenAi della quale, nella sua versione di capitalista tentacolare, Musk fa parte), produttrice di ChatGp, di fermarsi. Per sei mesi, ma di fermarsi, gettando ombre inquietanti sullo stesso sistema ChatGp.
Ma è del tutto evidente che l’attacco di Musk e della frazione capitalista e imperialista che questo corsaro nero del capitalismo mondiale rappresenta, nei mercati internazionali e nell’Appello, non è diretto solo contro la OpenAi guidata da Sam Altman (che infatti non firma l’Appello), non è diretta solo contro la Microsoft di Bill Gates (che come Altam non firma l’Appello),ma soprattutto, con lo sguardo visionario del grande imperialista, è diretta contro i sistemi produttivi, ormai ad altissimo tasso tecnologico, della Cina e dell’India.

In Cina, l’utilizzo – in ogni segmento del sistema produttivo generale, in ogni area dell’attività sociale e nel campo militare – delle tecnologie digitali e dell’Ai è un obiettivo da tempo messo a fuoco e ritenuto centrale per lo sviluppo generale cinese, un obiettivo strategico che molto ha preso slancio sin dal “Piano di attuazione triennale Internet+ e Produzione intelligente 2025” che dal “Piano di sviluppo dell’industria robotica 2016-2020″, per essere poi rilanciato con forza anche dall’ultimo Congresso del Partito Comunista, il XX°, celebrato nell’ottobre del 2022.

In seguito a questa “pianificazione” politico-economico-tecnologica, oggi la Cina va decisamente superando gli USA anche nel campo tecnologico avanzato e specificatamente in quello dell’Ai. Dalle università e dalle aziende ad altissimo tasso tecnologico di Pechino la nuova frontiera dello sviluppo tecnologico va rapidamente irradiandosi in tanta parte delle università e delle fabbriche cinesi: università, aziende e fabbriche sotto il segno della tecnologia digitalizzata e dell’Ai e in grandissima parte sotto il controllo pubblico. E ciò proprio perché, per la Cina socialista, l’intelligenza artificiale riveste un ruolo di fondamentale importanza, non solo come cardine per una vincente competizione mondiale sui mercati d’avanguardia, ma anche come motore centrale per un nuovo ciclo – ritenuto imprescindibile dalla Cina di Xi Jinping – di rivoluzione scientifica e industriale nazionale.

Oggi, in seguito al fortissimo impulso dell’ultimo ventennio operato dal socialismo cinese e ai suoi titanici investimenti sul campo della tecnologia digitalizzata e dell’Ai, anche l’intera intelligenza artificiale cinese sta vivendo uno sviluppo senza paragoni sul piano mondiale. Progressi enormi e persino inaspettati nella loro grandezza ottenuti sui diversi campi big data, cloud computing, internet, robotica, tecnologia dell’informazione, auto elettriche, tecnologia aerospaziale e, appunto, Ai. Con una conseguente e alta discussione filosofico-politica in relazione al rapporto uomo-macchina, uomo-macchina intelligente, macchina intelligente-macchina intelligente. 

Una vasta discussione filosofico-politica su questi temi che si inserisce all’interno di quella vera e propria “effervescenza culturale” (“wenhua re”, ossia “febbre culturale”, “frenesia culturale”) che contraddistingue non solo l’attuale mondo accademico e intellettuale cinese, ma che si popolarizza attraverso una grande e positiva grancassa di dibattiti sostenuta anche da una sempre più vasta rete editoriale di stampo filosofico, letterario e culturale. Un fenomeno, peraltro, che contraddice platealmente e sonoramente quell’immagine di Paese chiuso e autocratico che l’Occidente affibbia alla Cina attuale. Una Cina odierna che vede la presenza di almeno una settantina di diverse riviste di filosofia – in discussione dialettica tra loro – a fronte delle quattro riviste che vi erano prima della fase Deng e, solo in apparenza paradossalmente, nella stessa fase della Rivoluzione Culturale. 

I progressi tecnologici sono stati naturalmente messi a valore anche sul versante militare, in grande, e necessitato sviluppo di fronte alla crescente aggressività bellica USA e Nato, a partire dal progetto secessionista per Taiwan sostenuto dagli USA. Le aziende cinesi di intelligenza artificiale detengono il 70% delle quote mondiali del mercato dei velivoli senza pilota. Imprese colossali come Tencent, Alibaba, TikTok e Jingdong sono stabilmente piazzate ai primi posti, a livello planetario, nel mercato degli algoritmi, registrando ogni anno il maggior numero di brevetti. Ed è tutto questo che allarma il capitalismo mondiale e quello nordamericano, con Elon Musk in testa. 

Un progetto generale di informatizzazione e automazione del Paese che trova, in Cina, un terreno già reso fertile dalle grandi “riserve intellettuali” del popolo cinese, nel senso che l’inclinazione alla matematica e alla scienza applicata fa parte del senso comune di massa del popolo cinese, nasce da testi antichissimi come “Il libro dei procedimenti matematici”, dalla stessa vocazione alla scienza e alla tecnologia delle grandi dinastie Han e Tang (la prima inizia nel 206 a.C. e la seconda finisce nel 907 d.C.) ed è ispirato da grandi matematici come Qin Jushao (1202-1261 circa). La stessa inclinazione cinese verso il marxismo scientifico e non verso “il marxismo esistenzialista” (come il grande filosofo marxista Domenico Losurdo notava) trova, forse, le sue basi materiali anche in questa antica “riserva intellettuale scientifica” del popolo cinese.

Ma anche l’India, scegliendo la strada obbligata (al fine di evitare una colonizzazione tecnologica e dunque economico-politica da parte di altre potenze) del pieno sviluppo informatico e legato all’Ai, sta bruciano le tappe al fine di potersi presentare, entro un decennio, come una delle grandi nazioni tecnologiche del pianeta e malgrado possibilità, disponibilità e asset per ora diversi da quelli di Usa e Cina, anch’essa va rapidamente attrezzandosi per essere protagonista della quarta rivoluzione industriale a livello mondiale. Peraltro, il già significativo e oggettivo sviluppo strutturale indiano nel campo informatico e dell’intelligenza artificiale (basti pensare a quanta sia vasta “l’esportazione”, negli USA, dei tecnici e degli ingegneri informatici indiani) è totalmente funzionale – e dunque assolutamente necessario – al progetto volto a trasformare stabilmente l’India in un polo  manifatturiero globale (“make in India”) integrato nelle catene mondiali del valore e volto a conquistare sia l’autosufficienza (“atmanirbhar bharat”), che ad aprire il proprio, sterminato, mercato interno. 

Anche lo sviluppo indiano, dunque, popola gli incubi delle multinazionali nordamericane dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Anche Nuova Delhi ha spinto Musk e i mille firmatari dell’Appello del “Future of Life Institute” a chiedere che le aziende produttrici del sistema avanzato Gpt4 sospendano le ricerche. E non certo per “i rischi esistenziali che minacciano l’umanità”, ma ben più banalmente e prosaicamente per i rischi di perdere. In un periodo medio-lungo, profitti e leadership mondiale nel campo dell’informatica e dell’Ai.

L’Appello dei mille accademici, intellettuali, tecnici e imprenditori, con il suo carico di critica ombrosa ed equivoca nei confronti del sistema di Ai Gpt4 (come se il sistema ChatGpt, in sé e nel suo intrinseco e inevitabile sviluppo, non ponesse le stesse questioni relative al rapporto uomo-macchine) evoca essenzialmente la questione della concezione filosofica della scienza. 

È del tutto evidente che la richiesta di sospensione della ricerca scientifica in relazione al sistema Gpt4 espressa dall’Appello sia segnata da una disarmante quanto volgare (innanzitutto sul piano filosofico) pulsione idealistica. Essa somiglia, nella sua totalità idealistica, al tentativo di ratifica della “fine della storia” che venne tanto disinvoltamente quanto infantilmente lanciato da Francis Fukujama un poco prima (1989, di fronte ad un’era Gorbaciov in evidente e gravissima crisi) e subito dopo l’autodissoluzione dell’Unione Sovietica.

In verità, esattamente come per la storia, il processo di sviluppo della scienza non è arrestabile. E tale asserzione nulla ha a che fare – chi scrive sente la necessità di affermarlo – con quella concezione feticista dello “sviluppo delle forze produttive” che nella vastissima ala storica del movimento operaio e socialista, da Kautsky a Turati sino alla versione socialdemocratica del PCI, sfociava in quel pigro accomodamento positivista svuotato di pulsione e prassi rivoluzionaria in nome di un comunismo immanente allo stesso sviluppo capitalistico: se il comunismo è immanente e sarà lo sviluppo delle forze produttive capitalistiche a deciderne la genesi, perché anticipare “maldestramente” la storia? Perché immettere una soggettività rivoluzionaria nel fluire predeterminato del divenire? 
A questa distorsione, come sappiamo, risposero Lenin, Gramsci, Mao Zedong, Fidel Castro, Ho Chi Minh attraverso la riproposizione dell’elemento soggettivo nella storia, attraverso la rottura dell’anello debole della catena.

Nemmeno vogliamo affermare la neutralità della scienza e del suo impiego nella produzione di merci (da quelle che ingolfano e deturpano la nostra vita, automobili e cellulari, alle armi da fine mondo).

Ciò che vogliamo affermare, rimarcando l’impossibilità oggettiva della fine dello sviluppo scientifico, della sua “sospensione”, come chiedono ambiguamente Musk e i suoi “mille”, è che in questo modo di approcciarsi alla scienza riappaiono sia la deleteria superstizione mistico-religiosa tendente a consegnare a Dio i misteri della vita e dell’energia, che un neo luddismo ingannatore del movimento operaio complessivo e antirivoluzionario.

Proponiamo qui, poiché ci sembrano molto utili alla nostra riflessione, alcune righe del primo capitolo (“La cassetta degli attrezzi”), facente parte dell’ultimo libro di Carlo Formenti “Guerra e Rivoluzione”. Scrive Formenti, dopo aver elencato i primi punti relativi ad una certa e vasta superfetazione dello sviluppo delle forze produttive: “infine la fede nel potere di emancipazione delle forze produttive, che ha impedito a Marx (ma anche a Lenin e Gramsci) di cogliere appieno il carattere distruttivo della tecnologia al servizio del capitale”.

Appunto, sottolineiamo noi: quella al servizio del capitale, non della tecnologia in sé, non dello sviluppo della ricerca scientifica in sé.
Oggi sappiamo che la fusione nucleare (quella auspicata dalla grande astrofisica – comunista – Margherita Hack) sarebbe la positiva risposta planetaria all’esigenza di energia. L’energia che scaturisce dalla fusione nucleare, la stessa prodotta dal sole e dalle stelle, essendo priva di scorie radioattive, superando il problema della temporalmente lunghissima e devastante decantazione degli isotopi radioattivi liberati, sarebbe la risposta all’esigenza di energia dei popoli e degli Stati poveri del mondo, che potrebbero dotarsi di una grande, infinita energia pulita funzionale al loro sviluppo economico e sociale liberandoli dal giogo imperialista.

Oggi, la scienza si sente vicina alla possibilità di produzione di energia (infinita e possibile per tutti i popoli del mondo) attraverso la fusione nucleare positiva, cioè priva di scorie radioattive.

Ma come si è giunti a questa, ancora in fase di studio ma ormai quantomeno fortemente verosimile, fusione nucleare?

Attraverso la scoperta della fissione nucleare, la stessa che portò alla costruzione della bomba atomica e al suo criminale sganciamento, da parte degli USA – ancora unico e solo Paese al mondo ad aver distrutto intere città e intere popolazioni con l’arma radioattiva – su Hiroshima e Nagasaki.

Quando Otto Hahn e Fritz Strassmann, il 6 gennaio del 1933, documentarono sulla rivista “Die Naturwissenschaften” la scoperta della fissione dell’uranio, i grandi fisici del mondo, da Niels Bohr ad Enrico Fermi, compresero immediatamente l’immensa portata, ai fini dello sviluppo umano, ai fini della liberazione dell’umanità dal lato oscuro della Natura, che la scoperta recava in sé. Compresero immediatamente quanto fosse liberatoria, per l’umanità, la possibilità di produzione infinita di energia. 

Ci furono, naturalmente, anche scienziati, fisici, come l’ungherese Leó Szilárd, che riuscirono sin da subito a mettere a fuoco la dialettica dai caratteri anche nefasti e “demoniaci” insita nella scoperta della fissione dell’uranio: la possibilità, cioè, che assieme a tanta energia elettrica si potesse giungere anche a produrre la bomba atomica per uso militare. Di straordinario valore scientifico ed etico, a questo proposito, fu il carteggio tra Szilárd ed Einstein, il quale, pur apprezzando la scoperta dal punto di vista scientifico, metteva anch’egli in rilievo le possibilità nefaste della fissazione dell’uranio. E la sorprendente spregiudicatezza anti umanistica e il cinismo delle classi dirigenti americane gli dettero ragione.

Ma la storia ha assodato almeno tre questioni cardinali: 
- primo: solo a partire dalla scoperta della fissione nucleare – in un tutt’uno dialettico – la scienza oggi può concretamente giungere alla fusione nucleare, priva di rischi e capace di produrre, a costi possibili per tutti, energia pulita per ogni popolo del mondo, liberando gli stessi popoli dal potere dei detentori e dei produttori di gas e petrolio, dal potere imperialista delle compagnie petrolifere e dall’intera “governance” imperialista;
- secondo: il flusso della scienza, come quello della storia, non è sospendibile da un decreto politico, da un ordine umano di qualsiasi natura: ciò evocherebbe soltanto, assieme al risultato che la scienza proseguirebbe comunque il suo inevitabile corso, un regime dittatoriale oscuro e folle, antistorico e antiumano;
- terzo: che il vero problema, come insegna storicamente il fatto che l’atomica è stata usata solo dall’imperialismo americano, è quello di quale ordine politico, sociale, morale gestisce, padroneggia, mette a valore la scienza. O un ordine volto ad uno sviluppo sociale egualitario e alla fine del dominio di una parte ristretta dell’umanità sulla sua parte immensamente più grande, un ordine che sulla struttura materiale del socialismo proietti una sovrastruttura etico-morale fortemente umanistica e antitetica alla guerra; oppure un ordine segnato dall’“esigenza” strutturale del profitto e della spoliazione mondiale, del loro mantenimento e dunque della guerra e dell’uso – legittimato e consentito dalla stessa “morale” capitalista – di sempre più orrendi ordigni bellici (chissà cosa, oltre il nucleare) per vincere la guerra di classe mondiale. 

La certezza dell’esistenza del rapporto dialettico tra fissione nucleare e fusione nucleare (senza la prima non potrebbe, non potrà esserci la seconda), come del rapporto dialettico, per ciò che riguarda l’intelligenza artificiale, tra il sistema ChatGpt e il sistema Gpt4, rimanda direttamente al problema della concezione filosofica della scienza, che in Elon Musk e i suoi seguaci imperialisti sembra piuttosto essere una sorta di materia inerte, indipendente dalla storia, dallo spazio e dal tempo, subordinabile al profitto e plasmabile, a loro piacimento, dai padroni della terra. 

In verità, l’insopprimibile natura dialettica della scienza, che un potere umanamente “giusto” (e quello più giusto che oggi storicamente conosciamo è il potere politico socialista) può piegare agli interessi dei popoli ma che anch’esso non può fermare, è stato chiarito in modo insuperabile da Ludovico Geymonat, non per niente il più grande filosofo italiano della scienza e tra i più grandi filosofi europei. Marxista, peraltro, col marxismo che segna il suo intero pensiero. 

In un’estrema e rozza sintesi possiamo affermare che tutta la lotta filosofico-politica di Ludovico Geymonat è diretta a battere quel positivismo filosofico e politico che, in Italia, lungo l’asse crociano-gentiliano, riduce, ossifica la storia e la scienza attorno ad “assoluti” tanto idealisti quanto irrazionali che “dettano”, nel processo storico, tutti i tempi del divenire dogmatico (prima il pieno sviluppo capitalistico e poi la rivoluzione, che tanto serve ai Turati al fine di non fare mai la rivoluzione...), rimuovendo ogni azione soggettiva della “classe”, delle avanguardie, dei popoli, e nella scienza fissando gli “assoluti” – o, nella migliore ipotesi, il nocciolo duro degli “assoluti” – di ogni tempo presente. Mentre Geymonat, rimarcando le fasi a strappi della scienza, le sue crisi violente, i suoi cicli di continua negazione di sé e di una continua e nuova riproposizione di sé, immette la stessa scienza nel fluire della dialettica storica, del materialismo dialettico, negando così ogni “assoluto” della scienza, come della storia. Non per niente Geymonat prende chiaramente a supporto delle sue tesi anche il Lenin di “Materialismo ed empiriocriticismo”, quel Lenin inevitabilmente non compreso da quel marxismo occidentale ancora malato di “hegelismo di sinistra”, quel Lenin che, strapazzando Ernst Mach, ricolloca al centro il materialismo dialettico.

Una riproposizione della scienza come un fluire vivo e inarrestabile nel suo svolgersi dialettico che, se ve n’era bisogno, ridicolizza la richiesta di Musk e dei seguaci imperialisti di “sospensione” (per ordine politico? Per ordine giuridico? Per uno stesso – contraddittorio – ordine “scientifico”?) della ricerca scientifica, richiesta tanto malmostosa poiché dietro essa, come abbiamo visto, si nasconde un’altra e indicibile verità: la paura storica di perdere la partita del secolo, innanzitutto a favore della Cina, sulla tecnologia digitale e sulla Ai e con essa perdere profitto ed egemonia imperialista. Le stesse paure che spingono gli Usa e la NATO, peraltro, alla guerra contro la Cina attraverso, per ora, la guerra contro la Russia. 

Ma vi è un’altra questione dirimente, nella medioevale richiesta, da parte di Musk e dei suoi “mille”, di critica – da postazioni oscure che sfruttano la superstizione – alla scienza e nella conseguente richiesta di sospendere il fluire della scienza: la paura, pienamente consapevole o meno, ma comunque politicamente agente, di non poter controllare il prodotto sociale dello sviluppo scientifico, di non poterlo più subordinare al profitto capitalistico.

È del tutto evidente, infatti, che lo sviluppo pieno dell’intelligenza artificiale – oltre i problemi oggettivi che potrà produrre nel rapporto tra macchina e uomo, problemi affrontabili e risolvibili solo da un potere rivoluzionario e antitetico ai disvalori anti umanistici capitalisti – produrrà un contesto sociale nel quale la richiesta di forza-lavoro tenderà sempre più a ridursi, sino alla fuoriuscita, in un mondo ancora capitalista, di centinaia di milioni di esseri umani dalla produzione, sostituiti da robot sempre più intelligenti e capaci. In questo contesto si porrà la questione, che già segna il presente e ancor più segnerà il futuro, della riduzione secca dell’orario di lavoro a scapito del profitto capitalista. Una contraddizione forse finale che difficilmente il capitalismo potrà sopportare, se non cambiando strutturalmente i propri connotati e la propria concezione del rapporto forza-lavoro/capitale, del mercato e del mondo (e una trasformazione così profonda di sé appare impossibile persino alla luce delle grandi capacità di adattamento ai tempi continuamente nuovi che il capitalismo ha sempre dimostrato).

Una contraddizione, quella capitalistica, che potrebbe essere segnata da una ciclopica crisi di sovrapproduzione inevitabilmente prodotta dal dispiegamento globale dell’Ai, probabilmente impossibile da portare a sintesi, comunque di difficilissima soluzione per il capitale, quanto densa di spinta rivoluzionaria per la “classe”, per il mondo del lavoro e del non lavoro, per le avanguardie. Una contraddizione nefasta e infelice per il capitalismo quanto felice per “la classe”, per il proletariato, per l’umanità nel suo insieme, se è vero, come è vero, che “il lavoro è la lotta dell’uomo contro la natura” (Marx) e, come ogni lotta, ha in sé una dose massiccia di sofferenza da cui liberarsi. Lo sviluppo della scienza, al di là di ogni superstizione pseudofilosofica e nichilista, è anche liberazione dell’uomo e della donna dal lavoro. La gestione della dialettica della scienza da parte di un potere rivoluzionario vorrà dire rendere la scienza funzionale alla liberazione umana. Non più, com’è inscritto nell’Appello di Elon Musk, al profitto capitalista. 

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