Lettera aperta ai cittadini di Torino che non hanno ancora visto "l'Urlo"

Lettera aperta ai cittadini di Torino che non hanno ancora visto "l'Urlo"

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di Michelangelo Severgnini

Ai cittadini di Torino che non hanno ancora visto L'Urlo

Lo scorso 30 novembre, a pochi giorni dai fatti di Napoli, quando il 25 di quel mese un drappello di alfieri della migrazione interruppe con la violenza dopo 20 minuti la proiezione dell’Urlo, fui raggiunto dalla proposta del Museo del Cinema di Torino di proiettare il film, in estemporanea, quasi a risarcimento simbolico di quanto accaduto a Napoli.

Da parte mia accettai, benché un invito sulla scia delle polemiche suscitate non abbia lo stesso valore di un invito per i meriti della pellicola, che tutti riconoscono ma pochi hanno il coraggio di tributare pubblicamente.

La proiezione fu fissata inizialmente per il 7 di dicembre.

Qualche giorno più tardi, in accordo con il Museo del Cinema, la proiezione venne poi spostata al 12 dicembre. 

In quei giorni, in seguito ai fatti di Napoli, ero tornato a sentirmi con il produttore del film, dopo mesi di silenzio risultato di una situazione ormai consolidata: lui non distribuisce il film, io lo porto in giro e lo proietto in occasione delle presentazioni dell’omonimo libro “L’Urlo - schiavi in cambio di petrolio” (LAD Edizioni).

Tra il 7 e il 12 dicembre arriva una lettera di diffida al produttore, in cui un avvocato, rappresentante un rifugiato ora in Italia, chiede di rimuovere 2 messaggi vocali dal film pronunciati dal suo assistito sebbene quest’ultimo avesse rilasciato ampia liberatoria.

Questo episodio sancisce una rottura insanabile tra me e il produttore nel momento in cui questi calpestando i miei diritti morali di autore, mi chiede di interrompere immediatamente ogni proiezione.

Va da sé che, al contrario, io consideri da subito questa diffida un maldestro tentativo di intimidazione e non mi sogni nemmeno lontanamente di interrompere le proiezioni.

Tuttavia la proiezione al Museo di Torino, già spostata dal 7 al 12 dicembre, senza la collaborazione del produttore, unico in possesso di una copia DCP del film richiesta per la proiezione, viene pertanto annullata.

Mi fa sapere lo stesso produttore in quei giorni di essersi precipitato in studio per modificare il film alla luce della diffida ricevuta, per altro interpretandola in senso il più ampio possibile e così alterando e omettendo tutto quanto possibile. Non ho mai visionato quella copia e mai l’avrei riconosciuta.

Il 13 dicembre esce a firma di Davide Ferrario sulle pagine locali del Corriere della Sera un articolo sulla vicenda della mancata proiezione del film a Torino dal titolo: “Lo strano caso dell’Urlo di Michelangelo Severgnini, il film che non si riesce a vedere”.

L’articolo fa da risonanza, per altro senza citarlo, a materiale diffamatorio che da alcuni giorni ha preso a circolare in rete e insinua accuse gravissime senza averne uno straccio di prova: “Salta fuori che il regista non solo ha usato interviste ai migranti senza chiedere la liberatoria, ma ha anche forzato montaggio e traduzione per fargli dire il contrario di quello che intendevano”. Notare il “salta fuori”.

Il mio diritto di replica viene accontentato il 18 dicembre, ma il Corriere non caricherà mai la mia risposta nella versione online, pertanto chi quel giorno ha comprato il Corriere di Torino l’ha letta, per gli altri bastino le insinuazioni di Ferrario.

Questa domenica, 12 marzo, il film “L’Urlo” verrà per la prima volta proiettato finalmente a Torino. Il merito va all’associazione “Quaderni all’aria” che nei mesi scorsi mi ha contattato con insistenza per organizzare l’evento. Prima di accettare ho però personalmente scritto al Museo del Cinema di Torino, dichiarandomi sempre pronto ad accettare una loro nuova proposta, a condizione che la proiezione avvenga con il “file” del film a mia disposizione e in regime di conflitto con il produttore (per quanto la legge sul diritto d’autore mi autorizzi a proiettare il film in mia presenza e in mancanza di un biglietto d’ingresso, in sostanza gratuitamente).

Quando non ho ricevuto risposta dal Museo del Cinema, ho accettato l’invito dell’associazione “Quaderni all’aria”.

Ora, sono qui a scrivere questo articolo perché credo che i cittadini torinesi debbano essere informati di questi fatti.

Debbano essere informati che da quei giorni quasi quotidianamente il mio profilo facebook ospita commenti e link di un paio di persone che insistono a chiedermi che li riconosca come interlocutori rispondendo a diffamazioni evidentemente farlocche.

Debbano sapere che nel corso delle decine di proiezioni avvenute nel frattempo in Italia, alcuni organizzatori sono stati raggiunti da telefonate di intimidazioni per non proiettare il film e altre persone si sono presentate alle proiezioni provando ad intimidire l’autore sulla base di  tali diffamazioni.

Debbano essere informati che i protagonisti del film sono stati nel frattempo raggiunti da telefonate anonime o viceversa da avvocati che hanno proposto loro azioni legali gratuite verso l’autore.

Debbano essere informati che il film “L’Urlo” è pronto dall’estate 2021 e che tra la prima proiezione avvenuta nell’ottobre 2021 e il 25 novembre 2022 (proiezione interrotta a Napoli) era stato nel frattempo proiettato a Istanbul, Catania, Palermo, Roma, Milano, Bengasi e altre città senza che a nessuno avesse creato problemi. 

Debbano sapere che da quando il film è pronto il produttore ha rifiutato già diverse proposte di distribuzione sdegnando la possibilità di coprire le sue spese ed onorare gli sforzi di tutti coloro che hanno lavorato al film. 

Debbano sapere che articoli e video diffamatori sono stati prodotti in fretta e furia non appena l’hybris maldestra degli alfieri della migrazione non li ha esposti al ridicolo durante i fatti di Napoli, aprendo una breccia in quel muro di gomma alzato dalle stesse Ong per impedire ai loro sostenitori di entrare in contatto con le fonti raccolte dall’Urlo: una sorta di cordone di sicurezza informativo, che altrimenti si chiama “censura”.

Debbano sapere che a essere intimidito non sono io, che ho lavorato scrupolosamente sulle mie fonti per anni e so fare il mio mestiere con onestà e rispetto e in tal modo lo faccio da oltre vent’anni. Ma intimoriti sono tutti coloro che hanno brandito contenuti diffamatori in questi mesi.

Debbano sapere che i due rifugiati mobilitati in fretta e furia per accusare l’autore, entrambi ormai già in Italia da tempo, dichiarano il falso da una parte e millantano dall’altra. Uno dimentica di avere autorizzato tutto il possibile, attraverso chat, accettando di essere persino ospite ripetutamente, quando ancora in Libia, della trasmissione “Voci dalla Libia” in onda mensilmente su Radio Radicale. L’altro non so chi sia e cosa voglia. Millanta di essere nel film. Ma non c’è, a meno che non sia un puntino sullo sfondo in immagini che ritraggono una folla. O a meno che non sia colui che fa le riprese con il telefonino in una delle decine di video presenti nel film, video per altro spammati sui telefonini di qualche migliaia di rifugiati in quei mesi. 

Debbano pertanto sapere che la pigrizia intellettuale è il rifugio dei millantatori, perché sanno che approfondire gli renderebbe il lavoro molto più difficile, se non impossibile, e si augurano pertanto che chi li segue faccia altrettanto.

Così hanno fatto Davide Ferrario e chissà quante altre persone che hanno letto o ascoltato quel materiale diffamatorio e ne hanno fatto da risonanza senza nemmeno fare una ricerca superficiale su internet, dove avrebbero facilmente scoperto che il materiale dell’Urlo viene regolarmente pubblicato in rete dal settembre 2018, che è stato pubblicato o citato da giornali e riviste internazionali, quali Der Spiegel, l’Espresso, Die Welt, Internazionale, il Manifesto (l’inserto “le Monde Diplomatique” ha pure pubblicato una splendida recensione del film a firma Geraldina Colotti), per non parlare di quattro anni di trasmissioni mensili su Radio Radicale in diretta telefonica con i migranti-schiavi in Libia.

Questo è il motivo per cui fino ad oggi non ho sentito alcuna necessità di intervenire sull’argomento, perché tutte le risposte sollevate trovano già risposta nella vastità di materiale pubblicato in questi anni. E nemmeno ora sentirei questa necessità se non fosse che i cittadini di Torino, forse, meritano una spiegazione in più.

Perché in questa storia ci sono troppe persone che fingono di intimidirsi, quando a essere davvero intimiditi dalla verità vedo siano solo i protagonisti delle scomposte reazioni cui abbiamo fin qui assistito.

Allora, nessuna paura, svuotiamo tutti tutto serenamente sul tavolo. Tutti sono invitati ad intervenire durante l'evento.

Io so che il 3 maggio 2019 fui tra i promotori di una giornata dedicata all’evacuazione dei migranti-schiavi in Libia dal titolo “Set them free”, ospitata al Museo MACRO di Roma in cui furono invitate ed erano presenti tutte le realtà che in Italia si occupano di migrazione (ad eccezione delle Ong, che rifiutarono l’invito), tra cui la Chiesa Valdese, la Comunità di Sant’Egidio, Amnesty International e moltissime altre. Quel giorno, sulla base delle centinaia di messaggi vocali che andavo raccogliendo dalla Libia e grazie anche a qualche collegamento telefonico in diretta con coloro che erano in Libia, si chiese “immediata evacuazione per tutti i migranti in Libia” che ne avessero fatto richiesta, la qual cosa si traduce in “immediato ricollocamento via aereo per i rifugiati coperti da protezione internazionale” e “volo di rimpatrio gratuito e volontario” per coloro che ne avessero fatto richiesta.

Nel mio lavoro di ricerca sono sempre state ospitate le voci di chi chiede un volo di ricollocamento verso l’Europa (40.000 rifugiati in Libia ne hanno già diritto), di chi nonostante tutto è disposto a rischiare la vita un’altra volta in mare e di chi ormai implora soltanto di essere portato a casa dopo anni bloccato in Tripolitania come schiavo. Senza censure.

In tutti gli altri lavori esistenti, si sentono solo le voci dei primi 2. Perché? Che fine hanno fatto le altre voci?

Il che spiega bene il panico venuto a certi alfieri della migrazione, panico che li porta a sfondare il muro del ridicolo e del legale pur di zittire quelle fonti alla luce delle quali si capirà bene il gioco che stanno facendo.

Un’ultima cosa vorrei dire ai cittadini di Torino: c’è ben altro di cui parlare quando si parla di Urlo.

C’è un documento ufficiale del sedicente governo di Tripoli che da mesi attende che qualche forza politica ne faccia un’interrogazione parlamentare: in questo documento sta scritto che i soldi inviati dall’Italia al sedicente governo non sono spesi per fermare i migranti, ma per armare le milizie, quelle che saccheggiano il petrolio libico, quelle che impediscono libere elezioni, quelle che usurpano la volontà popolare dei Libici, quelle per il sostegno delle quali militarizziamo il Mediterraneo, perché il traffico di petrolio illegale continui indisturbato.

Destra di governo e Ong, colluse e complici nell’ignorare come la Libia sia l’unico Paese al mondo il cui governo riconosciuto dalla comunità internazionale non abbia la fiducia di parlamento e cittadini (ma controlla quel 20% di Libia, Tripoli e dintorni, dove solo esistono centri di detenzione), mentre il legittimo governo, che riceve la fiducia del parlamento votato dai Libici, non sia riconosciuto a livello internazionale. 

Temo risieda in quest’altra storia indicibile, per quanto al centro del racconto dell’Urlo, il motivo di tanto malessere attorno a questo lavoro.

Non è un problema mio.

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COMPRA L'URLO: SCHIAVI IN CAMBIO DI PETROLIO

 

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto "Exodus" in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film "L'Urlo"

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