Lo stato dell'arte - Il festival dell'altra canzone

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Lo stato dell'arte - Il festival dell'altra canzone

 

 

Negli ultimi anni si assiste ad una certa rivalutazione, oltre gli eventuali meriti, del festival di S.Remo.Non è che di colpo siano emersi geni o artisti particolarmente degni di nota, ma si spinge forte, sopra ogni misura, cercando di unificare un Paese diviso da mille faccende, in un sentire comune, indotto e propinato con tutti i mezzi.

Fenomeno nazional-popolare al pari di Miss Italia o della nazionale di calcio.

Premesso che la kermesse straconosciuta nasce come mezzo di promozione della canzone italiana (non della musica), con una sua costruzione melodica, dando poi luogo ad una forma standardizzata, a volte melensa e strappa lacrime, senza particolari pretese di autorialità, ma con orchestrali con i controcoglioni, e ogni tanto, di passaggio personaggi degni di nota, bisogna ammettere che via via si è trasformato sempre più in una vetrina spettacolo.

E' ovvio che per farsi conoscere passare da lì può facilitare il percorso (quando esistevano i discografici!), ma adesso, con tutto il rispetto per chi ci va o lo segue siamo ad un punto di non ritorno.

Questo tipo di festival al pari di talent e format scopritori di nuove voci è puro marketing.

E poi ci sarebbero tante altre questioni extramusicali che ne minano la credibilità.

In ogni caso, chi ama la musica, in tutte le sue molteplici forme espressive, non ha bisogno di seguirlo.E' sempre esistita una canzone pop, la cd. musica leggera in grado di arrivare al largo pubblico, popolare appunto, che le radio commerciali ma anche i locali proponevano. E i costruttori di quella leggerezza oggi sono inarrivabili.

Esisteva la musica dal vivo nei club, locali e concerti - originale, non questi cloni e coverband - si vendevano i dischi, e c'era di che scegliere.

Dal beat degli anni '60 ai gruppi di impronta prog; dai cantautori impegnati agli sperimentatori.E poi la musica colta.

Il mainstream è stato affiancato negli anni '90 dall'alternative.

Siamo chiari, i modelli di riferimento sono sempre stati quelli anglosassoni, tanto nel commerciale quanto nell'indipendente.Forse un pò di originalità l'aveva, parodossalmente, proprio la canzone all'italiana, nella tradizione dei migliori chansonnier.Infine la musica folk e popolare, diventata ahimè fenomeno modaiolo.

Oggi però assistiamo ad un'involuzione nel panorama musicale, data da quella non forma chiamata trap, che al pari del gangsta rap di qualche decennio fa, perlopiù ostenta un linguaggio violento, a base di risse e che vede il ruolo della donna svilito a puro oggetto.La differenza è che l'hip hop delle origini, piaccia o meno, nasceva nelle strade e portava avanti rivendicazioni sociali.

E cosa dire dei neomelodici? Fenomeni da baraccone al pari di tutti quelli che si entusiasmano e corrono a vedere i cinepanettoni.

Quindi, pur volendo accettare i gusti altrui, non è una questione anagrafica o di generi.Ogni stile ha sempre espresso cose notevoli.Ed anche oggi, fuori dai circuiti che contano, esistono musicisti giovani e non che hanno qualcosa da dire, sperimentano, ed anche se forse non riusciranno mai a vivere di musica, almeno sono onesti.Capisco pure chi dopo anni di sacrifici scende a compromessi perchè ha famiglia.

E' una questione culturale. I tempi sono barbari ed anche la musica ne risente, ma si può sempre scegliere.

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