La (sospetta) tempistica della traccia ucraina nel sabotaggio ai North stream 1 e 2

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La (sospetta) tempistica della traccia ucraina nel sabotaggio ai North stream 1 e 2

 

di Fabrizio Poggi

 

Non è certo un mistero per nessuno che le cosiddette “operazioni di polizia” (o dei carabinieri: non è questo il punto), nonostante vengano quasi sempre presentate come colpi portati a termine grazie a “circostanze fortuite”, verificatesi all'ultimo momento, nascondono in realtà tempistiche ben più ampie e, soprattutto, rispondono a logiche politiche che ne decidono modalità e cronologia.

Ora, stando alle cronache, anche dei fogli di regime, gli spostamenti in giro per l'Europa dell'ucraino Sergej Kuznetsov, uno dei sei elementi coinvolti nell'affare del sabotaggio ai North stream 1 e 2, erano seguiti da tempo dalle polizie di vari paesi e il fatto che si sia proceduto solo pochi giorni fa al suo arresto non è certo dovuto alla circostanza di volerlo cogliere, come si dice, stravaccato in pigiama su una spiaggia riminese. La tempistica dell'operazione risponde a una precisa logica “europeista”, legata con ogni probabilità ai piani di liquidazione (forse non ancora fisica) del jefe de la junta nazigolpista ucraina, Vladimir Zelenskij.

A parere dell'osservatore militare Konstantin Sivkov, si tratterebbe di uno “scambio” proposto dalle cancellerie europee a Mosca, per cui si offre la defenestrazione di Zelenskij, in cambio del consenso russo a delle “semplici” condizioni: L-DNR restano alla Russia per intero; le regioni di Kherson e Zaporož'e solo per metà. Ma, per giustificare l'eliminazione di Zelenskij e della sua banda, è necessario creare una parvenza di legalità, così che l'arresto di Kuznetsov potrebbe costituire il prologo di una campagna per mettere sotto accusa Zelenskij e i suoi, in particolare il SBU, nella persona di Kirill Budanov.

Gli americani possono non aver problemi a disfarsene; diverso per Valerij Zalužnyj, ex comandante in capo delle Forze armate e spedito poi “in esilio” a fare l'ambasciatore a Londra; è sì più legato ai britannici, ma «non si è sporcato le mani ed è una figura più moderata»: gli americani possono acconsentire a una figura come la sua. In Alaska, dice Sivkov, Mosca ha posto le proprie condizioni; Trump si è affrettato a «risolvere la questione con l'Europa e il fatto che ora stiano decidendo di liquidare Zelenskij e la sua cerchia è, tra le altre cose, il risultato del lavoro di Trump con l'Europa e Zelenskij». Per inciso, secondo The Guardian, non è passata inosservata la recente telefonata del vice Presidente James Vance a Zalužnyj.

Più o meno la stessa opinione è espressa su Komsomol'skaja Pravda da Evgenij Umerenkov, secondo il quale a Bruxelles si comincerebbe a sentire il bisogno di moderare l'insolenza di Zelenskij e l'arresto di un ex capitano del SBU, dunque della cerchia di Budanov-Zelenskij, farebbe proprio al caso, indirizzando la responsabilità dell'attacco al gasdotto verso i golpisti di Kiev. Ora, con la Germania quale suo principale sponsor europeo, Kiev è tutt'altro che interessata a che la versione di una "traccia ucraina" nel sabotaggio venga nuovamente alimentata. Ma è stata proprio la Procura federale tedesca a indicare Kuznetsov quale uno dei coordinatori dell'operazione, quantunque con una formulazione non proprio “tipica” delle dichiarazioni giudiziarie: «a quanto pare».

Dunque, che senso ha rilanciare proprio ora la versione della traccia ucraina? Appare quantomeno “originale” la versione secondo cui una manciata di persone, su uno yacht di 15 metri, con un esborso di appena 300.000 dollari, siano riuscite a mettere fuori uso il Nord Stream, un progetto in acque profonde costato miliardi. Nessuno ha finora mai seriamente messo in discussione la versione del giornalista americano Seymour Hersh, basata su rivelazioni di funzionari dell'amministrazione Biden, secondo cui i gasdotti erano stati minati dagli americani durante manovre militari; poi i norvegesi avevano fatto esplodere le cariche. Semplicemente, tale versione viene messa in sordina in ogni modo possibile.

Ecco quindi che ora si torna a parlare dei “coraggiosi sommozzatori ucraini” al comando dell'ex capitano del SBU, dagli «occhi di ghiaccio, tshirt nera aderente, fisico muscoloso, il cranio rasato da poco», come lo descriveva, al limite dell'orgasmo, la signora Andreina Baccaro sul Corriere della Sera del 23 agosto, inquadrandolo mentre faceva «con una mano il segno del tridente ucraino, simbolo di orgoglio patriottico»: già, “orgoglio” bandero-nazista. Perché dunque, ora, all'improvviso, si torna a parlare della traccia ucraina? Dopotutto, non ci sono praticamente prove attendibili; tutto si basa su "molto probabilmente" e "a giudicare da tutto".

Non è certo la prima volta che si ricorre alla poco giuridica formula del “highly likely”, per accreditare tesi da contrabbandare al pubblico. Si tratta di accusare in modo convincente le “persone giuste” e trarre conclusioni politiche, osserva Umerenkov: un sistema di "prove" del genere viene ora fatto ruotare attorno alla versione dei gasdotti fatti saltare dagli ucraini, con dettagli, introdotti nei media, la cui veridicità nessuno si preoccuperà di verificare. Così che ne vien fuori qualcosa del tipo: come, “a quanto pare”, c'era Zelenskij dietro l'attacco? E Zaluzhnyj, ne era almeno al corrente? E com'è che gli americani non li avevano convinti a desistere? Ah, non li hanno ascoltati. E via dicendo.

Nei fatti, quindi, la "svolta giudiziaria" nel caso dei gasdotti costituisce un duro colpo assestato a Zelenskij dagli “amici europei”. Effettivamente, negli ultimi tempi el jefe de la junta ha esagerato nel presentarsi quale “sovrano” di cui i leader europei non rappresenterebbero che il corteggio. Al centro c'è Zelenskij, mentre i Macron, i Mertz, Meloni, Starmer non sono che i suoi coristi, cui è riservato il ruolo di dare soldi, comprare armi, inasprire le sanzioni.

Certo, nota Komsomol'skaja Pravda, gli europei sostengono ancora "incrollabilmente" Kiev; e come potrebbero non farlo, se la loro unica prospettiva è quella di soccombere insieme. Ma l'intransigenza di Zelenskij, che ha respinto tutte le proposte, persino quelle del presidente americano Trump, sembra diventare un peso per i suoi sostenitori europei. In questi casi, esiste un meccanismo occidentale ben collaudato: invertire la rotta nei rapporti con un ex partner; ecco che ora si accusa Kiev di coinvolgimento in “malefatte contro i benefattori europei”.

Fanno al caso alcune osservazioni di lettori de Le Figaro: «Tiriamo le somme: paghiamo l'Ucraina per far saltare in aria il gasdotto che ci fornisce energia, poi paghiamo gli americani per fornire armi all'Ucraina e gas a noi... E nessuno ha pensato che forse questa non sia la migliore strategia?». E ancora: «Si sta iniziando lentamente a capire che dall'inizio di tutta questa truffa ucraina, cioè dal majdan del 2014 organizzato dalla CIA, gli USA hanno usato l'Ucraina per destabilizzare la Russia, distruggere e soggiogare l'Europa».

Ma poi è arrivato «occhi di ghiaccio, cranio rasato da poco», al massimo 15-20 minuti: pare intendersene la cronista-hairdresser del Corriere. Ci voleva proprio uno come lui per quella «Azione delicata, pericolosa. C’era da preparare la giusta miscela di esplosivo, posizionarla a 70-80 metri sul fondale. E poi sincronizzarsi alla perfezione, rispettare i tempi, agire nell’ombra. Un’operazione da militari o da agenti segreti». Per fortuna che c'era lui, “Serhii Kuznietsov” (scritto proprio così, che più ucraino o ukro-piemontese non si può: copyright La Stampa del 22 agosto) a «coordinare il commando, pare».

Pare.


FONTI:

https://politnavigator.news/na-zapade-gotov-plan-po-smeshheniyu-zelenskogo-i-ego-komandy-ehkspert. htmlhttps://www.kp.ru/daily/27742/5133071/

 

 

 

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