La Fase 2 del mercato

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La Fase 2 del mercato


di Paolo Desogus*


La Fase 2 è evidentemente al di sotto delle aspettative di molti. C'è chi sperava che saremmo tornati alla normalità, alle vecchie abitudini. Ma il governo ha dato segni molto contraddittori, ha creato false aspettative, si è mangiato ipotesi e possibilità che sino a un attimo prima aveva dato per certe. È stato insomma schizofrenico, anche perché del comportamento del virus si sa ancora molto poco.

D'altra parte si tratta di un governo nato fragile, sostenuto principalmente da due forze politiche molto diverse, deboli sul piano politico-culturale ed espressione di interessi sociali contraddittori, specie il PD.

Ora, non sono in grado di valutare gli aspetti tecnici della Fase 2 discussa ieri da Conte. È tuttavia chiaro che il governo teme che l'epidemia possa riesplodere in un contesto in cui la crisi economica si avvicina sempre di più e rischia di produrre effetti sociali inimmaginabili. È questo il motivo per cui la Fase 2 riguarda per lo più il lavoro. Occorre tornare a produrre, riaprire le fabbriche, riaccendere le macchine. 

È la logica del capitalismo, il cui ordine non dipende da questo governo, ma dipende dalla scelta che il paese ha intrapreso circa trent'anni fa, ovvero di abbandonare l'economia mista e rinunciare alle proprie prerogative politico-economiche: battere moneta, intervenire sul debito e sull'economia, programmare come produrre e cosa produrre.

Più il paese è esposto al mercato e più il mercato comanda infischiandosene del diritto, delle libertà civili e soprattutto delle libertà collettive. Il mercato ora dice che dobbiamo produrre e riprendere a consumare. Si trova tuttavia in una pesante contraddizione perché allo stesso tempo ci dice che dobbiamo salvaguardare la salute individuale. E questo non perché essa sia considerata importante, ma perché un ritorno dell'epidemia potrebbe provocare una nuova chiusura e dunque un suo nuovo arresto. Il mercato non se lo può permettere.

Condivido dunque chi dice che stiamo perdendo la nostra libertà. Occorre però una precisazione, la stiamo perdendo perché l'abbiamo ceduta non a un potere statuale che ne abusa, ma al potere del mercato che si serve del potere statuale per i propri scopi. Proprio per questo è necessario vedere con attenzione alle trasformazioni in atto e cioè alla gabbia del debito che la logica del mercato sta costruendo intorno all'Italia. Mentre tutte le banche centrali del mondo stampano moneta, tutte, la nostra no, non può farlo nella misura necessaria, a causa delle assurde regole dell'Unione Europea, progettata non per essere una federazione di stati, ma per essere quello che è ora, cioè un campo di competizione tra stati nazionali sulla base delle regole di Maastricht. Di fronte a questa crisi l'UE ci dice che per andare avanti possiamo solo aumentare il debito a condizioni umilianti e oltretutto in misura del tutto insufficiente. Recovery fund o coronabond sono fantasie: non esistono e comunque sarebbero sempre debito, seppure offerto a condizioni migliori.

Ecco, se oggi sentite tutto il peso di una condizione di oppressione per via di una Fase 2 al di sotto delle aspettative, cominciate a riflettere a quali debbano essere le alternative di fronte allo scenario di un mercato che con la leva del debito deciderà non soltanto se possiamo uscire di casa o meno, ma quanto dovremo lavorare, a quali condizioni, con quali salari da fame. Deciderà se la nostra sanità e la nostra scuola potranno rimanere pubbliche. Deciderà se lo stato può ancora tenere le proprie aziende pubbliche, che in larga parte sono dei gioielli visto il fatturato e il livello tecnologico (Terna, Finmeccanica, Fincantieri, Leonardo e altre). Deciderà della nostra vita più di quanto faccia ora. Sarebbe allora il caso di uscire da questa ignavia che ci fa credere a mondi che non esistono e a federazioni che non nasceranno mai.

* Professore alla Sorbona di Parigi

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