Il curioso caso dei "Vip" che si scagliano contro il reddito di cittadinanza

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Il curioso caso dei "Vip" che si scagliano contro il reddito di cittadinanza

 

«Felicità è un bicchiere di vino con un panino, la felicità» così cantava e canta da una vita con un repertorio che a parte piccole variazioni è lo stesso da sempre. Al Bano, il cantante che oggi parla di lavoro, di misure di sostegno al reddito, di occupazione. Farebbe ridere già così, se non fosse la punta di un iceberg che risponde a logiche ben più profonde e consolidate, assai radicate, come metastasi di un tumore che sta lentamente ma inesorabilmente stritolando il paese.

Non è felice Al Bano, lamenta di non trovare lavoratori che coltivino i suoi poderi e attribuisce la colpa proprio al reddito di cittadinanza (che, come più volte fatto notare, è tutt’altro che un reddito di “cittadinanza”). Senza entrare nel merito delle politiche retributive che adotta nella sua azienda, non le conosco, è bene partire da un punto fermo, quantomeno quello che fu di partenza: perché un mercato del lavoro funzioni, all’interno del quadro disegnato dalla nostra Costituzione, non basta un «bicchiere di vino con un panino».

Esiste un articolo della Costituzione, il 36, che esprime un concetto semplicissimo, che non necessita di alcuna parafrasi: «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».

Esiste dunque una relazione tra retribuzione e libertà, tra retribuzione e dignità.

Al Bano, tra una strimpellata e l’altra, avrà certamente avuto modo di verificare che (“che”, appunto, non “se”) l’Italia è l’unico paese europeo nel quale i salari registrano una contrazione a partire dal 1990 (del 3% circa). Non è poco. Bene sottolineare ancora che il caso italiano sia unico in Europa e che, nel frattempo, nei «paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) il salario medio annuale è più che triplicato negli ultimi 25 anni, mentre in alcuni paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Slovacchia) è raddoppiato». Meglio anche chi solitamente è presentato come più fragile «a partire dalla Grecia che, tra il 1990 e il 2020, ha messo a segno un +30,5%, mentre la Spagna è cresciuta del 6,2%» (Milanofinanza.it).

Focalizziamo poi l’attenzione su un dato: queste statistiche tengono conto di quanto è alla luce del sole, di quanto ufficialmente rilevabile, misurabile, certificabile. Nel nostro paese la piaga del lavoro nero è diffusissima e purulenta, senza contare il fenomeno del lavoro gratuito, imposto in particolare alle giovani generazioni come vero e proprio ricatto dietro la promessa di una stabilizzazione. La situazione dunque è persino peggiore di quella descritta dalle statistiche ufficiali.

Al cantante non basta, lui è infelice, non trova lavoratori. Eppure, qualcosa nella sua versione non torna, andiamo un pochino più a fondo.

Si, perché Al Bano è convintissimo che il problema sia facilmente individuabile, il reddito di cittadinanza: in poche parole la solfa è sempre la stessa, quella secondo la quale gli italiani non avrebbero voglia di lavorare, preferirebbero starsene in divano a poltrire, ciucciando dalla tetta dei sussidi dal dolce sapore di assistenzialismo.

Ricordiamo però a quanto ammonta il beneficio della misura di sostegno al reddito: se ti va bene (nucleo familiare composto da una sola persona) percepisci 500 euro al mese. Se ti va male (nucleo familiare composto da tre adulti e due minori) ogni persona avrà diritto alla bellezza di 210 euro a testa (1050 al mese per tutta la famiglia). Nel caso in cui nel nucleo familiare appena citato ci fosse una persona con grave disabilità o non autosufficiente, l’importo pro-capite salirebbe a 220 euro (verificate qui: https://www.redditodicittadinanza.gov.it/schede/come-si-calcola). Poco più di un bicchiere di vino con un panino in effetti, Al Bano non ci comprerebbe nemmeno uno dei suoi cappelli, ma per lui questa misura resta da abolire: gli italiani ne sarebbero tanto appagati da decidere di rinunciare al lavoro.

Qualcosa però, appunto, non torna: se i tanti vip, che frignano per assenza di forza lavoro, garantiscono abitualmente (come dicono… e facciamo che ci crediamo) retribuzioni dignitose e contratti adeguati (quantomeno “decenti” e i parametri oggi sono davvero assai poco ambiziosi, purtroppo) davvero non si spiega come sia possibile il mancato incontro tra domanda di lavoro (vip) e offerta di lavoro (lavoratori). Se domanda e offerta non si incontrano le possibilità sono necessariamente solo due, al netto delle asimmetrie informative che rilevano marginalmente: o i lavoratori chiedono troppo (ma questo non è possibile, dal momento che (come sostenuto da Al Bano) si accontentano di 210 euro al mese) oppure i vip non offrono adeguati riconoscimenti. Tutto questo prescindendo dal fatto che non di sola retribuzione si può vivere, ma di appagamento, di patrimonio professionale, di crescita individuale e di altra roba che il divano di casa non può garantire.

Una ulteriore riflessione credo sia davvero necessaria, perché qua di fessi non ce ne sono proprio.

In effetti è curioso che improvvisamente si sia alzato un coro pressoché unanime di personaggi famosi (non è necessario citarli, hanno fatto discutere ampiamente nei giorni scorsi) che azzannano alla giugulare la specifica misura del reddito di cittadinanza. È curioso anche perché queste stesse figure nulla hanno da dire sui morti sul lavoro (circa duemila famiglie distrutte nel 2021), sul precariato (oggi ai massimi storici con più di tre milioni di precari) e via discorrendo. Non sarebbe la prima volta, ipotizzo ovviamente, che un regime si avvalga di figure dello spettacolo per orientare, condizionare quantomeno, l’opinione pubblica: è un gioco vecchio, con regole già viste made in USA.

Alla guida del paese c’è un governo imposto, tecnocratico e privo di qualsivoglia legittimazione politica, minoritario su questioni importantissime quali la guerra, di spiccatissima vocazione neoliberale, animato dall’unico scopo di liquidare il paese e di picconare la Costituzione: come tale è debole e nessuno può escludere che desideri avvalersi dell’aiuto di qualche icona nazional popolare.

Savino Balzano

Savino Balzano

Savino Balzano, nato a Cerignola nel 1987, ha studiato Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Perugia. Autore di "Contro lo Smart Working" (Laterza, 2021) e di "Pretendi il Lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi" (GOG, 2019). Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro, collabora con diverse riviste.

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