L’oblio del Genocidio dei Nativi Americani: oltre 55 milioni di morti

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L’oblio del Genocidio dei Nativi Americani: oltre 55 milioni di morti

 

di Raffaella Milandri*

Negli ultimi eventi di guerra abbiamo sentito spesso parlare di “genocidio”. Chiariamone la definizione e, soprattutto, chiediamoci perché l’Olocausto Indigeno delle Americhe non sia menzionato nella tragica lista dei genocidi.     

Il conteggio dei morti

Sono decenni che il mondo accademico si interroga sulla stima reale di quello che sia costato in vite umane l’arrivo degli Europei nelle Americhe e l’impatto successivo della dominazione. Le recenti conclusioni dei ricercatori dell’University College London, guidati da Alexander Koch, sono state pubblicate su vari articoli accademici e in una intervista al Business Insider: “Tra il 1492 e il 1600, il 90% delle popolazioni indigene nelle Americhe è morto. Ciò significa che circa 55 milioni di persone sono morte a causa di guerre, violenza e di agenti patogeni mai visti prima, come vaiolo, morbillo e influenza”.

A questa stima vanno aggiunti i Nativi morti tra il 1600 e il 1900, quindi già in “regime” di convivenza e di dominazione degli Europei e dei nuovi Stati da essi creati, e qui la valutazione di vari studiosi oscilla da poche centinaia di migliaia a decine di milioni di morti. Cito qui una frase del 1775 del capo Cherokee Tsi' yu-gunsini o Dragging Canoe: “Intere nazioni indiane si sono sciolte come palle di neve al sole davanti all'avanzata dell'uomo bianco. Hanno lasciato solo il nome del nostro popolo (…). Verrà proclamata l'estinzione dell'intera razza”.

Nella seconda metà dell’Ottocento alcune fazioni del Congresso statunitense sostennero un vero e proprio sterminio fisico dei popoli nativi; gli “amici” degli indiani, come Pratt della Carlisle Industrial School, sostennero un genocidio soprattutto culturale. Carl Schurz, un ex commissario per gli Affari Indiani, concluse che i popoli nativi avessero “questa severa alternativa: sterminio o civilizzazione”. Henry Pancoast, un avvocato di Filadelfia, sostenne una politica simile nel 1882. Affermò: “Dobbiamo macellarli o civilizzarli, e quello che decidiamo di fare, dobbiamo farlo rapidamente”. L’opera di civilizzazione contemplava, in effetti, una azione decisa per far loro dimenticare cultura, linguaggio e origini e farli diventare “bianchi”.

Concentriamoci ora sugli Stati Uniti. Il professor David Michael Smith della University of Houston, che riporta gli studi, tra gli altri, di Russell Thornton e David Stannard, sottolinea come anche dal 1900 in poi le morti non naturali non si siano fermate. “Le morti di Nativi che si sono verificate negli Stati Uniti dal 1900 in poi, a causa dell'eredità del colonialismo e del razzismo istituzionalizzato contemporaneo devono essere conteggiate. Il numero totale di morti indigene è stato causato da guerre, repressioni e violenze razziste, ma anche dalle dure condizioni economiche e sanitarie. La scarsità di informazioni statistiche sulle nascite, i decessi e la mortalità degli Indigeni per gran parte del ventesimo secolo rende impossibile stimare con precisione il numero totale di morti in eccesso. Una stima di almeno 200.000 decessi totali attribuibili all'eredità del colonialismo e del razzismo istituzionalizzato dal 1900 in poi è molto prudente”.

Per alzare realisticamente le cifre è sufficiente pensare alla sterilizzazione forzata delle donne native americane, terminata (speriamo) alla fine degli anni Settanta, di cui vi parlerò in un prossimo articolo. Oppure alle scuole residenziali indiane, terminate alla fine degli anni Novanta, di cui vi ho raccontato in un articolo precedente. Tutti strumenti di morte creati negli Stati Uniti dove, peraltro, si è iniziato già agli albori con le coperte infette di vaiolo e la famosa “acqua di fuoco”.

La domanda è: perché la parola genocidio non viene automaticamente associata ai Nativi Americani? La risposta è semplice. Come molti media evitano accuratamente di divulgare informazioni sulle condizioni passate e presenti dei Nativi Americani, a maggior ragione non si parla di genocidio, che stona terribilmente con la “terra della libertà”. Approfitto per ringraziare L’Antidiplomatico per avermi dato lo spazio di questa rubrica per parlare di tematiche tanto scottanti quanto evidenti.

Il concetto di genocidio

La UN Genocide Convention è un trattato internazionale che mette al bando il genocidio e obbliga gli Stati parte a implementare l'applicazione di tale divieto. Ecco il contenuto dell’Articolo II della Convenzione delle Nazioni Unite per la Prevenzione e la Punizione del Crimini di Genocidio, 1948.

«Nella presente Convenzione, per genocidio si intende uno dei seguenti atti commessi con l'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale:

  1. a) Uccidere i membri del gruppo;
  2. b) causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo;
  3. c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica, totale o parziale;
  4. d) Imporre misure volte a impedire le nascite all'interno del gruppo;
  5. e) trasferire con la forza bambini del gruppo a un altro gruppo».

Per approfondire: https://www.un.org/en/genocideprevention/genocide-convention.shtml

E’ interessante notare che questa Convenzione fu adottata dall’United Nations Center for Human Rights nel 1948, ma fu approvata negli Stati Uniti solo nel 1988 da Ronald Reagan.

L’accusa di genocidio non sarebbe quindi un pianto romantico di liberali e buonisti. Si adatta perfettamente alla situazione dei Nativi Americani.

Attualmente la Convenzione contro i Genocidi è stata siglata da 153 stati (ultimo lo Zambia nel 2022) sui 193 totali membri dell’Onu.  

Il Papa e il genocidio

Come abbiamo visto in uno degli articoli precedenti, il Papa si è recato alla fine di luglio  2022 in Canada, per porgere le scuse alle comunità indigene sullo scempio delle scuole residenziali indiane, organizzato dallo Stato, al quale la Chiesa Cattolica ha preso parte. Brittany Hobson, del Canadian Express, ha chiesto al Papa in conferenza stampa durante il volo aereo di ritorno:

«“Lei sa che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione (TRC) ha descritto il sistema delle scuole residenziali come genocidio culturale, e questa espressione è stata corretta semplicemente in genocidio. Le persone che in questa scorsa settimana hanno ascoltato le Sue parole di scusa hanno lamentato il fatto che non sia stato usato il termine genocidio. Lei userebbe questo termine e riconoscerebbe che membri della Chiesa hanno partecipato a questo genocidio?”.

Papa Francesco: “È vero, non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio e ho chiesto scusa, perdono per questo lavoro che è stato genocida. Per esempio, ho condannato pure questo: togliere i bambini, cambiare la cultura, cambiare la mente, cambiare le tradizioni, cambiare una razza, diciamo così, tutta una cultura. Sì, è una parola tecnica – genocidio – ma io non l’ho usata perché non mi è venuta in mente. Ma ho descritto che era vero, sì, era un genocidio, sì, sì, tranquilla. Tu dì che io ho detto che sì, è stato un genocidio. Thank you”».

E Papa Francesco si è dimostrato di parola, quando il giorno dopo usciva il comunicato di Vatican News: “Papa Francesco: È stato un genocidio contro le popolazioni indigene”.

 Link: https://www.vaticannews.va/en/pope/news/2022-07/pope-francis-apostolic-journey-inflight-press-conference-canada.html

 

*Scrittrice e giornalista, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.

Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi.

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