Le previsioni della "CIA privata" e il piano per una nuova Rzeczpospolita

Le previsioni della "CIA privata" e il piano per una nuova Rzeczpospolita

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Nelle ultime settimane, sembra che stiano prendendo corpo i pronostici avanzati oltre due decenni fa dalla “CIA privata”, la Strategic Forecasting, fondata dal tristemente famoso George Friedman, a proposito della Polonia, secondo cui questa, verso il 2030, «dominerà su Bielorussia e Ucraina, mentre la Russia si sgretolerà in tanti principati… verso il 2045 la Polonia riunirà intorno a sé Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e stabilirà un protettorato su Slovenia e Croazia. Così per la metà di questo secolo l’Europa sbalordita scorgerà sulla sua carta un nuovo impero, la Rzeczpospolita del XVII secolo», dal Baltico al mar Nero. Tra parentesi, l'idea di combattere l'URSS puntando al suo sgretolamento e sostenendo i suoi piccoli nazionalismi interni, era nata proprio a Varsavia, sostenuta dall'idolo degli hitleriani negli anni '30, il dittatore fascista Jozef Pilsudski. Un'idea che giunge fino a oggi, ora diretta contro la Russia.

Ovviamente, il progetto della StratFor progredisce coi tempi e nella misura in cui risponde a interessi ben più vasti che non il miserando elemosinare di Varsavia per le riparazioni di guerra da chiedere a Germania e Russia, o accattare più terre tedesche, oltre a quelle ottenute a guerra finita a spese della Germania: oltreoceano si guarda più lontano, perseguendo la strategia di rimescolamento politico-territoriale in Europa. E, per l'appunto, le grida polacche contro Berlino e Mosca sono funzionali a quella strategia.

URSS e Germania hitleriana “alleate” contro la pace nel 1939; Russia e Germania federale unite contro gli “interessi europei” ottant'anni dopo, si urla a Varsavia.

Nel 2016, l'allora Ministro della difesa polacco Antoni Macierewicz, era arrivato a dire che, nel 1920, la Polonia aveva  impedito alla Russia bolscevica di conquistare l’Europa e, nella foga filoucraina e russofobica, che i massacri di decine di migliaia di civili polacchi, compiuti dai bandersiti ucraini del UPA nel 1943 in Volinja, erano stati causati dall'avanzata dell'Armata Rossa.

Oggi, il vice Primo ministro e Ministro della difesa Mariusz Blaszczak accusa (neanche tanto indirettamente) la Germania di aver pianificato con Mosca l'invasione russa dell'Ucraina e afferma che «La Germania vuole davvero sostenere l'Ucraina o continuare a sostenere Putin? Perché non c'è dubbio che la Germania abbia costruito le basi finanziarie che hanno permesso a Putin di attaccare l'Ucraina».

Quindi, pensando evidentemente alla Ministra degli esteri “verde” Annalena Baerbock, dice di vedere «dei mutamenti nella politica tedesca», ma non è sicuro che possano durare, se non si farà «una certa pressione sui tedeschi». Dunque: Hitler e Stalin contro la Polonia nel 1939; Putin e Scholz contro l'Ucraina nel 2023. Oggi, «Sconfiggere la Russia è una ragion di Stato sia polacca che europea», parola di pan Mateusz Morawiecki in un'intervista al Corriere della Sera.

Appena un più cautamente, il presidente Andrzej Duda aveva dichiarato a Le Figaro che è «urgente, nelle prossime settimane, inviare materiale militare in Ucraina, se no Putin può vincere», implicitamente accusando la Germania di lentezza nell'invio di armi e di conciliazione con Mosca, di contro ai polacchi salvatori d'Europa.

Avendo in mente queste cose, ci si può spiegare il perché Joe Biden, per la sua visita in Europa prevista per la prossima settimana, abbia scelto proprio la Polonia, per discutere della «cooperazione bilaterale tra i due paesi, degli sforzi congiunti per sostenere l'Ucraina e rafforzare la difesa della NATO», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre.

A Varsavia, Biden dovrebbe incontrare anche i leader dei “Nove di Bucarest” (Bulgaria, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Rep. Ceca) e quasi sicuramente “discuterà” con loro la questione della fornitura di caccia all'Ucraina.

A parere del politologo russo Dmitrij Evstaf'ev, intervistato da RT, Biden ha scelto la Polonia quale meta della trasferta europea, perché questa è oggi «il principale operatore della distribuzione degli aiuti» alla junta ucraina e il massimo “Commissario politico” che detta a Kiev la condotta, per non consentirle alcuna esitazione. Altro importante obiettivo del viaggio, afferma Evstaf'ev, è quello di verificare la tenuta delle infrastrutture polacche per una possibile ulteriore escalation del conflitto in Ucraina; e, dopotutto, la Polonia è il «posto più sicuro per gli americani, con una totale garanzia da sorprese e proteste». Non a caso, si parla di oltre diecimila soldati yankee dislocati.

Da non sottovalutare gli obiettivi interni del viaggio di Biden: la Associated Press sottolinea il discreto calo di appoggio all'Ucraina in USA, nonostante la maggioranza degli americani sia ancora favorevole a sostenere Kiev: secondo un sondaggio del Pew Research Center, a gennaio, il 26% dei cittadini statunitensi considerava il sostegno USA a Kiev troppo forte, con un aumento del 19% rispetto a un anno fa. Secondo un sondaggio della NBC di gennaio, alla domanda se il Congresso debba fornire all'Ucraina più armi e finanziamenti, il 49% degli intervistati ha risposto sì e il 47% no. Più o meno le stesse percentuali europee.

La scelta della Polonia sembra rispondere anche alla volontà yankee di umiliare ulteriormente quello che è stato sinora il più forte alleato americano in Europa: la Germania. Dopo le aperte ammissioni sugli attentati al gasdotto Nord stream, nota News Front, si deve riconoscere che, però, anche a Berlino si sono comportati come «uno struzzo codardo, nascondendo la testa sotto la sabbia». Perché, se appare logica la partecipazione norvegese al sabotaggio – eliminare il principale concorrente nelle forniture di gas all'Europa – non è escluso che gli stessi tedeschi fossero al corrente della faccenda, ma a loro era stato «ordinato di stare zitti», nonostante che l'attentato possa considerarsi un «attacco militare alla Germania», con la distruzione della sua più importante infrastruttura energetica.

Se questo è il quadro, pur dipinto a pennellate grossolane, ecco che Varsavia può ben procedere spavaldamente nelle proprie smanie di ambizione storico-territoriale. Anche la “cultura” viene tirata in ballo, se giova allo scopo.

L'analista Igor' Ul'janov scrive che il teatro polacco “Studio” allestisce a Vilnius la pièce del regista Edward Kiejzik “La casa sul confine”. Secondo la sceneggiatura, il confine tra la Polonia e il nuovo stato passava prima per il letto di casa di un coraggioso polacco. L'ammiccamento è ai territori lituani, bielorussi e ucraini “perduti” dai polacchi. Ora, per il letto, passa il contrabbando, mentre la nonna è rimasta uccisa nel tentativo di attraversare illegalmente il nuovo confine. Nell'idea del regista, una simile situazione è talmente folle, quanto il fatto della separazione della Polonia dai Kresy Wschodnie: i territori orientali.

Altro spunto. È uscito in libreria il nuovo tomo dell'opera in cinque volumi dello storico Slawomir Koper e del giornalista Tomasz Staczyk “Krzyze Pólnocne. Viaggio negli Inflanty polacchi” (i polacchi definivano Inflanty le terre baltiche della vecchia Rzeczpospolita); Il quinto tomo si intitola “I Kresy dimenticati. Gli ultimi anni polacchi” e gli autori notano che «gli ultimi 70 anni hanno mostrato come la Polonia possa vivere senza i Kresy, ma anche come l'anima polacca abbia perso molto dal distacco».

Ovunque si getti lo sguardo, dice Ul'janov, dappertutto la Polonia ha dei Kresy, persi o acquisiti. Ci sono i Kresy orientali (Lituania, Ucraina e Bielorussia occidentali); i Kresy occidentali (territori passati alla Polonia alla fine della guerra, che facevano parte della Germania, ma che i polacchi hanno sempre considerato come propri); i Kresy settentrionali (Inflanty) e ci sono anche i Kresy meridionali (distretti confinari della Rep. Ceca abitati da polacchi).

Le fonti ufficiali polacche sostengono che a Varsavia non passi nemmeno per la mente di riprendersi quei Kresy. Ma, si chiede Ul'janov, se la Polonia non ha più bisogno dei Kresy, a che scopo si martellano le teste della gioventù polacca con il ritornello che i Kresy sono Polonia? Se Varsavia non ha pretese sui Kresy, allora perché ricordare «che ci sono anche gli Inflanty che, sul piano storico, sono Polonia? Non è per caso preparare i polacchi a quel momento della storia in cui comparirà la possibilità di prendersi tutti quei Kresy?».

Perché è stato allestita una cosiddetta “carta museale” di Ucraina e Bielorussia, evidenziando i siti culturali e di altro genere legati alla Polonia e alla sua cultura? «Non è forse per aver in futuro il pretesto per affermare: guardatevi attorno, dappertutto edifici polacchi, monumenti polacchi, musei polacchi, sepolture polacche. Queste sono terre polacche!»?

Nelle loro "ricerche" per giustificare i confini della "grande Polonia", gli storici polacchi tentano di presentare la szlachta polacca e i magnati polacchi quali primi portatori delle statualità ucraina e bielorussa. Il risultato finale di questi sforzi per "preservare" l'eredità culturale polacca in Lituania, Bielorussia e Ucraina, come se l'immaginano a Varsavia, dovrebbe essere la trasformazione di questi paesi in appendici ideologicamente civilizzate della Polonia, un suo duplicato geopolitico. E pièce quali “La casa sul confine”, o libri sui Kresy orientali, settentrionali e altri dovrebbero convincere il lettore polacco che su tutti e quattro i lati dell'orizzonte c'è terra polacca caduta in mani estranee.

La churchilliana “jena d'Europa”, che negli anni '30 tornava comoda a Berlino, prima di diventarne preda, è oggi attrice di punta nel dramma mondiale americano, i cui esiti sono tutti da vedere.

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