Giannini e il manuale del giovane servo neo-liberista
di Paolo Desogus*
Il premio all’editoriale più miserabile di oggi va a Massimo Giannini, direttore della Stampa. Non sto ad elencare le sciocchezze che ha scritto, tanto sono sempre le stesse.
Sono quelle contenute nel manuale del giovane servo neoliberista. Mi limito ad osservare che nelle ultime righe Giannini cita Fukuyama, autore noto per il suo “La fine della storia e l’ultimo uomo” del 1991. Ora, chiunque si sarà preso la briga di leggere questo volumone di filosofia spicciola e raccogliticcia, si ricorderà delle tante pagine spese per raccontare le magnifiche sorti progressive dell’Occidente liberale e delle sue istituzioni, tra cui la Comunità europea. Il libro prefigura un mondo capace di garantire un benessere esteso e razionale, sostenuto da un grande progresso liberale. Domanda: sono passati trent’anni dall’uscita di quel libro, la promessa liberale di benessere, di progresso e in definitiva di una nuova civiltà dov’è finita?
Per carità, abbiamo sempre saputo - almeno chi all’epoca era di sinistra - che quelle erano fandonie. E tuttavia per comprendere il processo di consolidamento dell’egemonia neoliberale bisognerebbe individuare il momento in cui l’idea di benessere si è trasformata in austerità, in necessità di sacrifici, in cinghie da stringere, in debiti da pagare. Anche l’Europa nasceva sull’idea che avremmo lavorato un giorno in meno guadagnando di più (Prodi). Dove è finito tutto quel benessere?
Giannini o meglio i suoi padroni (Giannini non conta nulla) hanno poco da strepitare contro il “populismo” o il “sovranismo”. Sono gli artefici di una civiltà basata su una promessa materiale che non sono in grado di mantenere, sostituita dai principi ideologici dell’austerità e dell’ingiustizia istituzionalizzata. Possono girarla come vogliono, ma un’Europa così non regge con Recovery fund o senza.
*Professore alla Sorbona di Parigi