Ma quale fascismo, quello di Meloni è il classico liberismo atlantista

Ma quale fascismo, quello di Meloni è il classico liberismo atlantista

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Meloni si sta rivelando esattamente quello che mi aspettavo si rivelasse: una liberista, succube del mito della crescita perenne e del culto del nuovo, dunque ansiosa di compiacere la grande finanza e le megamultinazionali nonché il loro braccio armato, il Pentagono. Altro che una fascista, che una conservatrice, che una nazionalista, che una cattolica. Come già il suo compare Salvini; sono sicuro che entrambi, quando cadranno, cadranno in piedi o meglio in poltrona nel Rotary politico di Renzi e Calenda.

Il liberismo atlantista di Meloni, peraltro, a me pare una splendida occasione per il M5S: a destra e a sinistra una significativa percentuale di italiani non vuole l’americanizzazione dell’Italia; questa volta ha votato Meloni perché gli altri si sono stretti attorno a Draghi per promuovere globalizzazione e mobilità (di capitali, prodotti e individui), ma si sta accorgendo che non è che una simulatrice. Forse non si tratta di una maggioranza; trent’anni di berlusconismo e postberlusconismo mediatico hanno avuto i loro effetti. Però di italiani orgogliosi di essere tali e delle loro tradizioni ce ne sono ancora parecchi. Basterebbe aggregarli, restituire loro una coscienza, un senso di appartenenza, degli obiettivi sociali, un partito; con parole d’ordine semplici: più Stato, più eguaglianza economica, più moralità e rigore, più solidarietà. Senza ripetere il capitale errore del 2018: serve una vera organizzazione politica, con quadri preparati, dirigenti affidabili, sedi e attività territoriali, almeno un giornale e una televisione, capacità di fare cultura e di sviluppare un’ideologia di riferimento.

I «fatti» in sé non contano nulla, ormai sono solo virtuali o virtualizzabili (ricordate Raggi? massacrata da episodi insignificanti spacciati come questioni di vita o di morte e come tali percepiti dagli italiani); occorre saperli manipolare ma a chi non voglia diventare un liberista fare propaganda non basta. A chi non voglia diventare un liberista servono soprattutto i programmi, i valori. Che all’inizio non possono che essere parole, ma parole che influenzano i pensieri e le azioni e che per questo il liberismo sta sistematicamente cancellando o svuotando: comunità, virtù, onore, lealtà, disciplina, misura, dovere, sacrificio. In attesa dei tempi, lontani, in cui verranno praticate, possiamo almeno ricominciare a parlarle.

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

 

Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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