Le Kessler, l’astensionismo e i cuochi di bordo

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Le Kessler, l’astensionismo e i cuochi di bordo

 

Non potevo crederci; nove pagine (nove!)  di apertura sulle sorelle Kessler, che scalzavano Gaza e guerra in Ucraina! Il giornalone per eccellenza, si era realmente superato. Le gemelle d’oltralpe se ne andavano in punta di piedi e cosa facevano gli impavidi opinionisti? Il coro da stadio, entrando a gamba tesa sull’argomento con gli stivali sporchi di fango. Come del resto, speculando sulla vicenda in senso opposto, facevano anche i giornalacci della destra per i quali l’eutanasia dovrebbe restare un appannaggio privato. Da qualche centinaio di migliaia di euro di rendita in su, s’intende, perché chi è già abituato a soffrire in vita può ben affrontare la sofferenza anche in punto di morte.

Ciò detto, l’ipotetico visitatore proveniente da Marte poteva realmente ricavarne l’impressione di fronti nettamente contrapposti. Peccato però che, tranne questa e poche altre questioni dii bandiera, sulla quasi totalità degli argomenti la contrapposizione sia più fittizia che reale, se non totalmente inesistente su un punto specifico che, allo stato dell’arte, è poi quello essenziale. Mi riferisco alla crisi della democrazia rappresentativa nelle attuali oligarchie liberali, Italia in primis.

 Il nuovo fantasma che si aggira per l’Europa e che turba il sonno di benpensanti e classi dirigenti non è Putin, non sono Trump, Netanyahau, Hamas o Xi Jinping e tanto meno non sono l’impoverimento e l’aumento dei prezzi. E’ l’astensionismo. Ad ogni tornata elettorale ogni schieramento, ogni partito, vede diminuire i propri consensi in termini assoluti. Per entrambi i poli non sembra esserci altra strada, dunque, che magnificare i propri successi (o giustificare il contenimento degli insuccessi) in termini relativi appellandosi alle percentuali.

Squilla dapprima la tromba della sinistra, ma c’è da aspettarsi che a breve le faccia eco  anche quella della destra. Lancia l’allarme il direttore de “La Stampa” con un editoriale dal titolo eloquente (Andrea Malaguti, “Meloni-Schlein e la necessità del voto obbligatorio”16 novembre 2025) che sembra essere più che una provocazione, un sasso nello stagno, una sorta di proposta alla controparte: “C’è un’elezione? Si va. Per forza.[…] bisogna impegnarsi assieme prima che il sistema ci sfugga definitivamente di mano”. Il riferimento al binomio Meloni- Schlein, le due prime donne dell’avanspettacolo politico italiano, lascia intendere quella che potrebbe costituire la principale materia di contrapposizione futura: quella tra la madre, fieramente cristiana e italiana e l’amante indifferente di uomini e donne, con tre passaporti e di religione “giovannottesca” (“…una grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa”).

Per quel che riguarda la proposta di voto obbligatorio non si tratta di un colpo di sole ma semmai dell’ennesima cartina di tornasole rivelatrice di quella regressione, in atto da tempo tutta all’insegna del controllo sociale, che ha subito un’indubbia accelerazione dalla pandemia in qua. Qualche giorno dopo ci sarà chi si appellerà al voto elettronico o al far leva su fattori premiali (non ci avesse già pensato Achille Lauro negli anni Cinquanta). Ancora una volta assistiamo allo stravolgimento simultaneo di verità e logica, ad una regressione spacciata come necessità di ammodernamento: si tratterebbe in sostanza salvare quanto si suol chiamare democrazia con metodi autocratici, un nodo gordiano non risolvibile altrimenti. Poi c’è l’impennata astensionista successiva alle elezioni regionali (+ 14% rispetto alla tornata precedente, 6 elettori su 10 disertano le urne). Sui Giornaloni gli allarmi si moltiplicano mentre i Giornalacci sposano la causa dei “bimbi nel bosco” in vista del referendum sulla giustizia. Un altro caso di scuola su come la sinistra sia maestra nell’alzare la palla all’avversario.

Eppure, una via alternativa per uscire dignitosamente dall’impasse ci sarebbe. Perché non prendere spunto da quel che normalmente accade per la designazione delle giurie popolari presso le corti di appello nel giudizio penale? Basterebbe creare un apposito elenco di cittadini dotati di particolari requisiti e prevedere, nel caso del mancato raggiungimento di un quorum prefissato, di attingere da suddette liste per sorteggio o altra via. Se un cittadino estratto a sorte può decidere del bene più prezioso (la libertà personale) per quale motivo non potrebbe decidere su tutto il resto? Sarebbe anche un modo intelligente per far giustizia di quella che allo stato dell’arte è una delle più evidenti storture del testo costituzionale (art. 67, divieto di mandato imperativo) poiché costringerebbe partiti e leader politici ad una maggior coerenza e soprattutto ad un maggior coraggio, nel non farsi dettare l’agenda dall’esterno (vd potentati economici e potenze straniere) .

Ma non lo faranno, la nostra sedicente “classe dirigente” non segherà il ramo su cui pensa di poter restare ancora comodamente seduta. Correrà piuttosto il rischio (non è dato sapere quanto consapevolmente), di essere a quello stesso ramo prima o poi impiccata o se si vuole di schiantarsi sugli scogli.

Oggi più che mai l’avvertimento di Kierkegaard è una perfetta metafora del tempo: “State attenti: la nave è ormai in mano al cuoco di bordo, e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quel che si mangerà domani”.

Alessandro Mariani

Alessandro Mariani

Laurea magistrale in Scienza politiche e a seguire in Giurisprudenza. In  buen retiro dopo 40 anni di Guardia di Finanza. Con attività avventurose cerco di contrastare il fattore tempo e mantenere un livello stabile di endorfine che mi consenta di coltivare a tempo perso velleità saggistiche e letterarie. A tempo pieno gestisco l’eredità di una prole, dottoranda oltre frontiera.

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