La meglio gioventù italiana, attiva e pimpante, ha sbagliato battaglie e calcoli delle priorità

La meglio gioventù italiana, attiva e pimpante, ha sbagliato battaglie e calcoli delle priorità

Tutta questa fatica non sposta niente, non riporta all'essenziale, non porta l'essenziale, non soddisfa alcun bisogno primario

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di Mariangela Cirrincione
(@mari_cirri)
 
Uno dei pezzi più allegri e azzeccatissimi che offrono uno spaccato preciso del nostro tempo letto negli ultimi tempi si intitola “Le start up hanno rotto il cazzo”. Dal titolo, colorito quanto efficace, si intuisce che la critica è rivolta alla “retorica fighetta e esterofila”, al giovanilismo compulsivo e alla ricerca spasmodica dell’innovazione che porta sovrabbondanza di puttanate”, al fatto insomma che qualcuno si è convinto che chiamando in inglese cose che esistono in italiano, queste siano diverse e più gustose, o che consistano addirittura in veri e propri cambiamenti epocali. Il valzer delle menzogne linguistiche divide così la meglio gioventù italiana tra choosy (scimuniti) che non hanno capito niente, e iniziatori di cambiamenti a forza di apps, meeting, “spazi di coworking”, barcamp, meetup, imprenditoriali, locali, ma sempre epocali, che hanno capito tutto.
 
Il sentimento che suscita, nell'autore del pezzo citato come in noi, la santificazione delle start up (che sono quelle cose che un tempo si chiamavano 'nuove imprese' e il fatto che oggi si dicano gustosamente start up non le toglie ad esempio dai guai burocratici che in Italia si devono passare per potere diventare “imprenditori”) è assolutamente identico nel nostro universo populisteggiante a quello suscitato da un'altra santificazione democratica: quella dell'attivista, del movimentista, del gazebo e del banchetto della partecipazione.
 
Non ci limiteremo tuttavia a dire che l'entusiasmo dei salvatori del mondo che fioriscono nelle nostre piazze al posto delle aiuole ci abbia seriamente stancato. Occorre dire di più. Intanto, occorre guardare dove vada l'attivismo dei tempi nostri. E se è vero che tutti vanno da qualche parte, di contro nessuno sa realmente dove andare, nel senso che, c'è un problema di precedenza, un eccesso di istanze, tutte logiche, ma poche utili. Tutte potenzialmente condivisibili e nessuna condivisa. Una confusione di livelli, un pasticcio di interessi, nell'associazionismo come nella militanza che si suole differenziare come politica in senso stretto. Su questo punto, torneremo più avanti.
 
Poi succede che una madre con un bimbo in grembo metta a letto gli altri due bambini per impiccarsi in una casa non più fornita di gas a causa della morosità. I giornali raccontano di un tentativo di sfratto numero tre. Duole il cuore. Sui social tutti sono sconvolti e indignati. Esci e vai a fare la spesa. Per strada ti imbatti nel banchetto degli amici dei delfini, più avanti nel comitato di quartiere per l'ADSL, all'uscita, mentre trascini la spesa ti accorgi del cassone per la raccolta degli abiti usati per bisognosi o per il riciclo, poi l'annuncio per trovare casa agli amici a quattro zampe, nonché l'invito alla serata multiculturale pro sud del mondo. Nella cassetta della posta il foglio di presentazione dei pastafariani fa compagnia al movimento degli atei ed agnostici, nella casella di posta elettronica petizioni bene selezionate per il tuo palato perché il web sa cosa mangi.
 
Ci siamo così convinti che in Italia ci siano più movimenti animalisti che movimenti per la lotta alla casa, più ong della multiculturalità che macchine di solidarietà in cui essere italiano non sia un deterrente, senza per forza ricorrere, e nemmeno dinanzi alla gente comune strozzata dalla povertà che rinuncia alla vita propria e a quella del proprio bambino, a slogan selettivi del tipo “prima gli italiani”. E questa convinzione, certamente beceramente populista per quelli delle analisi raffinate, politologiche, antropologiche, sociologiche de noantri, è anche difficilmente supportabile statisticamente. E poco ci importa, avendo scelto noi, stavolta di mantenerci leggeri. Fatta eccezione per qualche tentativo di studio regionale o locale, è davvero difficile dimenarsi nel complesso mondo dell'attivismo.

Non tutte le associazioni sono registrate, quelle che lo sono non è detto che siano attive, comitati e delegazioni fioriscono e sfioriscono come belle di notte (che sono fiori) talora in un limbo di inconoscibilità. Per non parlare di quanto accade nei partiti, dove di tanto in tanto i tesserati sono di più dei votanti e gli argomenti sensibili sono dettati dal moto ondoso dei guai sociali del momento.

L'Istat nel 2014 dice che gli italiani partecipano sempre meno alla vita sociale e che la fiducia nelle istituzioni diminuisce sempre di più, ma forse, avendo avuto ragione Grozio con il suo appetitus societatis, l'uomo medio (che non sappiamo chi sia, ma ci piace usare quest'espressione modaiola) continua a fare comitato, tesserarsi, parteggiare, raccogliere firme, e incontrarti per strada. Lì in quel posto dove, per definizione, “dal basso”, prende corpo e forma la partecipazione.  Partecipazione sacrosanta, se questa fosse ancora una democrazia, e se questo popolo sapesse dove andare. Invece, va dovunque senza andare da nessuna parte, se una quaruntunenne madre si appende al soffitto perché pagare non può più e nessuno se ne accorto.
 
Tutta questa fatica non sposta niente, non riporta all'essenziale, non porta l'essenziale, non soddisfa alcun bisogno primario. La casa, la sicurezza, la rappresentanza reale, la solidarietà non farlocca e la tutela dei bambini, che sono il nostro futuro biologico, ma non solo. Quindi, non fatichiamo più. Gli attivisti tornino nel proprio giardino. È ora di smetterla, se è questa l'Italia prodotto di cotanta sensibile operosità. Nella “locomotiva d'Italia” dal 2011 ad oggi il numero di “suicidi per crisi” ha superato quota 100. L'emergenza è tale da aver condotto il governo regionale all'istituzione di un servizio telefonico anti-suicidi che riceve in media 50 chiamate al mese e che segue, secondo i dati di giugno 2015, bene 318 casi a rischio.
 
I più recenti dati Istat evidenziano un aumento della fragilità economica delle famiglie, e già il rapporto sulla povertà del 2013 notava come «L'incidenza della povertà assoluta cresce tra le famiglie con persona di riferimento con titolo di studio medio-basso (dal 9,3 all'11,1% se con licenza media inferiore, dal 10 al 12,1% se con al massimo la licenza elementare), operaia (dal 9,4 all'11,8%) o in cerca di occupazione (dal 23,6 al 28%); aumenta anche tra le coppie di anziani (dal 4 al 6,1%) e tra le famiglie con almeno due anziani (dal 5,1 al 7,4%): i poveri assoluti tra gli ultrasessantacinquenni sono 888 mila (erano 728 mila nel 2012)».
 
In Italia sempre più persone insomma la spesa la fanno nei cassonetti, ma – si dice – sono solo delle eccezioni strumentalizzate dai populisti, delle minoranze, e i ristoranti sono sempre pieni. Così guai a dire come ha fatto un Don Mazzi che non ci piace molto, ma qui ha ragione, che è meglio dare soldi per sfamare le persone che ai canuzzi e ai gattuzzi, che apriticielo! L'attivista, in questo caso il salvatore del mondo animale, punta dritto al fulcro della sua battaglia, non vede nient'altro, identifica Don Mazzi nel male, e corre a organizzare la sua resistenza social all'ultimo sputo di fango. Gli animali vengono prima di qualunque altra cosa, perché l'ha deciso quando si è scelto una fede, cosa puoi saperne di più tu?!
 
E così gli pseudo diritti civili delle minoranze (comprese quelle caldeggiate dalle lobbies più indegne) vengono prima di quelli dei bambini (che per noi vengono prima di tutto), e il politicamente corretto e il linguaggio degli asterischi e delle memorie del bisogno vengono prima della libertà di espressione e di ricerca, quindi guai a parlare ancora al maschile o al femminile o a provare a guardare la storia (che non è più) in chiave di revisionismo. All'attivista della resistenza (quella sua personale) così hai offeso la madre e non sai nemmeno cosa ti aspetta. Insomma, mentre il mondo va così, e lotta non più per il pane che era concretezza e la conservazione, ma per l'inafferrabile, mentre Magalli e LaRepubblica ci raccontano la nuova vita della coniglietta Hope, coniglietta “disabile per i maltrattamenti subiti in un allevamento ligure” di nuovo felice grazie ad un carrello sostitutivo degli 'arti inferiori'(?) e la cui padrona su Rai 2 assicura che adesso si sente uguale agli altri conigli (non ha più complessi di inferiorità?!), insomma, mentre Hope corre felice, quest'Italia muore. O è già morta.
 
Poi c'è l'attivista che “il movimento prima di tutto” e guai a chiamarlo partito, o il tesserato nel partito più sfracellato della storia, partito già da un pezzo, ma guai a non chiamarlo 'partito', poi c'è il berlusconiano col sorriso stampato in faccia dal '94, «l'Italia è il Paese che amo, non voglio vivere in un Paese illiberale», e c'è Il Manifesto che fuffa campagne sciocche pro Grecia quando da anni carezza la sinistra serva del capitalismo, capitalismo vero responsabile del disastro economico greco e presto italiano, spagnolo, ecc, e il quadro potete riempirlo come vi pare, giacché tutte le istanze, anche quelle agli antipodi finiscono per somigliarsi, e sovrapporsi in un'unica certezza. Non spostano davvero nulla. C'è insomma gente, che non si è accorta di nulla e lotta per il nulla e spreca fatica, mentre le madri si appendono. La meglio gioventù italiana, attiva e pimpante, ha sbagliato battaglie e calcoli delle priorità. Ed è ora di farla finita.

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