Fulvio Grimaldi - Violati i segreti nucleari di Israele, inventati quelli iraniani. Il non detto dell'attacco israeliano all'Iran

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Fulvio Grimaldi - Violati i segreti nucleari di Israele, inventati quelli iraniani. Il non detto  dell'attacco israeliano all'Iran

 

di Fulvio Grimaldi 

Attacco all’Iran. Just in time

Mentre scriviamo queste righe, ci troviamo in piena bagarre. Azioni, reazioni, risposte e controrisposte tra Israele e Iran, chiaramente sempre con Israele che, come da consuetudine, ha incominciato, hanno ormai assunto una loro cadenza quasi autonoma, sul cui andamento a fare previsioni si può essere certi solo di sbagliare.

Altra certezza è che per il futuro prevedibile ciò che ci capiterà sarà una caterva di bugie israeliane, con analoga improntitudine ripetute e rafforzate dallo schieramento dei gazzettieri ontologicamente embedded. I nostri. E una lunga consuetudine di manipolazioni, spesso solo molto più tardi rivelatesi tali, ci conforta sul fatto che tra versioni ucraino-occidentali e versioni russe, come tra le israelo-atlantiche e quelle dei nemici designati, hanno sistematicamente più rilevanti addentellati con la realtà i secondi.

Nel caso specifico a questo dato dà irreversibile consistenza il fatto che chi ha iniziato è colui che attribuisce alla controparte una colpa indimostrata per esso, ma assolutamente consolidata per se stesso: la disponibilità di armi atomiche e la facoltà di usarle. Facoltà agevolata dall’ulteriore dato che l’aggressore iniziale non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, la vittima iniziale, sì. E che l’aggressore iniziale non consente ispezioni dell’agenzia ONU a ciò deputata, mentre la vittima iniziale, sì. Da decenni. Con risultati che fin qui lo hanno confermato innocente di qualsiasi violazione di quanto sottoscritto. Violazione pur accanitamente sostenuta dall’aggressore bomba-dotato.

In particolare risulta smentita da documenti, immagini e da testimonianze spesso dal sen sfuggite, la pervicace minimizzazione che l’ufficialità israeliana compie rispetto a vittime e danni subiti, sia nel corso degli attuali bombardamenti iraniani, sia nei quasi venti mesi di confronto con i combattenti di Hamas. Il ministero della Difesa, cuore e mente dell’apparato militare israeliano a Tel Aviv, centrato in pieno, risulta solo “lievemente danneggiato da esplosioni nelle vicinanze”.  Per i siti degli impatti missilistici in Israele, l’esercito israeliano ha proibito di effettuare riprese e fotografare. Ha però ammesso che tre cacciabombardieri israeliani F-35 sono stati abbattuti e i piloti catturati.

Tendo perciò a credere al generale Ahmad Vahidi, portavoce di Ali Khamenei, quando afferma, dopo le prime due ondate di missili, che 150 obiettivi fissati sono stati colpiti. Tra questi, la base aerea di Nevatim, un’installazione chiave dell’Aeronautica israeliana e la base aerea distaccata di Ovda, dove erano stazionati aerei F-35I, F-16 e F-15, velivoli pesanti da trasporto, depositi di carburante, centri di comando per la guerra elettronica. Una terza base aerea attaccata sarebbe quella di Tel Nof, a due passi da Tel Aviv, mentre missili ipersonici yemeniti si sarebbero abbattuti per l’ennesima volta sull’aeroporto Ben Gurion.

Ma “No photos please!” Negare, occultare serve a tenere in piedi il mito dell’onnipotenza israeliana, per quanto sia sempre più manifesto quanto questa dipenda dall’intervento USA e di altri alleati, come in questo caso lo Stato Islamico di Ahmed al Sharaa installato a Damasco, che ha aperto il proprio spazio aereo agli amici sionisti. Invincibilità vantata ma garantita, fin dalla fondazione dello Stato su terra palestinese, dall’incondizionato appoggio statunitense.

E non solo di ininterrotto flusso di armi e di dollari si tratta. E’ risaputo che nessun presidente viene eletto in quel paese, e neppure nessun deputato o governatore, senza che vi sia il benestare e il contributo, massiccio in termini finanziari e propagandistici, della più potente lobby finanziaria del mondo, appunto ebraica

Vale la pena inserire nella lista ottantennale delle bugie sioniste, anche queste, ripetute a pappagallo dagli scrivani neobiblici, secondo cui sia Hamas, che il governo di Tehran, non cessino di ribadire l’urgenza di “cancellare dalla carta geografica lo Stato d’Israele”. Affermazione disintegrata, per quanto riguarda la Resistenza palestinese, da una storica accettazione della convivenza delle due comunità, a condizione della rimozione della struttura statale razzista ed esclusivista, come formulata nello Stato dei soli ebrei.

Prospettiva condivisa da Tehran, per la quale però di Palestina si deve parlare, piuttosto che di Stato Sionista, a correzione dell’abuso commesso da un’assemblea generale dell’ONU nel 1947, con una spartizione del territorio a cui non era titolata. Abuso poi aggravato, oltre ogni legittimità, da come i nuovi arrivati hanno inteso applicarlo.

Il nondetto dietro all’accelerazione israeliana

Dietro le incursioni israeliane della notte tra il 12 e il 13 giugno e giorni successivi, si cela un non detto che parrebbe essere proprio il fattore di accelerazione del durissimo intervento di Tel Aviv sull’Iran, con le pesanti conseguenze per l’integrità industriale e militare di Tehran che ci sono state comunicate e che l’Iran non ha smentite.

L’ennesima decimazione della direzione militare e dei vertici scientifici dello Stato islamico, con l’uccisione dei comandanti della sua forza d’Elite, i Guardiani della Rivoluzione, successiva ai precedenti assassinii di Nasrallah, capo degli Hezbollah e del presidente Ibrahimi Raisi, “precipitato” con il suo elicottero, sembrerebbe rappresentare una perdita più grave dei danneggiamenti alle installazioni nucleari e petrolifere che, peraltro, Tehran minimizza.

Anche perché, unita all’eliminazione di gran parte dei quadri degli Hezbollah libanesi, provocata dall’esplosione dei loro cerca persone e cellulari, e degli assassini di dirigenti e quadri di Hamas a Gaza e in Cisgiordania, rappresenta la decapitazione delle forze che più danno avevano inflitto allo Stato sionista e alla sua pretesa di invincibilità. Tra le vittime assume un significato preciso, l‘uccisione di Alì Shamkhani, consigliere della Guida Suprema Khamenei e, soprattutto, capo negoziatore iraniano in Oman per il rinnovo del trattato nucleare. Unna conferma di quanto Tel Aviv abbia in uggia l’ipotesi di un accordo USA-Iran sul nucleare.

C’è un precedente immediato e non detto, rispetto all’attacco israeliano, che i nostri oculatissimi informatori, portatori di una comunicazione monopolizzata dagli interessi occidentali, continuano a occultarci. Un precedente non detto che parrebbe essere l’elemento strategicamente decisivo per un’operazione israeliana che, anche per i ripetuti inviti (del tutto disonesti) di Trump a soprassedere, risulterebbe drammaticamente anticipata rispetto a quanto si aveva ragione di prevedere. Quanto alle genuinità della presa di distanza del presidente USA, ci sarebbe da ridere solo a ricordare il pressante invito, suo e di Rubio, al personale nelle basi USA della regione di rientrare in patria assieme alle famiglie.

Quali i motivi per l’improvviso precipitare degli eventi, di un affrettarsi che, oltre tutto, non sembra essersi molto curato delle ripercussioni sulle opinioni pubbliche internazionali e, soprattutto, su quelle degli alleati di Israele. Alleati certamente sempre complici e fornitori risolutivi di armi e connivenze politico-diplomatiche, come ribadiscono in queste ore Italia e UE, ma che devono anche vedersela in misura crescente coll’avverso sentire comune della loro base elettorale.

Cosa, dunque, avrebbe determinato l’anticipazione improvvisa dell’intervento piratesco dell’autoghetto ebraico, alla faccia delle formali riserve statunitensi e di gran parte della cosiddetta comunità internazionale? Con ogni evidenza si trattava di prevenire le misure di protezione delle proprie strutture militari e nucleari e di un eventuale attacco a Israele che Tehran avrebbe potuto condurre approfittando del più grande colpo che la sua intelligence aveva mai inferto allo Stato ebraico. Di cosa si tratti lo ignora l’opinione pubblica grazie alla complicità politico-mediatica entrata in funzione dopo le prime indiscrezioni trapelate su alcuni organi, tra i quali perfino quelli israeliani.

Non solo Mossad

E qui arriviamo al colpo grosso realizzato dal meno celebrato dei servizi segreti, visto che si tratta di apparato di uno Stato. quello degli ayatollah, bollato di oscurantista, debole e arretrato. Per la verità, la sorpresa suscitata dalle notizie sepolte negli archivi degli imbarazzi dei nostri media, non dovrebbe essere tale, a conoscere l’antefatto dei droni e missili iraniani su Israele nelle precedenti occasioni.

E’ vero che l’anno scorso jet israeliani riforniti in volo riuscirono ad arrivare nei cieli iraniani e a colpire alcune infrastrutture. Ma è altrettanto vero, però fortemente ombreggiato, che nella rappresaglia (aprile 2024) al bombardamento della propria ambasciata a Damasco, centinaia di droni e missili forarono l’Iron Dome israeliano (come, del resto, fecero quelli yemeniti). Poi, nel suo secondo attacco, ottobre 2024, Tehran distrusse buona parte di due basi dell’aeronautica di Tel Aviv: Nevatim e Hatzerim, nel deserto del Negev. Satelliti mostrarono rottami di aerei.

Tutto questo è digeribile per entrambe le parti e non comporta necessariamente, al netto della furia bellicista del premier che deve fare guerre per scampare a processi, disgrazia e carcere, l’innesco della Terza Guerra Mondiale, non più a pezzi. Ciò che invece lo Stato sionista difficilmente saprà metabolizzare e che spiega le attuali intemperanze verbali di Trump, è quanto, almeno per i primi due giorni, la stampa non ha avuto l’accortezza di occultare.

Si tratta dell’operazione dell’intelligence iraniana che ha portato in mano ai dirigenti di Tehran nientemeno che il programma nucleare israeliano, corredato di dettagli sul centro di ricerca di Soreq e l’elenco di tutta la rete degli obiettivi che Israele si ripromette di colpire nel caso di un attacco all’Iran. Che questi documenti rivelino i segreti del centro Soreq lo avrebbe confermato lo stesso capo dell’AIEA, Grossi.

Soreq

Il quale Grossi, va rilevato, ha pieno accesso ai laboratori e alle centrali nucleari dell’Iran e assolutamente no a quelli di Israele. Il quale Grossi, va aggiunto con indignazione alla vista del suo ruolo ONU, avrebbe trasmesso a Israele le proprie corrispondenze con Tehran contenenti informazioni confidenziali. L’agenzia iraniana FARS accusa Grossi anche di aver comunicato al Mossad nomi di scienziati nucleari iraniani, successivamente assassinati.

L’impressionante successo, vantato dai media di Tehran, è però anche corroborato dalla maggiore stampa internazionale, a partire dagli israeliani Jerusalem Post e Israel Times. Si capisce una reazione rabbiosa e, forse, incontrollata di chi è stato colpito fin, si potrebbe dire, nel talamo dell’impura congiunzione Israele-atomica.

Ora che, a confermare che i più gelosi segreti nucleari israeliani siano stati violati, che volumi importanti di documenti, video e mappe siano stati portati in Iran, non lo dicono solo il Ministro iraniano della Sicurezza, Ismail Khatib, ma gli stessi quotidiani di Israele, il britannico The Economist, che titola “Perché tanti ebrei israeliani spiano per l’Iran?”, l’autorevole agenzia libanese Al Mayadeen, la maggiore piattaforma latinomericana Resumen, che parla di un “colpo alla Assange”, fino a vari giornali occidentali.

E, soprattutto, ora che il servizio di sicurezza interno di Israele, Shin Bet ne dà implicita conferma annunciando l’arresto di una trentina di soggetti in collegamento con “crimini di sicurezza”. Si tratterebbe di elementi degli insediamenti israeliani e delle popolazioni arabe beduine del Negev. Arresti avvenuti tre settimane fa, ma rivelati solo ora. Di due, accusati di aver svolto missioni di spionaggio per l’Iran, si conoscono anche i nomi: Roy Mizrah e Almog Atias.

Che Israele avesse costruito a partire dagli anni ’60, un nutrito numero di ordigni nucleari, cosa dal governo mai né negata né confermata, era diventato un segreto di Pulcinella non solo grazie alle rivelazioni del “rinnegato” tecnico nucleare Mordechai Vanunu, ma anche alle conferme che gli aveva dato nel 2013 l’ex-membro del Knesset, Avraham Burg. Del resto, fu grazie a un accordo tra Nixon e la premier Golda Meir che Israele venne esonerato dalla firma del Trattato di Non Proliferazione.

Dal canto suo, il generale Hossein Salami, comandante del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie (IRCG), Pasdaran, rilevato che il “mito del Mossad è collassato”, ha dichiarato che, essendo le sue forze ora in possesso della “banca obiettivi” di Israele, si procederà al rafforzamento delle relative difese. Cosa apparentemente non realizzata in tempo. Le sue parole sono state pronunciate nello stesso giorno in cui Trump si è intrattenuto al telefono con Benjamin Netaniahu. Chiamata che a sua volta è stata seguita da un vertice del premier israeliano con i supremi dirigenti militari e dell’intelligence, dei quali nulla è stato riferito dai media. Forza dell’imbarazzo.

C’è, dunque, qualcosa di interamente nuovo oggi nel sole. E la risposta dell’Iran all’attacco di Netaniahu lo sta dimostrando. Anche se, siatene certi, voi che avete una buona esperienza della disinformazione sionista e occidentale, che Tel Aviv non ce la racconterà mai giusta. Ho già ricordato sopra gli sforzi fatti per occultare gli effetti disastrosi delle incursioni iraniane sulle sue basi aeree all’indomani delle precedenti rappresaglie iraniane nel 2024.

 Gli impareggiabili colpi inferti dall’intelligence sionista a chi definisce nemici, quali i già citati cercapersone fatti esplodere nelle orecchie di gran parte dei quadri di Hezbollah, non sembrano più impareggiabili. Anche se la decapitazione, riuscita anche stavolta, dei dirigenti massimi delle forze armate e della ricerca scientifica iraniane denota una perdurante debolezza del controspionaggio di quel paese, come già dimostrato nelle uccisioni di esponenti difficilmente sostituibili, come il vincitore dell’ISIS in Iraq, generale Kassem Soleimani, o lo stesso segretario generale di Hezbollah, Nasrallah.

L’indiscutibile superiorità del Mossad nell’individuare e reclutare su terreno nemico elementi insospettati e in grado di fornire indicazioni per operazioni di tale efficacia, nulla toglie, tuttavia, alla rottura senza precedenti dell’inviolabilità dei segreti nucleari israeliani riuscita all’Iran nelle settimane precedenti alla furibonda reazione israeliana e che sarebbe stata in grado, di rafforzare enormemente le capacità offensive dell’Iran.

Trattasi di uno dei colpi più grossi che geni dei servizi segreti, dal generale Reinhard Gehlen, capo spione di Hitler, passato alla CIA (migliore offerta rispetto alle altre cento), ad Allen Dulles, di quel servizio l’onnipotente supremo, ai conclamati primatisti cosmici del Mossad, abbia potuto sognare. Un colpo che, però, grazie all’incredibile capacità di Israele, con i soliti “aiutini”, di reagire in tempi brevissimi, l’Iran ha dovuto pagare con il pesante prezzo dell’attacco israeliano sul suo personale militare e sul proprio potenziale industriale.

La sfortunata fuga di notizie sulla sottrazione dei suoi più preziosi documenti nucleari, relativi ai propri centri di ricerca, le proprie capacità di offesa e gli obiettivi da colpire, ha consentito al governo israeliano di colpire prima che Tehran avesse provveduto, probabilmente anche a seguito di una certa farraginosità del processo decisionale, a prevenire gli effetti letali di un attacco israeliano.

Resta la novità dell’underdog che fa fesso il Rottweiler. Il Rottweiler che però scatta prima che l’underdog si sia reso attrezzato ad approfittare del proprio successo. Un aspetto, questo, del confronto nei cieli due paesi di cui nei media non fa fino parlare. Dell’Iran nel nostro emisfero è lecito e doveroso dire tutto il male possibile, premettendo comunque sempre, come vuole la vulgata di Netaniahu, che si tratta di dittatura retrograda, debole, dalla presa sulla propria società in forte crisi di tenuta.

Ad ammettere che questi turbanti barbuti abbiano potuto fare fesso il migliore servizio di spionaggio e di killeraggio del mondo, si rischierebbe la celebre scoperta del ragazzino: “Il rè è nudo!”, o quella di Mao che aveva bollato di cartacea la natura della tigre. Constatazione scoraggiante per chi, in Israele, come dalle nostre parti, si figura, anche in virtù dei celebrati e vociferanti espatriati dissidenti, un regime sull’orlo del tracollo in occasione di ogni elezione pur vinta dalle forze di sostegno alla repubblica islamica e regolarmente e invano contestata dall’immancabile rivoluzione colorata.  Scoperta che non solo incoraggerebbe i palestinesi e le persone civili tutte, ma scaverebbe la fossa a un’impunità di Israele di diretta derivazione dalla sua invincibilità.

Quell’agenzia Onu, quella Gladio e quel memorandum d’intesa

Per la prima volta in decenni, l’AIEA, nella persona del suo discutibile direttore generale, Rafael Grossi, evidentemente sotto inconfessate pressioni, aveva adottato una risoluzione che condannava l’Iran per “il mancato rispetto dei suoi obblighi nucleari”. Era il pretesto che, alla fregola di guerra dei millenaristi sionisti e di Trump, era necessario per fare il passo che, secondo l’apprezzato analista geopolitico Jeffrey Sachs ci ha avvicinato come mai prima alla terza guerra mondiale.

Rafael Grossi Direttore AIEA

Era puro esercizio retorico poi, quello di Grossi, quando si sbilanciò a menzionare i pericoli alla pace che l’attacco israeliano faceva correre al mondo. Si ricordi, di questo funzionario ONU, anche i ripetuti sforzi di esonerare gli ucraini dai pericoli fatti correre con i propri missili all’integrità della centrale di Zaporizhzhia sotto controllo russo.

Tornando ai bollettini emanati dall’AIEA dopo ogni controllo nelle centrali iraniane, dobbiamo ricordare che per un ordigno nucleare ci vuole l’arricchimento dell’uranio al 90%. Tehran si era limitata al 3,5 % in osservanza del trattato concluso con Obama e, quando questo era stato revocato, era salita al 20% e poi al 60%, utile e necessario per produrre energia a fini civili. Tutto regolarmente confermato dall’AIEA. Va vieppiù precisato che l’Iran ha firmato a suo tempo il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, cosa che gli consente di arricchire l’uranio a fini civili e di respingere il relativo divieto di produrre energia nucleare a fini pacifici dei due zombie con i denti a sciabola.

Va ricordato che i protocolli segreti firmati dall’Italia con NATO e Israele e che furono alla base dell’operazione terrorista Gladio, protrattasi per i primi decenni del dopoguerra e, forse, mai cessata (vista la successione di stragi e visto chi abbiamo al governo), sembrano tuttora vigenti e operativi. Ne risulta spiegata la patente complicità del regime Meloni con quanto questo nostro alleato va compiendo a Gaza, in Cisgiordania e in giro per il mondo e che, pure, da altri alleati europei viene perlomeno stigmatizzato a parole. A queste clausole segrete del Memorandum tuttora in atto tra i due Stati, si fece ricorso anche quando Mordechai Vanunu, fuggito da Israele, fu rapito in Italia nel 1986 grazie alla plateale collaborazione dei nostri Servizi.

Dato che analisi e previsioni possono divertirsi, in questo contesto, a rimbalzare tra il probabile, il possibile e il loro contrario, resta da precisare che quanto rimane in piedi, nel tragico bailamme mediorientale, è ciò che dice il diritto internazionale. A dispetto della sua accanita messa in discussione da parte di Stati Uniti e Israele.

Il presidente USA minaccia bombardamenti sull’Iran per attività che l’Iran è autorizzato a svolgere a termini del Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Trattato che garantisce a tutte le parti il diritto inalienabile di effettuare ricerche finalizzate a sviluppare, produrre e utilizzare energia nucleare a scopi pacifici. Il “diritto inalienabile” comprende quello di arricchire l’uranio. E’ dal 2003 che Tehran mantiene una stretta osservanza di tali regole.

Cosa concludere?

E’ evidente, fin dalle guerre ai grandi Stati arabi, Iraq, Libia, Siria, prossimamente Egitto, il disegno sionista di riplasmare l’intera regione nel segno di una incontestabile egemonia militare, politica, economica e tecnocratica israeliana. Un progetto, formulato da Oded Yinon in termini di documento ufficiale alla fine degli anni ’80, che gode del decisivo sostegno statunitense, garantito fin qui dall’assoluto predominio industriale e finanziario della lobby ebraica. Un progetto in rapida fase di attuazione, a rischio calcolato di una guerra mondiale con tanto di apocalisse finale. Come del resto codificato dal millenarismo biblico di cui gli attuali invasori caucasici-indoeuropei della Palestina si proclamano continuatori ed eredi.

Forse, una società israeliana già profondamente lacerata, non tanto sulla questione del genocidio, quanto su quella degli ostaggi e dell’integrità del suo premier, produrrà sussulti al punto da mutare la fisionomia dello stato di cose presente. Non pare del tutto imprevedibile un’implosione dello Stato sionista, alla luce di sviluppi che, tra contestazioni interne e minacce ineliminabili esterne, ne mettessero in forse la stabilità, gli investimenti e, soprattutto, sostituissero l’emigrazione a quell’immigrazione, che finora, a fatica, ha contenuto la prolificità palestinese e araba e ha quindi, in prospettiva, prospettato una micidiale sconfitta demografica.

Resta significativa la fuga di cittadini di recente immigrazione a seguito della seconda Intifada, nei primi anni 2000. Un fenomeno ripetutosi in Alta Galilea dove, per evitare di tornare per mesi nei bunker in fuga dai missili di Hezbollah, decine di migliaia di coloni avevano lasciato i propri insediamenti e finor non vi sono tornati.

Forse, visto che la sconfitta di Israele nella guerra contro Hezbollah del 2009, la sua quasi crisi mortale nella guerra del Kippur, la sua incapacità a Gaza, contro Hamas, di mettersi sotto i piedi, non solo una caterva di cadaveri di bambini, ma l’intera striscia, non erano bastati a convincere il colto e l’inclita che lo Stato sionista non è dopotutto invincibile, e dunque impunito, qualche luce in fondo al tunnel si potrebbe accendere.

 

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