Incontro Meloni-al Jolani: come si legittima un (ex?) terrorista
Tra cooperazione sulla ricostruzione siriana e il "restyling" del leader di HTS: come un jihadista con un passato nell'orbita di Al-Qaeda entra nei palazzi della diplomazia internazionale.
di Francesco Fustaneo
La partecipazione della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla settimana di alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York è stata segnata da un incontro bilaterale che non può che suscitare profonde riflessioni di carattere politico ed etico.
Nel corso dell'evento, la Meloni ha infatti incontrato Ahmed Al Sharaa, meglio noto come Abu Mohammed al-Jolani, l’autoproclamatosi Presidente della Repubblica Araba Siriana e precedentemente capo indiscusso di Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), la formazione che controllava a suo tempo la provincia siriana di Idlib. Secondo la ricostruzione ufficiale fornita da una nota di Palazzo Chigi, il colloquio è stato un’occasione per ribadire il sostegno dell’Italia alla ricostruzione di una Siria futura, descritta nelle dichiarazioni come "stabile e sovrana". Nel rendere noti i contenuti della discussione, il governo italiano ha sottolineato l’intenzione di favorire investimenti da parte di aziende italiane in molteplici settori di reciproco interesse, ha valorizzato gli impegni già assunti per attività di cooperazione allo sviluppo e ha condiviso la necessità di lavorare su temi cruciali come l’inclusione sociale, la tutela delle minoranze – con un specifico riferimento alla comunità cristiana – e la promozione di condizioni per un ritorno volontario e sicuro dei rifugiati siriani.
Tuttavia, al di là del linguaggio cautelativo e delle formule di prassi della diplomazia, questo incontro rappresenta un atto di grande significato politico, poiché equivale a una formale legittimazione internazionale di una figura con un passato di terrorista jihadista. Al-Jolani, infatti, non è un presidente emerso da elezioni democratiche, ma un capo militare esponente di gruppi religiosi estremisti, la cui autorità deriva dalla forza delle armi e da un curriculum profondamente oscuro. Come puntualmente evidenziato, il suo "pedigree" è quello di un esponente di primo piano del jihadismo internazionale: prima alla guida di Jabhat al-Nusra, la branca siriana di Al-Qaeda, e successivamente alla testa di HTS, organizzazione che ancora oggi è classificata come terroristica da numerosi paesi e organizzazioni internazionali. La sua presenza ai margini dell'Assemblea ONU e il fatto che sia ricevuto al massimo livello da un leader di un paese fondatore dell'Unione Europea come l'Italia, costituisce solo l’ultimo tassello di un meticoloso processo di "restyling" della sua immagine. Questo processo non è una novità assoluta ma rientra in una strategia più ampia, già messa in atto a partire dallo scoppio della guerra civile siriana nel 2011, tesa a rendere presentabili agli occhi dell'opinione pubblica occidentale quelle formazioni ribelli i cui metodi e ideologie erano inizialmente indistinguibili da quelli dei gruppi terroristici, con l'obiettivo finale di favorire il rovesciamento del governo di Bashar al-Assad, che pur con tutte le sue criticità aveva in sé ancora residui di istanze socialiste, un’idea di sovranità e anti imperialismo ed era comunque un baluardo di laicità nell’area.
Precedentemente l’invito istituzionale che Al-Jolani ha ricevuto a Parigi lo scorso maggio alla presenza del Presidente Emmanuel Macron aveva già segnato l’accelerazione verso la significativa normalizzazione. L’incontro con Giorgia Meloni alla ONU rappresenta dunque un solido sigillo di legittimità perpetrato ora da chi rappresenta lo Stato Italiano. Il paradosso, o forse la contraddizione, risiede proprio nel contrasto stridente tra il contenuto delle rassicuranti dichiarazioni ufficiali – che parlano di stabilità, sovranità e diritti umani – e la natura del soggetto con cui si sta trattando e del sistema di potere che egli rappresenta . Discutere di ricostruzione, investimenti e protezione delle minoranze con un individuo la cui milizia è stata responsabile di atrocità e la cui ideologia è storicamente antitetica a quei valori, significa accettare una profonda revisione dei principi che dovrebbero guidare la politica estera. In conclusione, al di là delle giustificazioni pragmatiche dettate dalla complessa situazione siriana e dalle geopolitica mediorientale, l’evento sancisce un punto di non ritorno: la trasformazione a cui anche il nostro Paese si presta, di un ex terrorista jihadista in un interlocutore riconosciuto a livello diplomatico.